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In Italia piccoli-grandi imprenditori affrontano sfide e creano lavoro


Negli ultimi 25 anni, l’Italia ha registrato una crescita significativa nel numero di imprenditori, passando da circa 3,7 milioni nel 2001 a quasi 5 milioni nel 2025, con un incremento del 16%. Questo trend positivo è accompagnato da un aumento della presenza femminile nel mondo imprenditoriale: le donne rappresentano oggi il 30% degli imprenditori, rispetto al 23% di inizio millennio. Con 21 imprenditori ogni 1.000 lavoratori, l’Italia si colloca al vertice in Europa per tasso di imprenditorialità, superando la media europea.

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Le piccole e medie imprese (PMI) italiane impiegano il 76% degli addetti nazionali e contribuiscono per circa il 63% alla creazione di valore aggiunto, rispetto al 56% della media europea. Molte di queste realtà economiche sono a conduzione familiare, uno dei motivi chiave che consente una grande resilienza, una forte coesione interna e una capacita di adattamento, fondamentali nei momenti critici.

Il piccolo e medio imprenditore, a differenza degli omologhi europei, quotidianamente, deve affrontare la più soffocante burocrazia del mondo e un pressante regime fiscale, un gap che pesa nella competizione mondiale. Nonostante tutto, le aziende tricolore sono in grado di offrire prodotti e servizi di qualità nettamente superiore.

In Italia gli imprenditori lavorano più dei loro dipendenti

Secondo la recentissima ricerca della Società di consulenza e servizi alle imprese “Verum Partners”, gli imprenditori italiani lavorano in media oltre 41 ore a settimana, superando le 36 ore medie degli altri lavoratori. Il 10% di loro si concede solo una settimana di vacanza all’anno.

Nonostante le sfide, molti imprenditori considerano il pranzo un’opportunità per sviluppare contatti di affari (abbracciando con convinzione uno dei pilastri del patrimonio immateriale alla Dieta Mediterranea: la convivialità), mantenendo viva la tradizione del networking durante i pasti.

L’Italia presenta un numero di startup pari a 234 per milione di abitanti, superiore alla media europea di 180, ma inferiore a paesi come Regno Unito (406), Germania (386) e Francia (253). L’Estonia guida la classifica con 865 startup per milione di abitanti. Nonostante alcuni successi, l’ecosistema delle startup italiane affronta diverse criticità. Secondo numerose testimonianze di imprenditori, esistono problemi legati alla burocrazia, all’accesso ai finanziamenti e alla presenza di investitori poco trasparenti. Alcuni denunciano una cultura del “magna magna”, dove fondi pubblici vengono assegnati a soggetti non sempre meritevoli, e una rete di relazioni che penalizza chi non appartiene a determinati circuiti.

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Le prospettive future

Fabrizio Piccoli, CEO di Verum Partners, ha sottolineato l’importanza di sostenere e incoraggiare gli imprenditori italiani: “L’Italia si conferma una terra ricca di persone geniali e intraprendenti. Chi fa impresa, però, deve superare ostacoli e difficoltà e va perciò sostenuto e supportato”. Per valorizzare appieno il potenziale imprenditoriale del paese, è fondamentale affrontare le sfide strutturali, promuovere un ecosistema più trasparente e inclusivo, e incentivare l’innovazione dei processi produttivi attraverso politiche mirate, infrastrutture digitali e investimenti adeguati. L’Italia dispone di un tessuto imprenditoriale vivace e resiliente, ma per garantire una crescita sostenibile e competitiva è necessario un impegno congiunto di istituzioni, imprese e società civile.

In conclusione, come dimostrano i dati della recente iniziativa referendaria sul lavoro, i giovani, gli innovatori e i piccoli imprenditori guardano con interesse allo sviluppo economico nazionale e alle dinamiche economiche commerciali, abbandonando completamente le logiche lavorative proposte dai sindacati ancorata ad un’idea estinta di “lotta di classe”.

Se oggi vogliamo riprendere il concetto di “scontro di classe”, dovremmo avere la responsabilità di identificarlo nella sua accezione contemporanea: imprenditori e giovani professionisti che vivono di mercato in un clima di libera concorrenza contro chi vive di Stato, grazie alle tasse pagate da chi davvero produce ricchezza.



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