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gli incentivi per l’investimento nel Venture Capital


La Legge per la Concorrenza ha modificato la disciplina dell’agevolazione per gli investimenti di enti previdenziali e fondi pensione introducendo come condizione per fruire del beneficio fiscale un livello minimo di investimenti in Fondi per il Venture Capital. Tale intervento, che si pone l’obiettivo di favorire l’afflusso delle risorse degli investitori istituzionali verso il settore dell’innovazione, presenta delle criticità interpretative che potrebbero renderne difficoltosa l’applicazione. Nell’articolo vengono analizzate le novità della disciplina con i relativi dubbi interpretativi e vengono proposte possibili soluzioni applicative e di modifica.

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1. Gli incentivi per investimenti nell’economia reale per gli enti previdenziali

Gli enti di previdenza obbligatoria di cui al D.Lgs. n. 509/1994 e al D.Lgs. n. 103/1996 (c.d. “Casse di Previdenza”) e le forme di previdenza complementare di cui al D.Lgs. n. 252/2005 (c.d. “Fondi Pensione”) sono i principali investitori “istituzionali” destinatari di misure di incentivazione fiscale per gli investimenti nell’“economia reale” italiana.

A tali soggetti si applica infatti la disciplina di cui all’art. 1, commi 88 e ss., della L. n. 232/2016 e s.m.i. (“Legge di Bilancio 2017”)[1] che consente loro di beneficiare dell’esenzione da imposizione sui redditi finanziari (di capitale e diversi di natura finanziaria) generati da alcune categorie di investimenti, tra cui quelli diretti e indiretti (tramite OICR prevalentemente investiti) nel capitale di imprese residenti, fondi credito con alcune caratteristiche peculiari[2] e fondi di venture capital (“Investimenti Qualificati”)[3], a condizione che siano detenuti per almeno 5 anni (holding period)[4] e nei limiti del 10% dell’attivo patrimoniale risultante dal rendiconto dell’esercizio precedente dell’ente previdenziale (plafond)[5].

Gli enti previdenziali sono altresì beneficiari dell’esenzione sui redditi finanziari generati da investimenti in Piani Individuali di Risparmio (“PIR”)[6], sia ordinari che c.d. alternativi la cui disciplina condivide tratti applicativi in parte comuni con quella prevista per gli Investimenti Qualificati dalla Legge di Bilancio 2017[7].

L’esenzione fiscale sui redditi finanziari generati dagli Investimenti Qualificati e dai PIR, per quanto riguarda le Casse di Previdenza comporta l’esenzione da IRES e impedisce altresì l’applicazione di qualsivoglia ritenuta[8], mentre per quanto riguarda i Fondi Pensione – che non sono soggetti generalmente a ritenute alla fonte (sono c.d. “lordisti”) – comporta che i relativi proventi non concorrono alla formazione del risultato netto maturato di gestione cui si applica l’imposta sostitutiva di cui all’art. 17 del D.lgs. n. 252/2005.

L’esenzione è applicata in via provvisoria[9] ancorché i redditi sono percepiti prima del decorso dell’holding period[10].

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2. Le novità introdotte dall’art. 33 della L. n. 193/2024

L’art. 33, comma 1, lettere a) e b) della L. n. 193/2024[11] (“Legge Concorrenza”) ha modificato la disciplina agevolativa di cui all’art. 1, commi 88 e ss., della Legge di Bilancio 2017, stabilendo quale (ulteriore) condizione di accesso al regime di non imponibilità per i redditi derivanti da Investimenti Qualificati[12] effettuati da Casse di Previdenza e Fondi Pensione che «gli investimenti qualificati in quote o azioni di Fondi per il Venture Capital di cui al comma 89, lettera b-ter), siano almeno pari al 5 per cento del paniere degli investimenti qualificati risultanti dal rendiconto dell’esercizio precedente e, a partire dall’anno 2026, almeno pari al 10 per cento del paniere degli investimenti qualificati risultanti dal rendiconto dell’esercizio precedente».

Il successivo comma 2 dell’art. 33 della Legge concorrenza detta il regime relativo agli Investimenti Qualificati già effettuati, prevedendo che «è fatto salvo il riconoscimento del beneficio fiscale sui redditi finanziari derivanti dagli investimenti già effettuati, ai sensi dell’articolo 1, commi 88 e seguenti e commi 92 e seguenti, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, alla data di entrata in vigore della presente legge».

La nuova disposizione è diretta a indirizzare gli investimenti degli enti previdenziali verso il settore dell’innovazione italiana[13], rispondendo alla loro ridotta allocazione in tale asset class. Infatti nella prospettiva degli enti previdenziali si tratta di investimenti che, pur avendo prospettive di rendimenti più elevati di altri nel lungo periodo, potrebbero non consentire (almeno all’avvio) la distribuzione costante dei flussi di cassa necessari per adempiere alle prestazioni previdenziali[14].

La formulazione della norma[15] richiede in altri termini che a regime (dal 2026) il risultato del rapporto tra investimenti in FVC (numeratore) e Investimenti Qualificati (denominatore) deve essere almeno pari al 10% (5% nel 2025) affinché – tenendo conto della salvaguardia[16] per gli Investimenti Qualificati esistenti all’entrata in vigore della Legge Concorrenza (18.12.2024) – i “nuovi” Investimenti Qualificati possano beneficiare dell’esenzione.

