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Lo sviluppo sostenibile? E’ ancora possibile


ALo svppena cinque anni ci separano dal 2030, l’anno entro il quale il mondo si è impegnato a raggiungere gli obiettivi dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile, approvata nel 2015 da 193 paesi membri dell’Onu: 17 Goal da cui discendono 169 traguardi. Un cammino sull’unica strada che abbiamo per salvare l’unico pianeta che abbiamo, secondo l’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile). Che però precisa: al ritmo attuale, solo il 17% degli obiettivi globali monitorati verrà raggiunto entro la data prevista. E l’Italia non è affatto sulla buona strada. 

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Si tratta, spiega l’Onu, di obiettivi comuni, che riguardano cioè tutti i paesi e gli individui, su un insieme di questioni importanti per lo sviluppo: dalla lotta alla povertà e alla fame al contrasto al cambiamento climatico fino all’adozione di consumo e produzione responsabili, per citarne solo alcuni.

Ma possiamo permetterci di pensare alla sostenibilità, con le tante crisi che stiamo attraversando? E la transizione verde, per affrontare la crisi climatica e migliorare il benessere di tutti, si può ancora fare?

Sviluppo sostenibile, si può fare?

«Siamo a un bivio, dobbiamo decidere se mollare o accelerare: è questo il nodo della questione», è la risposta di Enrico Giovannini, co-fondatore e direttore scientifico dell’ASviS, che a maggio con il Festival dello Sviluppo Sostenibile ha dato voce, in oltre 1.220 eventi, a quella bella fetta d’Italia che ha tutta l’intenzione di accelerare. Compresa Coop, tra i fondatori dell’Alleanza e da sempre impegnata nella sostenibilità ambientale e sociale, che anche quest’anno ha sostenuto il Festival e preso parte a cinque degli eventi in calendario. A partire, il 7 maggio, dall’apertura a Milano e poi negli appuntamenti di Genova, Venezia, Torino e Bologna per parlare di biodiversità, filiere, prossimità, cultura e di come sia possibile rimanere competitivi pur tenendo al centro la sostenibilità intesa nel suo senso più ampio. Cioè economica, sociale e ambientale.

Di certo dopo la pandemia c’è stata una battuta d’arresto nel processo di attuazione dell’Agenda. Mentre la crisi del clima continua la sua corsa: nel 2024 per la prima volta il pianeta ha superato per lunghi tratti la soglia di +1,5°C di temperatura rispetto ai livelli preindustriali. Un record storico, come si è visto anche a Valencia. In Italia siamo arrivati a +2,72° C.

«I dati sono drammatici. Abbiamo superato i limiti planetari da diversi punti di vista – è la constatazione di Giovannini –, ecco perché la crisi climatica sta accelerando, non rallentando. E sta anche determinando un aumento dei costi economici crescente per i paesi sviluppati e soprattutto per quelli in via di sviluppo. Sono i costi dell’inazione».  E sono enormi: sono cresciuti sia la frequenza e l’intensità degli eventi climatici estremi, sia i danni che provocano anche in termini di perdita di produzione agricola, peggioramento della salute, migrazioni e crisi economiche. Lo sappiamo bene in Italia, dove il mutamento del clima ha prodotto eventi estremi ed enormi perdite, anche di vite, mentre i prezzi del cibo scontano anche l’inflazione climatica. Il pianeta è una barca su cui siamo tutti, diceva papa Francesco.

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L’italia è fuori rotta

Guardando al 2030 sono tanti gli aspetti su cui si dovrebbe cambiare rotta e l’Italia in particolare, conferma l’ASviS nel suo Rapporto di Primavera, non è su un sentiero di sviluppo sostenibile.

Gli indicatori compositi elaborati sull’attuazione dei 17 obiettivi Onu dicono che sono 6 i Goal dell’Agenda che, dal 2010 al 2023, hanno mostrano peggioramenti nel nostro paese: povertà, acqua e sistemi igienico-sanitari, disuguaglianze, ecosistemi terrestri, governance e partnership. Miglioramenti molto contenuti, meno di un punto all’anno, si registrano per altri 6 Obiettivi: cibo, energia pulita, lavoro e crescita economica, città sostenibili, clima ed ecosistemi marini. Miglioramenti più consistenti si evidenziano per salute, educazione, parità di genere e innovazione. L’unico Goal con un aumento superiore al punto all’anno è quello relativo all’economia circolare: l’Italia si è messa decisamente avanti sul versante del riuso e del riciclo. Quanto agli obiettivi quantitativi che si è data, tra cinque anni ben 22 su 37 non verranno raggiunti (il 59,5%). Così, nel biennio 2022-2023, l’Italia è il primo paese Ue per perdite economiche legate al clima: 15,7 miliari di euro, più di 280 euro a testa.

