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Uno startupper infiltrato tra gli agenti. «La mia estate a Y Combinator. Dopo la robotica mi sono innamorato dell’AI»


Italiani dell’altro mondo è powered by ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Con questa rubrica da anni ogni venerdì raccontiamo i nostri migliori talenti che lavorano all’estero o che rientrano dall’estero in Italia. Che cosa fanno, che strade hanno percorso, come tengono assieme legami familiari, amicali e professionali. Siamo stati ovunque e siamo poi atterrati nuovamente in Italia. Eccoli i talenti di ritorno. Perché c’è chi rientra per fare la differenza. Buon viaggio tra chi cresce e pensa in grande. E buon viaggio alla scoperta di Global Startup Program fino al giorno di SIOS25 Winter – 17 dicembre a Milano, qui per registrarsi e prendere i biglietti – quando il main partner ICE svelerà il vincitore sul palco dell’Open Summit. 

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«Le interview a Y Combinator sono molto temute. Ogni volta la prima domanda è “Hey guys, what are you building?”. Poi ti chiedono quali sono i tuoi utenti, che problema stai risolvendo, come fai a sapere che lo stai davvero risolvendo. Prima di essere ammesso io e il mio cofounder avevamo tentato altre due volte». Nel corso della nostra intervista si capisce che Pietro Zullo, padovano di 28 anni, è immerso totalmente nel clima e nella mission di un partecipante al nuovo batch dell’acceleratore di startup più famoso al mondo.

Indossa una maglia con la celebre frase di Paul Graham, “make something people want”. In questa nuova puntata della rubrica “Italiani dell’altro mondo” siamo tornati a San Francisco, città laboratorio per l’Intelligenza artificiale. «Siamo qui da 20 giorni e sono stato in un sacco di uffici delle aziende tecnologiche. Graham verrà a fare un intervento e penso anche Sam Altman di OpenAI. Nel giorno di kickoff è venuto Varun Mohan, il Ceo di Windsurf».

Da sinistra Luigi Pederzani e Pietro Zullo, co-founder di mcp-use. Partecipano al batch in corso a Y Combinator

L’inizio alla Bocconi e poi…

Pietro Zullo è cofounder di mcp-use insieme a Luigi Pederzani. Hanno iniziato da poche settimane il percorso di accelerazione a Y Combinator, che culminerà a settembre con il demo day. «Sappiamo che sarà il momento di massima esposizione dell’azienda ai migliori investitori del mondo. Una volta ammessi ci hanno dato 500mila dollari, giusto per far sopravvivere l’azienda. Siamo davvero orgogliosi di fare parte di questo batch, rientriamo nello 0,6% che ce l’ha fatta tra chi ha inoltrato l’application».

Ma qual è la strada che ha condotto questo ingegnere con la passione per fare impresa e startup fino alla capitale globale (in Occidente perlomeno) dell’Intelligenza artificiale? «Dopo le superiori mi sono iscritto in Bocconi, ma ci sono stato un anno. Non mi bastava sapere vendere la tecnologia, ma volere sapere anche come funzionava». Così è tornato a Padova per iscriversi a ingegneria meccanica e durante l’università ha avuto la possibilità di frequentare un semestre a Boston, altra città punto di riferimento per l’innovazione a stelle e strisce, con importanti best practice tra accademia e imprese.

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«Mi sono iscritto a un corso di introduzione alla robotica e me ne sono innamorato». Non siamo ancora nel dopo ChatGPT, ma nell’avanti. «Una volta tornato, nel 2020 mi sono iscritto a un master di robotica all’ETH di Zurigo, in Svizzera». Un’esperienza, anche in quel caso, che gli ha cambiato il mindset, immergendolo in un ambiente stimolante, pieno di persone «pazze di tecnologia e di scienza». È stato in quel periodo, nel 2023, che ha messo in piedi la sua prima startup, Alter Ego.

