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Enrico Letta: «L’Europa sia acceleratore e non ostacolo per le startup. Urgente che fondi pensioni e assicurazioni investano in innovazione»


Nell’intervista all’ex premier e autore del Rapporto sul futuro del mercato unico nell’UE, focus su giovani, deep tech e non solo. «L’Unione non spende poco in difesa, ma lo fa in maniera frammentata e inefficiente. È una debolezza inaccettabile. Non è necessario spendere di più ma spendere meglio»

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«Le startup deep tech europee spesso non trovano nel nostro continente le condizioni per crescere e quotarsi. E senza un’infrastruttura europea per l’IPO deep tech continueremo a perdere competitività rispetto agli Stati Uniti». StartupItalia ha intervistato Enrico Letta, Presidente del Consiglio dei Ministri dal 2013 al 2014 e attualmente Decano della School of Politics, Economics, and Global Affairs presso l’IE University di Madrid e Presidente dell’Istituto Jacques Delors.

Nel settembre 2023 le istituzioni europee lo hanno incaricato di redigere un Rapporto sul futuro del mercato unico, documento che spesso viene affiancato al Rapporto Draghi. Entrambi sono contributi realizzati per dare una visione e una prospettiva all’Europa. Siamo partiti proprio dal Rapporto Letta per chiedere all’autore il ruolo strategico che startup, giovani e imprenditori stanno giocando.

Enrico Letta, Decano della School of Politics, Economics, and Global Affairs presso l’IE University di Madrid e Presidente dell’Istituto Jacques Delors

L’intervista a Enrico Letta su startup, innovazione e futuro dell’Europa

Nel Rapporto lei propone di trasformare l’attuale Capital Markets Union in una “Savings and Investments Union” per trattenere i risparmi privati in Europa e attrarne di nuovi dall’estero. Quali strumenti concreti immagina per coinvolgere i giovani imprenditori e le startup in questo progetto?
L’obiettivo è costruire un ecosistema finanziario europeo capace di sostenere concretamente le startup e i giovani imprenditori. Proponiamo strumenti europei di risparmio e pensionistici, capaci di canalizzare i risparmi dei cittadini verso investimenti nell’economia reale anche grazie a incentivi fiscali coordinati. Per le startup, in particolare quelle deep tech, occorre facilitare l’accesso ai mercati dei capitali creando condizioni normative e fiscali favorevoli, ad esempio attraverso fondi europei specializzati e un mercato borsistico dedicato. Intendiamo inoltre rafforzare l’ELTIF, rendendolo più attrattivo per il pubblico retail. Tutto questo può – e deve – avvicinare il risparmio europeo al mondo imprenditoriale innovativo.

Lei sottolinea come gli acquisti pubblici possano diventare un volano per le startup e le PMI europee, ma finora il criterio prezzo ha prevalso sulla qualità e l’innovazione. Quali modifiche regolamentari suggerisce per obbligare Stati e istituzioni a riservare una quota minima di “procurement” innovativo?
È fondamentale che gli appalti pubblici vengano usati come leva strategica per promuovere innovazione e sostenere l’ecosistema imprenditoriale europeo. Da diversi anni l’UE si è proposta di superare un approccio agli appalti basato sul prezzo, ma serve maggiore impegno in tal senso. Serve un sistema di appalti più flessibile, con piattaforme trasparenti e procedure snelle, che premi la qualità progettuale e la capacità di generare impatto positivo. Dobbiamo superare una visione solo contabile del procurement e valorizzare il potenziale trasformativo degli investimenti pubblici.