Ma una certa narrazione dei temi ambientali sembra avere depotenziato la svolta verde: i gilet gialli francesi, che protestavano per l’aumento del prezzo dei carburanti e della vita, hanno vinto su Greta Thumberg, come ha sintetizzato al Festival l’ex commissario europeo Paolo Gentiloni?

Lo sviluppo sostenibile conviene

«Quello tra sostenibilità e competitività è un falso dilemma – sostiene Giovannini –. Tutti i dati ci dicono che le aziende italiane che hanno scelto di investire sulla transizione ecologica e digitale, insieme, migliorano le proprie condizioni economiche, aumentano la produttività, la competitività e dunque anche i profitti». Infatti, anche in Italia c’è una fetta del mondo delle imprese già avviata verso la transizione verde più corposa di quanto si pensi.

Dalla parte della sostenibilità ci sono già anche buona parte dei consumatori. «In base alla ricerca che abbiamo condotto su un campione di 1.000 persone – sottolinea Valerio De Molli, managing partner e CEO di The European House-Ambrosetti –, per l’80% la sostenibilità è importante per le scelte di consumo e 3 consumatori su 4 fanno attenzione al comportamento sostenibile delle aziende.  Ben 9 su 10 sono disposti a pagare perfino di più per prodotti sostenibili, e i giovani sono ancora più attenti a questo aspetto».

Il dilemma del giusto prezzo

Proprio i prezzi, però, sono il nuovo dilemma dei consumatori, spiega Albino Russo, direttore di Ancc-Coop: «Il principio guida che muove Coop da quando è nata la cooperazione di consumo in Italia è quello del giusto prezzo: cioè far pagare al consumatore, al cittadino, un prezzo che gli permetta di soddisfare i suoi bisogni ma, contemporaneamente, sia sostenibile anche per chi quel prodotto l’ha generato nel settore primario, per chi l’ha trasformato e l’ha trasportato, per i lavoratori, per le comunità locali, per il territorio. Ma soprattutto un prezzo giusto anche nei confronti delle generazioni che verranno, che non pregiudichi il loro futuro».

Un principio che è sempre più difficile far valere per i prodotti di largo consumo e per gli alimentari, nel contesto sociale italiano: «In Europa – prosegue Russo -, gli italiani sono i consumatori più attenti alla sostenibilità, in particolare rispetto al cibo. Ora però non sono in grado di pagare di più per un prodotto sostenibile: oggi gli alimentari italiani costano circa il 20% in più di quanto costavano all’inizio del 2020 e i consumatori stanno cercando soprattutto di tutelare il proprio potere d’acquisto. Ma quella del prezzo giusto, della sostenibilità, è una sfida a cui non dobbiamo in alcun modo rinunciare».

D’altra parte, l’alternativa allo sviluppo sostenibile è quello insostenibile. In base agli scenari prospettati da Oxford Economics, a seconda di quando e come si raggiungeranno i traguardi di decarbonizzazione previsti nel 2050 il nostro Pil, la ricchezza del paese, potrà cambiare sensibilmente. Passando dal segno meno a quello più. Mentre un malaugurato scenario di catastrofe climatica abbatterebbe la ricchezza dell’Italia di quasi un quarto nel 2050. Anche per questo il Green Deal europeo «È vivo e lotta insieme a noi – dice Giovannini -: la Commissione europea, pur proponendo una serie di aggiustamenti anche doverosi, ribadisce gli obiettivi di decarbonizzazione e, giustamente, dice di voler investire molto di più in quella direzione».

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Effetto palla di neve

Con il Patto sul Futuro, a settembre 2024 anche l’Italia, insieme a molti altri Paesi, ha ribadito l’impegno ad accelerare gli sforzi per la piena attuazione dell’Agenda 2030 attraverso Piani nazionali per un’azione trasformativa (Pat) che, con diverse leve, dovrebbero imprimere un’accelerazione netta. Ma per ora, secondo l’ASviS, del Pat italiano si sono perse le tracce.

Cambiare rotta non è impossibile. Il Rapporto degli scienziati Onu in proposito cita un dato: se anche solo il 20-30% di una popolazione si impegna in un’attività innovativa, ciò può essere sufficiente a far cambiare idea all’intera società. Si chiama effetto palla di neve e funziona anche per lo sviluppo sostenibile.

Puoi leggere questo articolo anche sull’edizione online di Consumatori o ritirare gratuitamente la copia cartacea della rivista in un negozio Coop.



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