Per individuare esattamente i termini del rapporto occorre affrontare alcune questioni interpretative che devono necessariamente essere trattate nell’ambito della disciplina dell’agevolazione di cui alla Legge di Bilancio 2017.

Definizione di “paniere degli investimenti qualificati”

Innanzitutto, occorre chiedersi cosa debba intendersi con l’espressione «paniere degli investimenti qualificati risultanti dal rendiconto dell’esercizio precedente» che costituisce il denominatore del rapporto.

Dal punto di vista letterale, dovrebbero ritenersi inclusi nel “paniere” esclusivamente gli Investimenti Qualificati, vale a dire esclusivamente quelli individuati dal comma 89 dalla Legge di Bilancio 2017. Infatti, le disposizioni applicabili sia alle Casse di Previdenza che ai Fondi Pensione espressamente citano esclusivamente gli “investimenti qualificati” e, più nel dettaglio, la specifica norma applicabile alle Casse di Previdenza rinvia esclusivamente al comma 89[17].

Conseguentemente, gli investimenti in PIR non dovrebbero concorrere ad alimentare il denominatore del rapporto né l’esenzione sui relativi proventi sarebbe da ritenere sottoposta alla condizione posta dalla Legge Concorrenza.

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Ciononostante, qualche dubbio interpretativo potrebbe emergere dal difetto di coordinamento che sembrerebbe esservi con la specifica norma applicabile ai Fondi Pensione[18] e con la norma di salvaguardia[19] che rinviano espressamente a specifiche disposizioni applicabili anche agli investimenti in PIR[20]. Considerato dunque che la rilevanza o meno degli investimenti PIR avrebbe una significativa portata applicativa sarebbe opportuno un chiarimento espresso da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Quanto alla valorizzazione del “paniere”, il riferimento normativo «al rendiconto dell’esercizio precedente» automaticamente rinvierebbe ai criteri di contabilizzazione degli Investimenti Qualificati applicati in concreto dagli enti previdenziali, tenendo conto che le Casse di Previdenza generalmente applicano il criterio del costo storico mentre i Fondi Pensione applicano il valore corrente[21].

Occorre tuttavia considerare che in linea di principio l’agevolazione fiscale è riferita alle “somme destinate” agli Investimenti Qualificati (e ai PIR), quindi a rigore il “paniere” dovrebbe essere costituito dalle “somme” che hanno concorso a determinarlo e non dovrebbe essere influenzato dall’andamento del valore del mercato, né da eventuali svalutazioni per perdite durevoli di valore (nel caso del costo storico). Ciò rileva in particolare per valutare quali incrementi e decrementi dell’attivo dovrebbero rilevare sulla capienza del plafond.

Il concetto di “somme destinate” dovrebbe rilevare con riferimento al momento in cui si ritiene che l’investimento entri nel “paniere”. Da quest’ultimo punto di vista non risulta problematico l’investimento diretto in strumenti azionari (il cui acquisto si perfeziona sostanzialmente con il relativo pagamento), mentre potrebbe esservi qualche criticità nel caso di fondi d’investimento chiusi (fondi di private equity, private debt[22], FVC) che operano secondo il meccanismo del “richiamo” del capitale sottoscritto lungo la durata del periodo d’investimento (e a mano a mano che si presentano le relative opportunità) [23].

Per questi investimenti, soltanto la quota “richiamata” è effettivamente iscritta nell’attivo del rendiconto dell’ente previdenziale con la conseguenza che soltanto essa potrà concorrere al “paniere” degli Investimenti Qualificati[24], mentre l’ammontare degli impegni avrebbe una mera funzione previsionale delle risorse che devono risultare disponibili e che potranno prospetticamente affluire verso tale investimento.

Ciononostante, con riferimento alla portata applicativa della salvaguardia prevista dall’art. 33, comma 2, della Legge Concorrenza, sarebbe auspicabile considerare a tal fine “investimenti già effettuati” tutte le quote o azioni di fondi sottoscritte sebbene non ancora completamente richiamate; diversamente le stesse subirebbero una penalizzazione (retroattiva) della disciplina fiscale applicabile in contrasto con le finalità della salvaguardia.

Verifica del rispetto del plafond minimo in FVC

Quanto alle modalità di determinazione del numeratore del rapporto, la novella legislativa non specifica né come calcolare il plafond minimo del 10% (5% nel 2025) del “paniere” da investire in FVC, né quando verificarne il rispetto, né quali siano le conseguenze in caso di mancato raggiungimento della soglia, limitandosi a prevedere che tale requisito condiziona l’accesso all’agevolazione (al netto della salvaguardia per gli investimenti esistenti).

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In primo luogo occorre valutare – soprattutto considerato che i FVC funzionano con il meccanismo dei richiami degli impegni sottoscritti –se tale soglia debba riferirsi agli importi sottoscritti ovvero soltanto a quelli effettivamente richiamati e dunque “versati” nel FVC.

Coerentemente con la modalità di computo del “paniere”, è del tutto ragionevole ritenere che il plafond minimo sia da calcolare tenendo conto degli importi (“somme”) effettivamente richiamati dai gestori di FVC e dunque “versati”.

Tuttavia, occorre rilevare che, come evidenziato da più parti[25], potrebbe risultare molto complesso per gli enti previdenziali rispettare il plafond minimo, soprattutto nei primi anni di avvio della disciplina, in quanto i FVC avrebbero tempistiche di richiamo lunghe e difficilmente programmabili su cui l’investitore non ha alcun controllo essendo dipendenti dai gestori dei FVC (e dalle opportunità offerte dal mercato).

