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CRISI MAGGIORANZA UE/ Cortocircuito tra armi e green economy, come pensa di salvarsi von der Leyen?


La maggioranza socialisti-liberali-Ppe si è spaccata sulla direttiva Green Claims (greenwashing): il Ppe è sullo stesso fronte delle destre

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È molto probabile che alla fine la bufera politica che ha investito la Commissione europea sui destini “green” del nostro continente per ora finirà in nulla, ma è sicuramente un sonoro, ulteriore campanello d’allarme per la tenuta della maggioranza di sinistra-centro che ha portato Ursula von der Leyen al vertice della UE.



L’insoddisfazione dei gruppi è reciprocamente palpabile, visto che i popolari, temendo di perdere ulteriori consensi, ascoltano sempre di più (anche se magari non molto convinti) le sirene dei gruppi conservatori e rallentano i programmi, tanto che i socialisti ne sono profondamente infastiditi e si rendono conto che, andando avanti su questa strada, il programma stabilito l’anno scorso si diluisce sempre di più.



Tutto questo quando è già difficile tenere insieme le truppe (è proprio il caso di dire) sul contestato e costoso problema del riarmo europeo che ha sollevato profonde diffidenze in buon parte dell’elettorato socialista.

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Si spiega così l’inedito ultimatum che, sia pur condito da mille sorrisi, il gruppo socialista ha fatto recapitare alla von der Leyen. In poche parole i socialisti, guidati da Iratxe García Pérez, hanno decisamente perso la pazienza, nello specifico per gli ulteriori rinvii sull’applicazione della direttiva Green Claims (riguardante il cosiddetto greenwashing) e minacciano di sfiduciare la presidente se ci saranno ulteriori rinvii.



Anche il Pd soffre le stesse pene, in una confusione di ruoli tipica della Schlein, che regolarmente tiene il piede in più scarpe cercando di tenersi buone le diverse anime del partito, ma rischiando alla fine di scontentare tutti, compresi i vertici dei socialisti europei.

Greenwashing” è un altisonante termine inglese che – tradotto in italiano corrente – suona molto meno esotico e diventa “solo” la più o meno efficiente e corretta pratica di marketing cui ricorrono le aziende per apparire più ecosostenibili nella preparazione e presentazione dei propri prodotti.

La situazione è paradossale, perché siamo davanti davvero al caso del cane che si mangia la coda. Posto, infatti, che se non ti presenti “green” non vendi – perché proprio l’Europa ti ha dipinto come pericoloso e bieco inquinatore –, il trucco è infatti diventato di presentarsi come tale, ma solo di facciata e non nella sostanza.

Così confezioni, etichette, immagini suadenti rischiano di presentare ogni prodotto, alimentare o meno, come “ecologicamente corretto” ma, grattata la facciata, ecco che salta fuori come i suoi componenti o sistemi di fabbricazione siano tutt’altro che ecologici.

Di qui una serie di indicazioni molto più severe da adottare per descrizione, componenti ed etichette per evitare sostanzialmente le “truffe di immagine” come pure altrettanti, conseguenti nuovi costi per tutte le imprese europee che non ci stanno e fanno pressioni politiche per rinvii e limiti meno stringenti, visto soprattutto cosa fa la concorrenza appena fuori dai confini europei.

Non è solo il centro-destra del parlamento europeo, per di più in una versione allargata ai Patrioti per l’Europa ad opporsi alla direttiva Green Claims (dichiarazioni ambientali) chiedendo di valutare meglio la realtà, ma gli stessi governi (Italia compresa), dicendo che si rischiano ulteriori costi per le aziende e minor competitività e chiedendo un allentamento delle norme UE, posizione che appunto non piace ai “duri e puri” verdi e socialisti.

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Una questione tecnica che diventa politica, perché è evidente che tocca tutta la politica della “green economy” sulla quale l’Europa della von der Leyen ha giocato le sue carte. Rendendosi conto forse troppo tardi che, a voler fare la mosca cocchiera, si rischia di perdere competitività, mercati, possibilità per milioni di imprese di sopravvivere sul mercato globale.

A volte il meglio è peggiore del bene e quindi puntare a brusche scrollate più che a transazioni lente (che stanno comunque diventando sempre più lente, anche se non lo si vuol dire) rischia di fermare il meccanismo.

D’altronde come si finanziano le armi se l’economia non tira, se l’Europa non vende (o vende di meno) e se proprio per la ricerca del green ad ogni costo l’approvvigionamento energetico costa sempre più caro?

È – lo dicevamo all’inizio – il cane che si morde la coda, ma la von der Leyen deve far finta di non accorgersene o la crisi della Commissione sarebbe a un passo, magari con un cambio di maggioranza.

Sarà interessante vedere come se ne verrà fuori. Probabilmente con il solito compromesso e l’ennesimo rinvio, confermando a parole ovviamente i “sacri principi” di euro-ecologismo, salvo poi non applicarli perché (quasi) inapplicabili. Vedere per credere.

([email protected])

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