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a giugno 52 miliardi nelle casse dello Stato


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Fisco pesante a giugno per imprese e partite Iva. Il 16 giugno è la data clou del primo maxi-ingorgo fiscale dell’anno: nelle casse dello Stato confluiranno oggi ben 42,3 miliardi di euro. Un fiume di denaro che salirà a 52 miliardi entro il 30 giugno. E ancora una volta, a pagare il conto più salato è il sistema produttivo italiano.

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Secondo i dati dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, la cifra effettiva potrebbe essere persino superiore, perché non include i contributi previdenziali versati da aziende e lavoratori autonomi. Una voce non trascurabile, in un contesto in cui la pressione fiscale italiana resta tra le più alte in Europa, e il tema della liquidità aziendale diventa sempre più critico.

Chi paga: 80% del carico sulle spalle delle imprese

Il dettaglio delle scadenze del 16 giugno mostra con chiarezza chi sopporta il peso del fisco italiano:

  • 14,4 miliardi derivano dalle ritenute Irpef su lavoratori dipendenti e collaboratori familiari;

  • 13,2 miliardi dall’Iva;

  • 5 miliardi dall’Imu;

  • 1,3 miliardi da ritenute su compensi a lavoratori autonomi.

Il totale supera i 34 miliardi, ovvero oltre l’80% del gettito di giornata è a carico delle imprese. Un meccanismo in cui molte delle somme – come l’Iva e le ritenute – sono formalmente partite di giro, ma di fatto impattano sulla gestione della cassa e sulla liquidità aziendale.

“Il problema è strutturale: il fisco pretende puntualità, mentre i pagamenti da clienti e fornitori arrivano con settimane o mesi di ritardo. La pressione diventa insostenibile per le PMI”, afferma Antonio Ghezzi, imprenditore lombardo del settore manifatturiero.

Secondo round il 30 giugno: altri 10 miliardi in uscita

Ma non è finita. Il secondo appuntamento fiscale di giugno, previsto per il 30 del mese, porterà un ulteriore esborso da circa 10 miliardi. In arrivo:

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  • le rate delle imposte sui redditi (Irpef, Ires, Irap),

  • le addizionali locali,

  • i contributi dovuti da professionisti e partite Iva.

Alcune categorie, come i forfettari e i soggetti ISA, hanno ottenuto una proroga al 21 luglio, ma l’effetto sul bilancio di cassa per lo Stato sarà comunque rilevante. Sommando le due scadenze, giugno 2025 segna un prelievo fiscale complessivo superiore ai 52 miliardi di euro.

E all’orizzonte? Un riforma strutturale del fisco italiano, forse

Il governo ha annunciato l’arrivo, nel secondo semestre 2025, di un Decreto Semplificazioni Fiscali: tra le misure attese, la digitalizzazione degli adempimenti e il rafforzamento del calendario fiscale unico. Ma i tempi sono ancora lunghi.

Nel frattempo, per le imprese italiane, giugno resta un mese ad alta tensione, in cui il fisco si prende tutto, e lascia poco margine a chi produce ricchezza, occupazione e innovazione.

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Fisco e imprese a giugno: tra i più tassati d’Europa

La pressione fiscale italiana si attesta al 42,6% del Pil, secondo gli ultimi dati Eurostat. È il sesto livello più alto in Europa, dopo Francia, Danimarca, Belgio, Austria e Lussemburgo. Molto sopra i livelli di Germania (40,8%) e Spagna (37,2%), nostri principali competitor economici.

A questo si aggiunge un altro primato negativo: la complessità del sistema tributario. Secondo la Banca Mondiale, un’impresa italiana impiega in media 30 giorni all’anno per adempiere agli obblighi fiscali. In Spagna bastano 18 giorni, in Francia solo 17.

“La tassazione in sé non sarebbe un problema, se fosse accompagnata da semplicità, prevedibilità e accesso agevole al credito. Ma in Italia nessuna di queste tre condizioni è soddisfatta”, osserva Maria Cecilia Guerra, economista ed ex sottosegretaria all’Economia.

Il contesto economico: rallenta il PIL, inflazione in calo, credito ancora rigido

Tutto questo avviene in un contesto macroeconomico in rallentamento:

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  • Il PIL italiano è cresciuto dello 0,3% nel secondo trimestre, portando la crescita annua all’1% (fonte: ISTAT).

  • L’inflazione è finalmente sotto controllo, al 2,1% su base annua, dopo i picchi 2022-2023.

  • La BCE, dopo aver mantenuto i tassi elevati per oltre un anno, ha recentemente abbassato il tasso di riferimento al 3,25%.

Tuttavia, l’accesso al credito resta problematico: per molte PMI il costo effettivo del denaro si aggira ancora sopra il 5%, mentre la selettività degli istituti bancari si è acuita.

Liquidità in sofferenza, ritardi nei pagamenti e stretta creditizia

La combinazione di prelievi fiscali concentrati, ritardi nei pagamenti tra aziende e stretta creditizia sta comprimendo la capacità delle imprese di pianificare e investire.

Secondo Cribis, nel primo trimestre 2025 solo il 39% delle imprese ha rispettato i tempi di pagamento. Un calo rispetto al 42% dell’anno precedente, che fotografa bene le difficoltà strutturali del sistema.

“È un circolo vizioso: si pagano tasse su incassi ancora non realizzati, si cerca liquidità sul mercato del credito, ma le condizioni sono spesso proibitive. E intanto si rinuncia a investimenti e innovazione”, sintetizza Giuseppe Russo, direttore del Centro Einaudi.



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