Pertanto, potrebbe a prima vista sembrare opportuno calcolare il plafond minimo sulla base degli importi sottoscritti dall’ente investitore, sebbene non ancora richiamati dal gestore del FVC, al fine di facilitare il raggiungimento di tale soglia. Certo è che, per consentire a tale disciplina di incrementare gli afflussi al venture capital da parte degli enti previdenziali tenendo conto degli impegni in FVC (e non dei versamenti) occorrerebbe innalzare la percentuale del plafond minimo al disopra del 10%[26], il che richiederebbe un intervento normativo specifico[27].

Quanto al momento in cui deve essere integrato il plafond minimo e alle conseguenze del mancato raggiungimento una prima tesi, più restrittiva, potrebbe portare a ritenere che al momento di effettuazione di nuovi Investimenti Qualificati[28], sarà necessario che sia prima soddisfatta la condizione del plafond minimo in FVC, altrimenti tali investimenti (sarebbero comunque salvi quelli coperti dalla norma di salvaguardia) non potrebbero ritenersi qualificati e non potrebbero beneficiare (mai) della disciplina agevolativa.

Una seconda tesi, sostenuta recentemente da Assogestioni[29], porterebbe a ritenere che il raggiungimento del plafond minimo rileverebbe esclusivamente ai fini del regime fiscale dei redditi relativi ai nuovi Investimenti Qualificati effettuati nell’anno[30], i quali manterranno tale beneficio anche negli anni successivi. In altri termini, al raggiungimento del plafond minimo tutti i redditi prodotti successivamente a tale momento su Investimenti Qualificati effettuati nell’anno sono attratti nel beneficio fiscale[31].

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Nonostante tale approccio sia nella giusta direzione, un affinamento interpretativo ulteriore (che non richiederebbe modifiche all’attuale formulazione della norma ma di cui sarebbe auspicabile ricevere conferma dall’Amministrazione finanziaria) potrebbe condurre a ritenere che, nell’anno in cui viene integrato il plafond minimo, non soltanto gli investimenti dell’anno bensì tutti i nuovi Investimenti Qualificati medio tempore effettuati (esclusi quelli già oggetto di salvaguardia) verrebbero attratti nel regime agevolato, entrando dunque a titolo definitivo nel “paniere”.

In termini più semplici, il raggiungimento del plafond minimo sarebbe da considerare come il termine iniziale (dies a quo) per l’applicazione e mantenimento negli anni successivi dell’esenzione fiscale sui redditi generati da tutti i nuovi Investimenti Qualificati effettuati successivamente all’entrata in vigore della Legge Concorrenza (al fine di rispettare la clausola di salvaguardia)[32].

Si veda il seguente esempio numerico:

Tale interpretazione avrebbe il pregio di contemperare l’esigenza di accelerare l’afflusso di risorse effettive[33] al settore del venture capital con quella di certezza degli enti previdenziali riguardo all’applicazione dell’esenzione fiscale su tutti i nuovi Investimenti Qualificati che verrebbe riconosciuta quanto più rapidamente tali soggetti riescono a raggiungere il plafond minimo in FVC.

E’ evidente tuttavia che fintantoché non si raggiunga il plafond minimo i redditi rivenienti dai nuovi Investimenti Qualificati non coperti da salvaguardia sarebbero tassati ordinariamente. Con particolare riferimento agli investimenti in fondi di private equity e FVC è dunque ragionevole che – seguendo questa tesi – i relativi gestori ottengano dalla Cassa di Previdenza[34] un’apposita dichiarazione da parte dell’ente previdenziale, quantomeno prima della distribuzione dei proventi (ai fini dell’applicazione o meno della ritenuta).

Definizione di FVC

Quanto alla definizione di FVC, la modifica introdotta della Legge concorrenza rinvia espressamente alla disposizione di cui all’art. 1, comma 89, lett. b-ter) della Legge di Bilancio 2017[35] che renderebbe applicabile la definizione contenuta nell’art. 1, comma 213 della Legge di Bilancio 2019[36], secondo cui sono Fondi per il Venture Capital (FVC), gli OICR che destinano almeno il 70% dei capitali raccolti in investimenti in favore di PMI non quotate, residenti in Italia o in uno Stato membro UE/SEE con stabile organizzazione in Italia che soddisfano almeno una delle seguenti condizioni: a) non hanno operato in alcun mercato; b) operano in un mercato qualsiasi da meno di 7 anni dalla loro prima vendita commerciale; c) necessitano di un investimento iniziale per il finanziamento del rischio che, sulla base di un business plan, è superiore al 50% del loro fatturato medio annuo negli ultimi 5 anni.

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Tali requisiti delle PMI ammissibili tuttavia non appaiono del tutto coerenti con quelli previsti dalla disciplina UE attualmente vigente sugli aiuti al finanziamento del rischio (art. 21, par. 3 del Regolamento (UE) n. 651/2014), da cui trae origine la predetta definizione. Sul punto, sarebbe, pertanto, opportuno che la definizione di FVC e, dunque, quella di “investimento[37] a favore” di “PMI ammissibile[38] siano in linea con la citata normativa UE ed eventualmente prevedere un meccanismo di aggiornamento automatico per tenere conto di eventuali modifiche successive[39].