Nel rapporto propone di inserire una quinta libertà – ricerca, innovazione e istruzione –, analogamente alle quattro esistenti. In concreto, come intende garantire che le università e i centri di ricerca europei rafforzino la collaborazione con le startup deep tech?
La quinta libertà mira a rendere la conoscenza – nella sua dimensione educativa, scientifica e innovativa – un elemento costitutivo del Mercato Unico europeo, al pari della libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Per concretizzarla, occorre integrare più strettamente università, centri di ricerca e startup deep tech in un’unica infrastruttura europea dell’innovazione. Proponiamo un rafforzamento degli strumenti di co-finanziamento pubblico-privato, meccanismi di mobilità strutturata tra accademia e impresa, e incentivi per la condivisione dei risultati della ricerca, garantendo allo stesso tempo il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. Le università devono essere incentivate non solo a formare talenti, ma a collaborare attivamente con chi crea nuovi prodotti e servizi, in particolare nei settori a più alto contenuto tecnologico. In questo modo, la quinta libertà può diventare il ponte tra il sapere europeo e la sua applicazione industriale. 

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Enrico Letta (a sinistra) con la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il segretario generale della NATO Mark Rutte

Evidenzia che le startup Deep Tech (AI, quantum, biotech) affrontano un deficit di capitali e un mercato IPO frammentato. Quali iniziative europee servono secondo lei per creare un vero “EU Stock Exchange for Deep Tech” capace di competere con NASDAQ?
Le startup deep tech europee spesso non trovano nel nostro continente le condizioni per crescere e quotarsi. Proponiamo di creare un segmento borsistico europeo specifico per queste imprese, con regole di listing semplificate, valutazioni più aderenti ai modelli di business innovativi e supervisione centralizzata da parte dell’ESMA. È inoltre urgente rivedere le normative prudenziali per incentivare i fondi pensione e assicurativi a investire nel settore. Senza un’infrastruttura europea per l’IPO deep tech, continueremo a perdere competitività rispetto agli Stati Uniti.

Parla di istituire European Data Spaces e di sfruttare GDPR, Data Act e Data Governance Act per favorire la libera circolazione di dati non personali a beneficio di AI e innovazione. Può illustrarci come queste misure possano tradursi in opportunità concrete per le startup italiane di intelligenza artificiale?
Le startup italiane, spesso molto brillanti, soffrono per l’accesso limitato a dataset europei interoperabili. I regolamenti europei creano le condizioni per una condivisione sicura di dati, nel rispetto della privacy, ma con l’obiettivo di costruire veri e propri spazi europei dei dati. Per le startup significa avere accesso a dataset pubblici e industriali, sfruttabili per l’addestramento di modelli di AI, prototipazione, simulazione. L’UE può fare da moltiplicatore se crea regole chiare, infrastrutture affidabili e un contesto competitivo equo.

Nel Rapporto Letta spiega poi come le barriere regolatorie impediscano a molte PMI di esportare oltre i confini nazionali. A suo avviso, quali misure rapide potrebbero incentivare i giovani imprenditori italiani a scalare sul mercato UE senza dover ricorrere a consulenti esterni?
Le barriere regolatorie sono una delle principali cause della frammentazione del Mercato Unico. Oggi, per una PMI italiana entrare in un altro Paese UE significa affrontare 27 regimi normativi diversi: è insostenibile. Per questo propongo l’introduzione di un “28° ordinamento”, un codice opzionale europeo per il diritto delle imprese, semplice, uniforme. Le imprese potrebbero adottarlo su base volontaria, evitando così l’onere di adattarsi a normative nazionali multiple. È un modo concreto per semplificare la vita a giovani imprenditori e startup, riducendo tempi e costi. 

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Lei invita a facilitare l’ingresso di startup in progetti strategici. Quali esempi virtuosi europei suggerisce di replicare per rendere appetibili queste collaborazioni ai venture capitalist?
Esistono modelli già funzionanti, come gli IPCEI, che hanno mostrato come sia possibile mettere insieme grandi aziende, università e startup per sviluppare filiere strategiche. Propongo di estendere questo schema anche al digitale, alla difesa, alla salute. Per renderlo più attrattivo ai venture capitalist occorre semplificare le procedure, accorciare i tempi di valutazione e soprattutto prevedere strumenti di derisking, con garanzie pubbliche o equity pubblico-privato. Le startup devono vedere nell’Europa non un ostacolo burocratico, ma un acceleratore.

