Andamento lento e in chiaroscuro per l’economia dell’Umbria. Se da un lato si registra una moderata crescita di Pil (+0,7%), in linea con la media nazionale, e il settore turistico festeggia un’espansione record con export e costruzioni che regalano barlumi di positività, dall’altro si evidenziano criticità strutturali che frenano lo sviluppo del territorio. E’ quanto emerge dal rapporto della Banca d’Italia presentato ieri mattina dalla capo filiale di Perugia, Miriam Sartini insieme agli economisti del Nucleo per la ricerca economica della Banca d’Italia, Giovanni Battista Carnevali e Daniele Marangoni.
Il dato più preoccupante è forse il sorpasso, per il secondo anno consecutivo, delle cessazioni d’impresa sulle nuove iscrizioni, un segnale di fragilità strutturale unico nel panorama italiano. A questo si aggiungono la perdurante debolezza degli investimenti privati e dei consumi, nonché una produttività in calo che allarga il divario con il resto del Paese.
L’agricoltura – è stato evidenziato – ha finalmente rivisto il sereno, tornando a crescere grazie a condizioni climatiche più favorevoli e recuperando le perdite dell’anno precedente. La produzione di grano è aumentata e l’Umbria si conferma leader nazionale per il tabacco.
Nel comparto industriale, il quadro è meno roseo: le vendite hanno continuato a ridursi a causa della debole domanda interna, con un valore aggiunto pressoché stazionario. La persistente fragilità manifatturiera si è tradotta in un aumento delle richieste di cassa integrazione invertendo un trend triennale di calo. Le imprese umbre, nonostante condizioni di finanziamento più favorevoli e un’elevata disponibilità di liquidità, mostrano una bassa propensione a investire, complice l’incertezza e il limitato utilizzo della capacità produttiva. Il settore delle costruzioni, invece, ha continuato a dare un contributo positivo, seppur rallentato. Questo comparto ha mostrato una struttura produttiva irrobustita negli ultimi anni, con imprese più solide capaci di guardare anche oltre i confini regionali.
L’accelerazione degli investimenti pubblici, in particolare quelli legati al Pnrr e gli interventi di ricostruzione post-sisma hanno controbilanciato il ridimensionamento degli incentivi all’edilizia privata.
Il terziario ha mantenuto una crescita moderata. Il turismo è stato un vero motore, proseguendo la sua espansione post-pandemica con un nuovo massimo di presenze nel 2024 (+6,4% sull’anno precedente, contro il +2,5% italiano). Particolarmente vivace il turismo straniero e le strutture extralberghiere. Anche l’economia sociale, con le sue 7.500 organizzazioni e un numero di occupati superiore alla media nazionale ed europea, ha assunto un ruolo di rilievo.
Dal punto di vista del lavoro, il 2024 ha segnato un anno positivo: l’occupazione è aumentata in modo sostenuto, con segnali incoraggianti soprattutto per il lavoro autonomo, che cresce significativamente. Il tasso di partecipazione ha raggiunto un massimo storico, mentre quello di disoccupazione è sceso a livelli molto bassi, in particolare tra i laureati.
Tuttavia, la regione fatica a trattenere i giovani qualificati, che spesso trovano opportunità migliori altrove. Intanto, si profila un’importante trasformazione del mercato del lavoro con la diffusione dell’intelligenza artificiale: l’Umbria risulta esposta a questi cambiamenti in misura significativa, seppur leggermente meno della media nazionale.
Il potere d’acquisto delle famiglie umbre è aumentato grazie all’incremento delle retribuzioni e alla decisa riduzione dell’inflazione. Nonostante ciò – evidenzia il report – i consumi sono cresciuti solo moderatamente, beneficiando solo in parte dell’espansione del reddito. Gli acquisti di beni durevoli, in particolare autoveicoli, hanno mostrato una dinamica più marcata, sostenuti dal ricorso al credito al consumo. Le compravendite di abitazioni e i mutui immobiliari sono rimasti stazionari, benché il calo dei tassi d’interesse stia ravvivando la domanda nel 2025.
La ricchezza netta delle famiglie umbre, seppur in lieve crescita nominale nel 2023, rimane al di sotto della media nazionale pro capite. A prezzi costanti, si registra un calo significativo rispetto al 2013, imputabile soprattutto alla contrazione delle attività reali. Il mercato del credito ha visto un’attenuazione della contrazione dei prestiti all’economia regionale, con una ripresa per le famiglie, ma il calo persiste nel settore produttivo, in particolare per le piccole imprese e nell’edilizia. La qualità del credito è peggiorata, soprattutto per l’industria manifatturiera. Anche la rete bancaria territoriale continua il suo ridimensionamento.
La spesa degli enti locali è cresciuta, soprattutto per effetto dei costi del personale e della ripresa della spesa sanitaria, più marcata rispetto al resto d’Italia. Si aggrava però il saldo della mobilità sanitaria, che resta negativo dal 2019 e peggiora ulteriormente. Sul fronte degli investimenti pubblici si registra invece un progresso significativo: l’Umbria ha superato la media nazionale pro capite, con oltre il 90% delle gare bandite già aggiudicate e la maggior parte dei lavori avviati, grazie alla forte spinta dei finanziamenti legati al Pnrr.
Lo sguardo di lungo periodo rivela tuttavia un problema più profondo. Dal 2000 l’Umbria ha vissuto una crescita più lenta e meno intensa rispetto al resto del Paese, segnando crisi più gravi e riprese meno robuste.
Il nodo centrale è la produttività, in costante calo e con una dinamica peggiore di qualunque altra regione italiana. A questa criticità si affianca una debole capacità innovativa, come dimostrano gli indicatori su spesa in ricerca e sviluppo, brevetti e digitalizzazione, tutti inferiori alla media nazionale ed europea.
Il sistema universitario umbro, sebbene attrattivo per gli studenti e con una buona propensione alla creazione di imprese accademiche, mostra un’offerta di corsi scientifici inferiore alla media nazionale e una minore attrattività di tali ambiti per gli studenti da fuori regione.
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