Sarebbe utile, inoltre, fornire chiarimenti in merito alle modalità di verifica del vincolo di composizione, in base al quale i FVC sono tenuti a investire almeno il 70% dei capitali raccolti in investimenti in favore di “PMI ammissibili”. In particolare, non è chiaro se il rispetto di tale condizione deve essere verificato sull’ammontare sottoscritto dagli investitori come potrebbe suggerire il riferimento letterale alla “raccolta” o sull’ammontare richiamato ovvero sull’ammontare effettivamente investito dal FVC (ipotesi preferibile).

Sul punto non si fa fatica a ritenere (e non dovrebbe essere difficoltoso confermare) almeno che – analogamente a quanto precisato di recente dall’Agenzia delle Entrate in materia di PIR alternativi[40] – la verifica del vincolo di composizione possa essere effettuata con riferimento al capitale sottoscritto ed effettivamente versato, al netto degli oneri e commissioni sostenuti[41].

In ogni caso, pur in assenza di indicazioni sul punto, deve ritenersi che tali vincoli debbano essere specificamente indicati nel regolamento o nella documentazione di offerta del FVC (se istituito all’estero), non assumendo rilievo, in assenza di tali previsioni, la politica di investimento in concreto realizzata dal FVC[42].

Infine, in linea con la finalità di incrementare l’afflusso verso l’innovazione e, più in generale, sostenere la raccolta dei FVC che rappresentano la fonte privilegiata e strategica di finanziamento delle imprese innovative, sarebbe opportuno chiarire che, per Investimenti Qualificati in quote o azioni di FVC, si intendono anche gli investimenti in fondi che investono in FVC (c.d. fund of funds)[43]. La possibilità di fruizione dell’incentivo introdotto anche nel caso di investimenti in fondi di fondi consentirebbe (astrattamente) di ampliare le possibilità di diversificazione e ridurre i rischi in particolare per gli enti previdenziali di minore dimensione o con minore propensione all’investimento diretto in FVC.

3. Conclusioni

La modifica normativa all’esenzione per gli investimenti di Casse di Previdenza e Fondi Pensione nell’economia reale italiana, se interpretata nel senso di accelerare l’interesse degli enti previdenziali a investire nel venture capital senza sottrarre certezza alla programmazione dei loro investimenti, può senza dubbio risultare un importante motore per far affluire capitali istituzionali verso il settore dell’innovazione senza peraltro privare altre industry più mature (in particolare il private equity) delle risorse necessarie a svolgere da traino dell’economia reale.

In tal senso appare preferibile mantenere l’attuale disposizione normativa volta a condizionare il beneficio fiscale a una percentuale minima (tutto sommato) accettabile di investimenti nel settore dell’innovazione da calcolare come rapporto tra gli importi richiamati effettivamente investiti in FVC e il paniere degli Investimenti Qualificati (andrebbe chiarito dall’Amministrazione finanziaria se vi rientrano o meno i PIR). In tal modo, la percentuale minima del 10% (5% per il 2025) sembrerebbe equilibrata sia come allocazione per gli enti previdenziali che come capacità di assorbimento del settore.

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Sarebbe opportuno tuttavia chiarire in via interpretativa che il raggiungimento del plafond minimo in FVC consente l’ingresso nel paniere di tutti gli Investimenti Qualificati medio tempore effettuati, consentendo ai medesimi di beneficiare da tale momento (ex nunc) dell’esenzione fiscale. Se così non fosse tali investimenti verrebbero eccessivamente penalizzati soltanto perché effettuati in un momento in cui non era integrato il plafond minimo, nonostante essi presentino per se le caratteristiche richieste dalla disciplina di favore, potendo altresì alterare le politiche d’investimento degli enti previdenziali.

Diversamente, qualora per individuare il plafond minimo in FVC si preferisse optare per l’applicazione del criterio dei capitali sottoscritti, sarebbe necessario adeguare la percentuale in modo che i flussi effettivi all’economia reale dell’innovazione corrispondano a quelli che si raggiungerebbero con l’attuale 10% (5% nel 2025) di versamenti.

Infine, quanto alla definizione di FVC si auspica un intervento chiarificatore riguardo ai requisiti degli investimenti nelle PMI ammissibili – possibilmente aggiornato con la normativa UE – e alla modalità di verifica del vincolo di composizione (i.e. 70%) che tenga conto degli importi effettivamente investiti (o quantomeno degli importi richiamati al netto di commissioni di gestione altri oneri, analogamente a quanto chiarito per i PIR alternativi).

 

[1] Entrata in vigore il 1.1.2017. Per una disamina approfondita, si veda: “Gli incentivi fiscali a favore degli investimenti delle casse di previdenza e dei fondi pensione” di A. Viti, in “Gli incentivi fiscali al private capital” II Ediz., AA.VV. a cura di F. Brunelli.

[2] Considerata la residualità di tali investimenti non verranno trattati per semplicità espositiva.

[3] Nello specifico sono Investimenti Qualificati ai sensi del comma 89 della Legge di Bilancio 2017 quelli in: a) azioni o quote di imprese residenti nel territorio dello Stato, o in Stati membri dell’UE o aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo (“SEE”) con stabile organizzazione in Italia; b) quote o azioni di OICR residenti nel territorio dello Stato, o in Stati membri UE/SEE, che investono prevalentemente negli investimenti di cui alla precedente lettera a); b-bis) quote di prestiti, di fondi di credito cartolarizzati erogati e/o originati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti finanziari non professionali (peer to peer lending) gestite da intermediari finanziari, istituti di pagamento ovvero da soggetti vigilati operanti in Italia in quanto autorizzati in altri Stati membri UE; b-ter) quote o azioni di Fondi per il Venture Capital (“FVC”) residenti nel territorio dello Stato, o in Stati membri UE/SEE.

