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tre leve per le comunità locali che apprendono • Secondo Welfare


In occasione dell’evento conclusivo del progetto trentino “Fuori Centro” ho avuto modo di riflettere su tre elementi che ritengo siano leve fondamentali per innovare il welfare locale: conoscere, realizzare, ideare. Di seguito propongono una sintesi di queste riflessioni, che già avevano trovato spazio nel Sesto Rapporto sul secondo welfare, e che oggi mi paiono ancora più significative alla luce dei cambiamenti epocali che stiamo vivendo.

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Il futuro incerto del welfare e l’innovazione che viene dai territori

Alla luce delle profonde trasformazioni sociali, economiche e ambientali in atto, il sistema di welfare italiano si trova da tempo in una fase di radicale ripensamento. La pandemia, le crisi geopolitiche e le tensioni sociali ed economiche degli ultimi anni hanno reso ulteriormente evidente la fragilità del nostro sistema di protezione sociale, mettendo a nudo i limiti strutturali del Welfare State italiano e mostrando come esso fatichi a intercettare e tutelare categorie sempre più numerose e vulnerabili.

La triplice transizione — demografica, ambientale e digitale — e l’emergere di nuove povertà, sempre più multidimensionali, pongono davanti a sfide complesse anche e soprattutto le comunità locali. Che, tuttavia, spesso si stanno dimostrando in grado di proporre risposte inedite e interessanti per affrontarle.

I territori, infatti, possono rappresentare veri e propri laboratori di innovazione sociale. Sebbene la loro incidenza in termini di spesa pubblica sia contenuta, essi in tanti casi sono diventati motori di progettualità collaborativa, capaci di mobilitare risorse aggiuntive e rendere più efficiente l’uso di quelle esistenti. Attraverso un approccio integrato e partecipativo, possono favorire l’aggregazione di risorse formali e informali, la sperimentazione di nuovi ambiti di policy e l’adozione di logiche inclusive e orientate all’investimento sociale.

Conoscere: la cultura del dato come bene comune

L’analisi condivisa dei bisogni sociali richiede dati accessibili, aggiornati, comparabili e disponibili in open access. Superare le barriere culturali, normative e relazionali che ne impediscono la condivisione è cruciale per valorizzare il dato come patrimonio della comunità (ne abbiamo recentemente parlato qui, ndr).

Conoscere significa disporre di strumenti adeguati per comprendere la natura e la portata dei bisogni sociali. L’assenza di dati omogenei, aggiornati e accessibili a livello territoriale rappresenta uno degli ostacoli principali alla pianificazione di interventi efficaci. I dati, spesso frammentati o inaccessibili, impediscono una visione chiara e condivisa delle priorità. Per questo motivo, è essenziale promuovere una cultura del dato fondata sulla mutualità e sulla condivisione. La creazione di luoghi di confronto che favoriscano il confronto informato appare sempre più importante.

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In questo senso la strada degli osservatori territoriali – come OsservaBiella e OsservaBrescia, promossi da Percorsi di secondo welfare insieme a importanti partner territoriali -, rappresenta una risposta concreta: permettono di raccogliere, sistematizzare e rendere disponibili informazioni utili alla definizione di politiche mirate. In tale prospettiva, il dato non è solo strumento tecnico, ma bene comune che contribuisce alla costruzione di un ecosistema collaborativo e orientato all’investimento sociale.

Dalla conoscenza alla realizzazione: coprogettazione e welfare di iniziativa

Un welfare davvero efficace si fonda dunque su una conoscenza approfondita delle persone destinatarie degli interventi e delle politiche. La fase successiva presuppone l’attivazione di processi di lettura del bisogno e l’identificazione proattiva dei soggetti da raggiungere, strutturando servizi capaci di rispondere in modo mirato e tempestivo.