«Non molti sanno che esistono i CAD dei vestiti. Così ci integravamo con siti di e-commerce dando un plug-in: il risultato finale era un camerino digitale in cui la persona si poteva vedere con indosso il vestito. Un modo per comprare senza sbagliare taglia e fare i resi». All’ETH ha imparato la teoria del fare impresa, ma è con l’esperienza che ha ricevuto i primi feedback. «Abbiamo vinto un grant da 400mila franchi, ma abbiamo commesso tutti gli errori che si potevano commettere. Intanto eravamo stati costretti ad assumere quattro persone, senza avere revenue».

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“make something people want” è la frase simbolo do Y Combinator

Oggi la società esiste ancora, ma i founder hanno dovuto fare un pivot e cambiare totalmente settore. Su questo Pietro Zullo ha mantenuto riserbo, anche perché ora è concentrato sulla nuova creatura. «Dopo quell’esperienza ero preso dalle preoccupazioni. Così ho cercato lavoro, mi avevano proposto un dottorato, ma dentro di me sentivo che non sarei riuscito a non fare startup. Vivevo le application per un lavoro da dipendente come una perdita di tempo per me. Io volevo davvero fare un’altra azienda». E così, negli anni in cui sempre più persone nel mondo smanettavano con ChatGPT e gli altri software di AI, è inciampato in una novità di Anthropic, la società competitor di OpenAI.

Si tratta di MCP, un protocollo open source. È il punto di ingresso verso potenziali impieghi di agenti nella vita di tutti i giorni, a partire da quel che accade nelle imprese. «Permette all’AI di comunicare con servizi o integrazioni esterne in maniera elegante. Perché da sola è brava a pensare ma non ha le mani per agire. Con mcp-use creiamo un ponte per permettere al software di essere utilizzato dagli agenti». Un esempio? Sul portale c’è la possibilità di scaricare l’occorrente per automatizzare la propria casella di posta. «Collegando ChatGPT a questo protocollo puoi mandare mail, farle leggere e cancellarle».

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Candidarsi a Y Combinator

È con questo prodotto che hanno deciso di ribussare alle porte di Y Combinator, forti di due rifiuti precedenti che hanno permesso a lui e a Luigi di farsi le ossa e capire come fare colpo e convincere. «Candidarsi è abbastanza semplice. Fai un video di cosa vuoi portare e poi ricevi o meno una interview. Come dicevo è davvero temuta perché ti vengono chieste cose apparentemente facili, ma hai pochissimo tempo per rispondere».

Dall’altra parte dello schermo hai i partner di Y Combinator, gente che ha partecipato a quell’acceleratore magari, che ascolta più pitch che vocali in un anno fiscale. Una volta ammessi, hanno avuto meno di un mese per fondare la società negli USA, trovare una casa a San Francisco e volare in California giusto in tempo per ambientarsi prima del day one. «Essere circondato da queste persone dà energia. Non c’è un problema di confronto con gli altri partecipanti al batch».

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Go big or go home

Non immaginatevi che in due mesi di tempo a Y Combinator il focus sia sulla tecnologia. «La cosa scioccante è che inizi pensando di sapere cosa devi fare. Loro invece ti dicono: fermati, non fare tecnologia, vai a parlare con le persone, individua un problema e risolvilo per il maggior numero di utenti possibile». Di nuovo vige la massima del “make something people want”. Per il momento i riscontri per i due co-founder italiani sono buoni: hanno ricevuto messaggi da persone che lavorano alla NASA e a Cisco e che stanno utilizzando il loro servizio.

«Go big or go home, noi puntiamo per forza a questo». In questa fase early stage è ancora presto per capire che direzione prenderà questa startup che porta talento italiano nella Valley. «Abbiamo la più popolare libreria open source che permette ai developer di connettere agenti a MCP server, ora il nostro obiettivo è quello di portare questa tecnologia a livello aziendale ed enterprise».

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Una volta terminata la parentesi in Y Combinator ci sarà il ritorno in Italia per una questione di visti. Sarà un’occasione anche per fare tutte le valutazioni del caso, consegnare al loro network quanto imparato nella culla che ha sentito i vagiti di alcune delle società tecnologiche più importanti del nostro tempo. «Poi, se devo essere sincero, San Francisco sembra veramente un posto perfetto per costruire un’azienda come la nostra».





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