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[4] L’holding period è calcolato con decorso dalla data di acquisizione o sottoscrizione dello strumento.

[5] Limite innalzato, a decorrere dal 1° gennaio 2019, dall’art. 1, comma 210, della Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (“Legge di Bilancio 2019”); in precedenza la soglia massima d’investimento corrispondeva al 5% dell’attivo patrimoniale. Il plafond assume rilievo anche in relazione agli investimenti nei PIR, come previsto espressamente dai commi 88 e 92 della Legge di Bilancio 2017. La relazione illustrativa alla Legge di Bilancio 2017 ha precisato che il plafond non pone alcun vincolo quantitativo all’attività di investimento degli enti previdenziali (cfr. Circ. n. 3/2018 e n. 19/2021). Ne deriva che una volta raggiunto il plafond, possono essere effettuati Investimenti Qualificati solo nei limiti del 10% dell’incremento dell’attivo patrimoniale, rimanendo comunque esenti gli Investimenti Qualificati effettuati negli esercizi precedenti anche in caso di decremento patrimoniale.

[6] Di cui al comma 100 e ss della Legge di Bilancio 2017 e all’art. 13-bis, commi d-bis, 2-ter e 3 del D.L. n. 124/2019.

[7] L’Agenzia delle Entrate, nel riconoscere la diversità delle discipline, ha riconosciuto la possibile affinità interpretativa laddove la formulazione delle rispettive norme lo consenta (cfr. Circ. 19/2021, Risp. n. 104/2024 e n. 114/2025 che riporta la nota del MEF prot. R.U. 20545 dell’1.4.2025 secondo cui nonostante caratteristiche comuni restano discipline differenti, in particolare tenendo conto che: «L’agevolazione per gli investimenti qualificati delle casse previdenziali e delle forme di previdenza complementare non riguarda un paniere di investimenti che deve essere costituito seguendo determinati criteri, ma è un’agevolazione che riguarda i redditi derivanti da singoli strumenti finanziari nei quali i medesimi soggetti investono».

[8] Le Casse di Previdenza non subiscono ritenute sugli utili distribuiti su investimenti in strumenti di equity che concorrono alla formazione del reddito complessivo. In caso di rapporti con opzione per il regime del risparmio gestito non si applica l’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi di cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 461/1997. Salvo casi residuali, con riferimento agli Investimenti Qualificati le Casse di Previdenza subirebbero ritenute a titolo d’imposta sui proventi da fondi di private equity, fondi di credito e FVC.

[9] Ai sensi dell’Art. 1, comma 95-bis, della Legge di Bilancio 2017, che non risulta modificato dall’art. 33 della Legge Concorrenza, gli enti previdenziali devono dichiarare al sostituto d’imposta (i) di non aver esaurito il plafond del 10%; (ii) di impegnarsi a detenere l’investimento almeno per 5 anni e (iii) che i redditi non sono relativi a partecipazioni qualificate. Tale disposizione non dovrebbe, in generale, trovare applicazione nei confronti dei Fondi Pensione in quanto configurati come soggetti “lordisti” (cfr. Circ. n. 2/2015).

[10] Il mancato rispetto dell’holding period comporta la perdita dell’agevolazione fiscale fin dal primo periodo di possesso (ossia, con efficacia ex tunc), con conseguente ripresa a tassazione dei redditi che medio tempore hanno beneficiato dell’esenzione (recapture), salvo reinvestimento entro 90 giorni nei casi previsti dall’art. 1, comma 91, terzo periodo, della Legge di Bilancio 2017 (nei casi di rimborsi pro quota di quote di OICR si veda la recente Risp. n. 105/2024).

[11] Le disposizioni citate hanno, in particolare, modificato rispettivamente per quanto riguarda le Casse di Previdenza l’art. 1, comma 90, della Legge di Bilancio 2017 e per quanto riguarda i Fondi Pensione l’art. 1, comma 94, della Legge di Bilancio 2017 con decorrenza dall’entrata in vigore della Legge Concorrenza avvenuta il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (18.12.2024).

[12] La specifica disposizione per le Casse di Previdenza rinvia al comma 89, mentre quella per i Fondi Pensione al comma 92 (in cui sono inclusi i PIR).

[13] Come precisato nel Dossier della Camera dei Deputati del 4.12.2024, tale misura ha la finalità di «incentivare gli investimenti in start-up innovative, ossia in imprese giovani ad alto contenuto tecnologico e con potenziale di crescita elevato, attraverso delle modifiche alla disciplina degli investimenti qualificati effettuati dagli enti di previdenza».