Tra le sue proposte c’è la creazione di un “European Knowledge Commons”, piattaforma digitale per dati e ricerca pubblica. Come pensa di incentivare i ricercatori a condividere know-how e prototipi con il settore privato, mantenendo al contempo diritti di proprietà intellettuale?
Il Knowledge Commons europeo può rappresentare una piattaforma aperta e sicura per la condivisione di dati scientifici, prototipi, risultati di ricerca. Per incentivare il coinvolgimento dei ricercatori, occorre prevedere forme di valorizzazione della proprietà intellettuale in forma cooperativa, non cessione integrale dei diritti, ma licenze d’uso condizionate a ricadute sul territorio o sull’ecosistema europeo. Inoltre, va riconosciuto il valore di questa attività nella valutazione accademica, anche attraverso nuovi indicatori di impatto.

Cosa proporrebbe per attrarre i giovani talenti delle startup verso le migliori università UE e trattenere così il capitale umano in Europa?
Serve un vero Erasmus delle startup. Proponiamo di estendere la mobilità anche al mondo dell’innovazione e dell’imprenditorialità, con programmi europei che favoriscano la connessione tra startup e università di eccellenza. Inoltre, occorre potenziare le “European University Alliances” e creare corsi congiunti che rilascino diplomi europei, come la proposta del “European Degree”. Per trattenere i talenti, vanno sostenuti cluster locali in grado di offrire lavoro qualificato, servizi, infrastrutture e un ambiente di vita attrattivo.

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Enrico Letta

Il Rapporto Letta cita il recente AI Act come passo fondamentale, ma ammette che i modelli più potenti sono nati fuori dall’UE. Come conciliare la necessità di rigore etico con la velocità di sviluppo richiesta dalle startup AI europee per rimanere competitive?
L’AI Act è un progresso storico perché pone le basi per uno sviluppo dell’intelligenza artificiale che sia compatibile con i valori europei. Ma dobbiamo evitare che la regolazione diventi un ostacolo alla crescita delle nostre startup. Propongo quindi una governance dinamica, con “regulatory sandboxes” europee che permettano alle startup di sperimentare tecnologie in un quadro di regole flessibili ma monitorato. In parallelo, va potenziato l’accesso ai dati, al calcolo ad alte prestazioni e al capitale di rischio.

C’è anche il tema difesa, su cui l’Europa sta discutendo a fondo. Che ne pensa a riguardo?
Mai avrei pensato di occuparmi tanto di difesa preparando un rapporto sul Mercato Unico. Ma oggi sicurezza e competitività sono strettamente connesse, a maggior ragione alla luce di quello che sta accadendo dall’altra sponda dell’Atlantico. Proponiamo la creazione di un vero Mercato Comune della Difesa: appalti comuni, standard interoperabili, e investimenti europei per rafforzare l’industria del settore. L’Europa non spende poco in difesa, ma lo fa in maniera frammentata e inefficiente. È una debolezza inaccettabile. Non si tratta necessariamente di spendere di più ma di spendere meglio. Dobbiamo costruire una base industriale europea della difesa, con progetti comuni e una strategia condivisa.

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Cosa la rende ottimista rispetto al futuro dell’Europa in un periodo così complesso della storia?
Il viaggio che ho fatto per scrivere questo Rapporto mi ha restituito fiducia. Ho incontrato cittadini appassionati, giovani pieni di idee, e tanti imprenditori e lavoratori determinati. L’Europa non è perfetta, ma è insostituibile. Ogni crisi l’ha resa più consapevole del suo valore. Oggi abbiamo davanti una scelta: frammentarci e declinare, oppure unirci e contare. Le energie ci sono, le proposte pure. Serve ora coraggio politico. Sono ottimista perché credo nella forza della cooperazione, della solidarietà e nella capacità dell’Europa di reinventarsi restando fedele ai suoi valori più profondi.





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