L’Unione europea si trova a un bivio decisivo nel suo percorso verso la trasformazione digitale: lo evidenzia il nuovo rapporto “Stato del Decennio Digitale 2025”, pubblicato dalla Commissione europea. Il documento, che fa parte dell’annuale pacchetto di monitoraggio del Programma di politica per il Decennio Digitale 2030, fotografa i progressi compiuti, segnala le criticità e propone raccomandazioni concrete per colmare i divari tra gli Stati membri.
Un rapporto decisamente autocelebrativo (si parla addirittura di una Ue digitalmente più matura, con avanzamenti nella digitalizzazione dei servizi pubblici, nella copertura 5G di base) che non tiene conto dell’eccessiva burocratizzazione verso l’innovazione in Ue, la risibile dotazione finanziaria messa a disposizione (rispetto ai colossi USA e Cina) e alla perdita di attrattività del Vecchio Continente da parte dei talenti.
Persistono, ancora, gravi ritardi strutturali in aree strategiche come le infrastrutture di connettività (fibre e 5G stand-alone), l’adozione industriale dell’intelligenza artificiale e il rafforzamento delle competenze digitali tra i cittadini.
Senza contare che continuano a mancare azioni rapide e incisive per consolidare la sovranità digitale e ridurre le dipendenze tecnologiche dall’esterno, soprattutto nei settori dei semiconduttori, del cloud, della cybersicurezza e delle infrastrutture dati.
L’Ue, dall’alto della propria autoreferenzialità, continua a subire gli effetti perversi della fragilità delle proprie infrastrutture digitali (cavi sottomarini, satelliti, nodi edge), spesso esposte a rischi esterni e carenze di sicurezza. Vulnerabilità confermata anche dalla dipendenza strategica dai fornitori non europei per esempio per i servizi di IA, cloud e componenti critici (a voglia ad avere una azienda come NVIDIA in Europa), dall’ignoranza cronica dei cittadini europei in materia digitale (fomentata dalle pessime allocazioni di risorse da parte dell’Ue). Solo il 55,6% dei cittadini europei possiede competenze digitali di base, mentre la carenza di specialisti ICT avanzati — con un marcato divario di genere — frena lo sviluppo in settori chiave come la cybersicurezza e l’intelligenza artificiale.
Manca poi una sinergia di fatto tra i settore civile e della difesa – con una crescente distanza tra i due poli, rallentando lo sviluppo di tecnologie digitali a duplice uso, come l’Intelligenza artificiale – e una strategia di impatto per ridurre le disuguaglianze e vulnerabilità, in particolare tra i minori e in ambito di salute mentale e pensiero critico. L’integrità dell’informazione, poi, è minacciata da fake news e manipolazione online. Ma, come ricordano le tante Agenzie preposte all’erogazione dei fondi europei, questi sono temi di secondario aspetto. Meglio finanziare le puttanate!
Secondo il rapporto, il 2025 sarà un anno cruciale per accelerare gli interventi e raggiungere gli obiettivi del Decennio Digitale. Se realizzati appieno, gli obiettivi potrebbero generare un incremento del PIL europeo fino all’1,8%, rafforzando al contempo la sovranità tecnologica e la sicurezza dei cittadini. La storia, però, andrà diversamente, confermando l’ennesima occasione mancata per l’Ue di rimettersi in carreggiata.
Continueranno, infatti, a mancare gli investimenti strategici e accessibili per sostenere la connettività avanzata, lo sviluppo dei semiconduttori, la ricerca nell’Intelligenza Artificiale, la cybersicurezza e lo sviluppo delle competenze digitali dei cittadini. Tra i 1.910 interventi previsti dai piani nazionali, infatti, nell’Ue a 27, si è stanziato soltanto la somma di 288 miliardi di euro, pari all’1,14% del PIL Ue.
Difficile, inoltre, assistere ad una semplificazione normativa: chi avrà, in un contesto burocratico e iper regolamentato come l’Ue, la capacità di ridurre gli oneri amministrativi e burocratici per le imprese?
foto PhotoMIX-Company da pixabay.com
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