[14] Si veda con riferimento alle Casse di Previdenza: “Covip – Casse di previdenza – Gli investimenti: dimensioni e composizione Anno 2023 (pubblicato il 22.10.2024)”, secondo cui «A fine 2023 gli investimenti delle Casse di Previdenza che usufruiscono delle agevolazioni fiscali ammontano a 4,9 miliardi di euro (cfr. Tav. 20). Gli investimenti qualificati ex L. n. 232/2016 rappresentano la componente prevalente (4,1 miliardi) e sono costituiti da titoli di capitale per 3,1 miliardi (pari a poco meno di un terzo di quelli complessivamente detenuti dalle Casse), da OICVM per 162 milioni e da altri OICR (di tipo mobiliare) per 866 milioni. I PIR ordinari e alternativi ammontano rispettivamente a 209 e 273 milioni, mentre gli investimenti che godono del credito d’imposta ex L. n. 190/2014 sono complessivamente pari a 268 milioni». Con riferimento ai Fondi Pensione il dato è meno preciso, tuttavia in “Covip – Relazione per l’anno 2023 (pubblicata il 19.6.2024)” emerge soltanto che a fronte di quasi 189 miliardi di investimenti «Gli investimenti domestici … realizzati tramite altri OICR diversi dai fondi immobiliari ammontano a circa 870 milioni di euro (0,5 per cento del totale, in leggero aumento rispetto al 2022)».

[15] L’art. 33 della Legge concorrenza è stato interamente sostituito durante il passaggio alla Camera dei Deputati. In una prima fase, infatti, si era ipotizzato di incentivare gli investimenti nel Venture Capital vincolando le Casse di previdenza a destinare una quota del plafond (pari al 2%) a tali investimenti e riducendo, contestualmente, all’8% il plafond utilizzabile per gli altri investimenti nell’economia reale. In seguito, il Legislatore ha sostituito interamente la predetta proposta normativa, giungendo all’attuale versione dell’art. 33 della L. n. 193/2024.

[16] Che dovrebbe ragionevolmente coprire anche eventuali reinvestimenti entro 90 giorni in caso di rimborsi o scadenza degli strumenti prima del decorso dell’holding period, come suggerito da Assogestioni nella recente Circolare 27/25/C del 19.5.2025.

[17] Infatti, la norma applicabile alle Casse di Previdenza (art. 33, lett. a della Legga Concorrenza) rinvia esclusivamente al comma 89 che individua soltanto gli Investimenti Qualificati e non i PIR ai fini dell’applicazione dell’esenzione. Concorda con tale interpretazione Assogestioni nella Circolare 27/25/C del 19.5.2025, secondo cui essa dovrebbe estendersi anche ai Fondi Pensione.

[18] La norma applicabile ai Fondi Pensione (art. 33, lett. b della Legga Concorrenza), sebbene si riferisca esplicitamente agli “investimenti qualificati”, rinvia a quelli del comma 92 in cui sono contemplati sia gli Investimenti Qualificati che i PIR.

[19] L’art. 33 comma 2 della Legge Concorrenza include nella salvaguardia gli “investimenti già effettuati” (senza indicare se sono “qualificati”) di cui al comma 88 e ss e 92 ss della Legge di Bilancio 2017 che includono anche gli investimenti PIR nel plafond del 10% dell’attivo.

[20] Potrebbero altresì rilevare ragioni sistematiche per includere i PIR nel paniere; infatti non sarebbe molto coerente con il quadro degli investimenti agevolati per gli enti previdenziali oltreché contrario alla ratio di potenziare l’afflusso di capitali all’innovazione ritenere che i PIR non concorrano alla formazione del “paniere”, continuando quindi a beneficiare dell’esenzione, nonostante soggiacciano al plafond complessivo del 10% dell’attivo patrimoniale. In questo senso, si vedano J. Drudi, F. Aquilanti, “Venture capital: novità per Casse di Previdenza e Fondi Pensione”, in dirittobancario.it del 3.3.2025, e A. Gallizioli, F. Nobili, “Regime di esenzione e favore degli enti di previdenza: obbligo di investimento in Fondi di Venture Capital”, in il fisco 21/2025.

[21] Come riportato altresì da Assogestioni nella Circolare 27/25/C del 19.5.2025.

[22] Nell’ambito della disciplina PIR.

[23] Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate ai fini dell’individuazione dell’investimento i cui redditi siano agevolabili occorre fare riferimento a quello (o alla quota parte) che risulti effettivamente versato (cfr. Risp. n. 667/2021 e recentemente Risp. n. 94/2025)  In tal senso anche Circ. n. 19/2021 in cui l’Agenzia delle Entrate, con riferimento ai PIR, ha affermato che «per quanto concerne la verifica del plafond, si ritiene che sia per i FIA “chiusi riservati” che per i FIA “chiusi non riservati” rilevi l’importo effettivamente versato dall’investitore».

[24] Si segnala la tesi interpretativa secondo cui il “paniere” potrebbe riferirsi non agli investimenti in concreto effettuati bensì a quelli “effettuabili”, quindi sostanzialmente un numero sempre equivalente al 10% dell’attivo (cfr. A. Gallizioli, F. Nobili, cit.). Tuttavia, questa tesi interpretativa oltrechè poco aderente al tenore letterale della norma (dove il riferimento è al paniere e non al limite del 10%) non sembra del tutto condivisibile in quanto deve considerarsi che l’investimento minimo in FVC è una condizione di accesso all’esenzione fiscale volta a favorire una quota (minima) di tale asset class tra vari investimenti effettivamente realizzati. I medesimi autori propongono altresì che nel “paniere” non dovrebbero confluire gli Investimenti Qualificati che beneficiano del regime di salvaguardia (i.e. effettuati prima del 18.12.2024), ritenendo tale interpretazione maggiormente aderente alla ratio di voler condizionare l’accesso al regime agevolativo soltanto riguardo ai nuovi investimenti. Tuttavia è da notare che questa ipotesi depotenzierebbe notevolmente la ratio della norma di far affluire risorse al venture capital in tutti i casi in cui gli enti previdenziali detengano già Investimenti Qualificati soggetti al regime di salvaguardia.