Per realizzare serve quindi capacità di tradurre le conoscenze in azione attraverso la coprogettazione e la coprogrammazione. Perché accada è però fondamentale superare la logica del “welfare on demand”, basata sulla sola risposta a una domanda esplicita, per passare a un “welfare di iniziativa”, capace di anticipare i bisogni e attivare soluzioni efficaci. Questo richiede un attento lavoro di back office, volto a mappare i bisogni, le risorse e le reti locali, e di front office, orientato all’erogazione di servizi pertinenti e accessibili.

La coprogettazione diventa così uno strumento essenziale per coinvolgere i diversi attori del territorio – pubblici, privati e del Terzo Settore – nella definizione condivisa di obiettivi e interventi. Un modo per valorizzare, in un’ottica di platform welfare, competenze diffuse e di costruire risposte integrate, flessibili e capaci di adattarsi alle peculiarità dei contesti territoriali.

Ideare: visioni trasformative e carismatiche per learning community

Per alimentare l’innovazione sociale servono visioni disruptive e coordinate di natura sia tecnica sia politica, capaci di coinvolgere assessorati e dirigenti diversi, e di promuovere nuove competenze e l’uso delle nuove tecnologie, non da ultima l’intelligenza artificiale. In altre parole, servono idee per percorsi di cambiamento trasformativo, contaminando ambienti diversi e incidendo sugli spazi decisionali.

Ideare significa infatti aprirsi a visioni nuove, capaci di sfidare l’esistente e orientare il cambiamento. In un tempo segnato da policrisi e discontinuità, l’ideazione non può limitarsi alla replica di modelli preesistenti. Serve una progettualità generativa, capace di fare tesoro delle esperienze ma anche di pensare soluzioni “dirmpenti”, che non temano la complessità e che promuovano l’ibridazione tra settori, competenze e culture organizzative. In questo senso, le “idee carismatiche” e “camaleontiche” rappresentano paradigmi utili: le prime hanno un potere trasformativo forte e propongono alternative strutturali; le seconde sono più adattive e capaci di diffondersi in contesti diversi, influenzando le pratiche e le politiche in modo sottile ma efficace.

Il welfare locale deve dunque trasformarsi in una piattaforma di apprendimento continuo, una “learning community” in grado di produrre innovazione sociale attraverso la valorizzazione del sapere diffuso e la collaborazione tra soggetti diversi. Pubblica Amministrazione, imprese, Terzo Settore e cittadini devono agire in sinergia per co-costruire un sistema di protezione più inclusivo, equo ed efficiente. La PA  in particolaredeve esercitare un nuovo ruolo, non più solo come erogatore o committente di servizi, ma come garante dello sviluppo della comunità, promotore di governance collaborativa e facilitatore di processi inter-istituzionali.

Per un nuovo paradigma all’altezza del futuro

In sintesi, potremmo dire che quel che oggi è necessario per affrontare le difficoltà del welfare, in particolare a livello territoriale, è un nuovo paradigma basato su una sussidiarietà circolare, dove Pubblico, privato e comunità co-progettano lo sviluppo locale.

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In questo quadro i diversi attori presenti sui territori devono responsabilizzarsi e ripensare il loro modo di agire. La Pubblica Amministrazione come detto deve assumere un ruolo di facilitatore dei processi, garante dell’investimento sociale e promotore di una governance collaborativa. Il Terzo Settore deve invece saper affrontare la sfida dell’impatto, andando oltre la logica prestazionale e rendendosi disponibile ad assumersi il rischio dell’innovazione e orientando la propria azione alla crescita dell’economia sociale. Le imprese, a loro volta, possono divenire agenti di sviluppo territoriale, integrando le politiche di welfare aziendale con quelle locali, in una logica di responsabilità sociale condivisa.

Conoscere, realizzare e ideare sono tre leve interconnesse e complementari per far si che questo accada e per rafforzare la resilienza e la capacità trasformativa delle comunità locali. Solo attraverso questo approccio integrato, collaborativo e visionario sarà possibile affrontare le sfide del presente e costruire un welfare all’altezza del futuro.

 





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