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Quasi due medie imprese italiane su tre esportano negli Usa


“Il 45% dell’export italiano è fatto dalle Pmi”, aziende che “nascono da un’esperienza di radicamento del territorio dei distretti industriali italiani e in qualche caso dei primi villaggi artigiani degli anni 50”, ma che hanno poi avuto “un’evoluzione importante, con una buona propensione all’export che ha costituito il boost per poter rendere queste imprese, una statura forte e molto competitiva”. Lo ha dichiarato Giuseppe Molinari, presidente dell’Istituto statistico Guglielmo Tagliacarne, nel corso della presentazione del Rapporto sulle medie imprese industriali italiane curato con Mediobanca.

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L’analisi, illustrata ieri a Genova, ha preso in considerazione le realtà con forza lavoro compresa tra 50 e 499 unità e un volume di vendite tra i 19 e i 415 milioni di euro, con assetto proprietario riconducibile a un controllo familiare e attive in ambito manifatturiero. Un totale, al 2023, di 3.650 imprese (dalle 3.378 del 1996), perlopiù presenti nel Nord Ovest (39%) e nel Nord Est (36,1%) e in misura minore nel Centro (13,9%), specializzate (per il 73,3% del totale) principalmente nei settori meccanico, alimentare-bevande e beni per la persona e la casa.

Realtà che, ha evidenziato l’analisi, contano di chiudere il 2025 con un incremento del 2,2% del fatturato totale e del 2,8% dell’export, nonostante la concorrenza low cost, il contesto geopolitico instabile e il caro energia.

Il report ha posto in particolare l’attenzione sul rischio dei dazi, molto concreto considerato che circa il 10% del valore complessivo dell’export delle medie imprese è diretto negli Stati Uniti e che circa 2 medie imprese su 3 (il 65,3%) esportano nel paese. Poco più di 1 su 10 (12,3%) ha un’alta esposizione, con vendite verso gli Usa che superano il 20% del totale del proprio all’estero, mentre per la metà la quota non va oltre questa soglia.

Tra gli impatti, per il 53,4% il più rilevante sarebbe ovviamente quello sull’export, ma quote significative temono anche l’aumento dei costi di approvvigionamento (il 26,7%) e quello della concorrenza (21,3%). Interessante rilevare che anche le realtà che non vendono negli Usa segnalano timori, in particolare rispetto alla riduzione delle vendite di beni intermedi e semilavorati incorporati in prodotti di altri Paesi per il mercato Usa.

Tra le strategie per contrastare i rischi, le aziende citano in primis l’aumento dei prezzi dei beni venduti negli Usa (33,2%), mentre solo il 14,4% è disposta a farsene direttamente carico pur di continuare a presidiare il mercato Usa. La seconda azione è quindi la ricerca di nuovi mercati all’interno dell’Unione Europea, che tra le medie imprese superano leggermente la preferenza per quelli extra-Ue (18,1%).

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Dati i timori, alla politica le imprese chiedono soprattutto incentivi all’export (65,7%) e in seconda battuta sostegno finanziario (30%). Importante anche, per le medie imprese, (19,1%) assicurare supporto anche di altra natura (informativo, formativo, legale, …) e le garanzie sui crediti (10,1%).

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