[25] In questo senso, si veda l’Interrogazione n.3-01824 del 19.3.2025 presentata dall’On. Centemero, nonche J. Drudi, F. Aquilanti, cit., e A. Gallizioli, F. Nobili, cit.. Nello studio “Investing in the future of Italy: the strategic role of private savings” realizzato dal TEHA Group con CDP Venture Capital SGR S.p.A. presentato il 4.4.2025 si individua tra le misure tecniche per far affluire risorse al venture capital l’utilizzo dei capitali sottoscritti ancorché non versati (Nel comunicato stampa reperibile al link https://www.cdpventurecapital.it/cdp-venture-capital/en/dettaglio_comunicato.page?contentId=COM3879 si legge che “To take advantage of opportunities to create value for the country by promoting the role that venture capital and institutional investors play, three technical elements—clarification of investments considered by law (i.e. including shares deliberated and subscribed, even if not yet paid up), risk-mitigation solutions, and structured coordination between the action of relevant players and the VC initiatives of the country’s large corporations—and a crosscutting enabling factor—related to raising awareness of the country’s investor system—were identified”).

[26] Infatti considerato che per le sole Casse di Previdenze gli investimenti agevolati ammontano (nel 2023) a circa 4.9 miliardi, sarebbe molto diverso se nel 2026 venisse raggiunto il plafond minimo pari al 10% di versamenti in FVC anziché di sottoscrizioni.

[27] Tale modifica normativa, al fine di evitare stravolgimenti al sistema (abbastanza collaudato) dell’agevolazione introdotta con la Legge di Bilancio 2017, potrebbe altresì prevedere di disallineare la modalità di verifica del requisito del plafond minimo (che in questa ipotesi verrebbe verificato sulla base dei nuovi importi sottoscritti in FVC) dalla quella relativa all’individuazione dei nuovi Investimenti Qualificati che farebbero parte del “paniere” (che in questa ipotesi potrebbero continuare a essere individuati sulla base degli importi effettivamente versati). Sarebbe infatti eccessivamente penalizzante per lo scopo di far affluire risorse al settore dell’innovazione, ritenere che rilevino le sottoscrizioni già perfezionate in FVC (con regolamento adeguato).

[28] Tali da intendersi nuovi versamenti in conseguenza di richiami dai gestori di fondi ( o nuove sottoscrizioni) e nuovi acquisti di azioni e quote.

[29] Cfr. Circolare 27/25/C del 19.5.2025.

[30] Si veda nello stesso senso J. Drudi, F. Aquilanti, cit., «occorre domandarsi quali siano le conseguenze derivanti dal mancato rispetto del nuovo criterio (5% / 10%). La conseguenza principale derivante dal mancato rispetto di tale criterio dovrebbe essere la perdita del beneficio fiscale per la Cassa di previdenza privata e/o il Fondo pensione in relazione ai proventi derivanti da tutti gli investimenti qualificati dell’esercizio assoggettati al nuovo criterio».

[31] Assogestioni non esplicita se gli investimenti effettuati nell’anno del raggiungimento del plafond minimo entrino nel “paniere” rilevante nell’anno successivo, tuttavia appare ragionevole ritenere che tale interpretazione sia da leggere in tal senso.

[32] Che dunque entrerebbero nel “paniere” ex post. Nell’ipotesi rappresentata da Assogestioni, infatti, gli Investimenti Qualificati effettuati nell’anno in cui non è rispettato il requisito del plafond minimo non entrerebbero mai nel “paniere”, né i loro redditi potrebbero divenire esenti in anni successivi al raggiungimento del plafond minimo. Sembrerebbe una limitazione non prevista che complicherebbe la gestione di quelle categorie di investimenti i cui redditi – seguendo tale interpretazione – sarebbero da ritenere allo stesso tempo compresi nel “paniere” ed esenti in alcuni anni ed esclusi dal “paniere” e imponibili in altri, anche successivamente al raggiungimento del plafond minimo.

[33] Se viene mantenuto il riferimento all’importo “versato” in FVC.

[34] Per le Casse di Previdenza la verifica del plafond minimo avverrebbe al 31.12 di ciascun anno con la conseguenza che con riferimento agli utili societari (che concorrono al reddito complessivo e non subiscono ritenute alla fonte) non vi sarebbero particolari complessità. Diversamente per i proventi da OICR (fondi di private equity e FVC), in caso di raggiungimento del plafond minimo successivamente (comunque entro l’anno) all’applicazione della ritenuta si potrebbe ipotizzare la presentazione di apposita istanza di rimborso. Tuttavia occorre tenere conto che nel caso dei fondi d’investimento generalmente è distribuito prima il capitale (senza ritenute) e poi il provento, consentendo quindi di ritenere potenzialmente limitata la problematica, considerato che l’imponibilità sarebbe limitata ai nuovi Investimenti Qualificati. Per i Fondi Pensione, il regime di tassazione per maturazione tramite imposta sostitutiva dovrebbe consentire di esentare da imposizione i redditi dell’anno maturati successivamente al raggiungimento del plafond minimo (cfr. Assogestioni Circolare 27/25/C del 19.5.2025); non vi sarebbero comunque certificazioni da rilasciare essendo tali soggetti “lordisti”.

[35] La lettera b-ter) era stata aggiunta dall’art. 1, comma 210, lett. b), della Legge di Bilancio 2019, a decorrere dal 1.12.2019, nell’ambito della riforma dei c.d. PIR 3.0.

[36] Si riporta il testo dell’art. 1, comma 213 della Legge di Bilancio 2019: «Sono Fondi per il Venture Capital di cui al comma 212 e di cui all’articolo 1, comma 89, lettera b-ter), della legge 11 dicembre 2016, n. 232, introdotta dalla lettera b) del comma 210 del presente articolo, gli organismi di investimento collettivo del risparmio che destinano almeno il 70 per cento dei capitali raccolti in investimenti in favore di piccole e medie imprese, come definite dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, non quotate, residenti nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 73 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, o in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo con stabili organizzazioni nel territorio medesimo e che soddisfano almeno una delle seguenti condizioni: a) non hanno operato in alcun mercato; b) operano in un mercato qualsiasi da meno di sette anni dalla loro prima vendita commerciale; c) necessitano di un investimento iniziale per il finanziamento del rischio che, sulla base di un piano aziendale elaborato per il lancio di un nuovo prodotto o l’ingresso su un nuovo mercato geografico, è superiore al 50 per cento del loro fatturato medio annuo negli ultimi cinque anni».

[37] Sul punto sarebbe opportuno chiarire se, in linea con le regole UE, sono ammessi anche investimenti in strumenti di equity, quasi-equity e simili (SFP, SAFE, convertendi, ecc.).

[38] Più in dettaglio, l’art. 21, par. 3 del Regolamento (UE) n. 651/2014, come modificato dal Regolamento (UE) n. 1315/2023 del 23 giugno 2023, prevede che sono ammissibili le imprese che sono PMI non quotate e che, al momento dell’investimento iniziale per il finanziamento del rischio, soddisfano almeno una delle seguenti condizioni: a) non hanno operato in alcun mercato; b) operano in un qualsiasi mercato: (i) da meno di dieci anni dalla loro iscrizione al registro delle imprese, o (ii) da meno di sette anni dalla loro prima vendita commerciale; c) necessitano di un investimento iniziale che, sulla base di un piano aziendale elaborato per l’avvio di una nuova attività economica, è superiore al 50% del loro fatturato medio annuo degli ultimi cinque anni. In deroga alla prima frase, tale soglia viene ridotta al 30% per quanto riguarda i seguenti investimenti, che sono considerati investimenti iniziali in una nuova attività economica: (i) investimenti che migliorano in modo significativo le prestazioni ambientali dell’attività; (ii) altri investimenti ecosostenibili; (iii) investimenti volti ad aumentare la capacità di estrazione, separazione, raffinazione, trasformazione o riciclaggio di una materia prima critica.

[39] Si segnala che il comma 214 della Legge di Bilancio 2019 prevede che le disposizioni del comma 213 siano attuate nel rispetto dei limiti e condizioni previsti dal Regolamento (UE) n. 651/2014. A tal proposito era stato emanato il DM MISE del 30.4.2019 in cui venivano precisati alcune caratteristiche dell’investimento in FVC ammissibile e che sarebbe opportuno aggiornare (i.e. il limite di € 15 mln per PMI è attualmente stato incrementato in ambito comunitario a 16,5 mln).

[40] Si veda la Risp. a consulenza giuridica n. 4/2025, in cui l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che «nel caso di FIA che operano con il meccanismo del ”richiamo” del capitale sottoscritto, in cui può crearsi uno ”sfasamento” tra importi sottoscritti (committment) e importi effettivamente richiamati, il vincolo di investimento riferito al capitale sottoscritto ha l’effetto di innalzare ”sistematicamente” il limite degli investimenti qualificati, oltre la soglia del 70 per cento (quota obbligatoria, necessaria per beneficiare dell’esenzione). Pertanto, si ritiene possibile che la verifica del predetto vincolo di investimento possa essere effettuata con riferimento al capitale sottoscritto ed effettivamente versato, al netto degli oneri e commissioni sostenuti».

[41] In tal senso occorre altresì considerare che un OICR che integra i requisiti per qualificarsi come FVC, potrebbe contestualmente risultare PIR (alternativo) compliant.

[42] Ove necessario, con riferimento a fondi esistenti (non coperti dal regime di salvaguardia) la qualificazione di FVC potrà essere integrata previo adeguamento dei regolamenti e potrà rilevare soltanto a decorrere da tale momento, in coerenza con la prassi dell’Agenzia delle Entrate in materia dell’agevolazione per investimenti di Casse di Previdenza e Fondi Pensione (Circ. 14/2016, Risposte a interpello n. 667/2021, 205/2023, 105/2024 e 94/2025) e di PIR (Circ. n. 372018 e Circ. 19/2021).

[43] L’Agenzia delle Entrate, con la Circ. n.14/2016, relativa all’utilizzo del credito d’imposta in favore di Casse di previdenza (incentivo poi superato dal nuovo regime introdotto dalla Legge di Bilancio 2017), affermava che «l’agevolazione può risultare applicabile anche ad un fondo comune il cui patrimonio sia investito, a sua volta, in quote di altri fondi comuni (c.d. fondo di fondi) […]». Allo stesso modo, può essere utile richiamare il decreto MEF-MISE del 30.4.2019, relativo alla disciplina attuativa dei c.d. “PIR FVC Compliant” in cui si stabiliva che «la quota del 70 per cento del valore complessivo del piano di risparmio a lungo termine […] deve essere investita […] in quote o azioni di fondi per il venture capital, o di fondi di fondi per il venture capital».



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