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startup miliardaria simulava l’intelligenza artificiale con programmatori umani


La start-up simulava l’intelligenza artificiale con un team umano che rispondeva manualmente. Presi in giro per anni investitori e clienti: ora l’azienda è fallita. Resta un dubbio: come ha potuto il settore hi tech farsi ingannare per anni?

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Nel pieno del dibattito globale sul futuro del lavoro minacciato dall’intelligenza artificiale, il caso di Builder.AI offre una narrazione opposta e paradossale. Mentre cresce la paura che le macchine sostituiscano gli esseri umani in ogni ambito, una startup britannica ha guadagnato milioni fingendo di avere un sistema AI, mentre in realtà a svolgere tutto il lavoro era un esercito di programmatori in carne e ossa, nascosti dietro un’interfaccia sofisticata.

Per anni, centinaia di sviluppatori indiani hanno risposto manualmente alle richieste degli utenti fingendosi un’intelligenza artificiale. Una truffa tecnologica, orchestrata con abilità, che ha ingannato clienti e investitori, alimentando una bolla che oggi si è definitivamente sgonfiata.

Il crollo della favola hi-tech di Builder

Builder.AI, celebrata come una delle aziende più promettenti nel campo dell’intelligenza artificiale, ha dichiarato fallimento. La valutazione di 1,5 miliardi di dollari, i partner strategici come Microsoft, gli investimenti da colossi come Softbank e Qatar Investment Authority non sono bastati a mascherare l’assenza di una reale innovazione.

L’assistente virtuale Natasha, al centro dell’esperienza utente, non era altro che il volto digitale dietro cui operavano manualmente oltre 700 programmatori. Il modello di business, che prometteva la creazione di app personalizzate con la semplicità di un ordine online, si è rivelato una sofisticata messinscena.

Il fondatore e il sogno infranto

Alla guida della società, fondata nel 2016, c’era Sachin Dev Duggal: enfant prodige della programmazione, imprenditore carismatico e figura chiave del racconto pubblico dell’IA. Duggal ha saputo conquistare la fiducia del mercato presentando Builder.AI come un progetto rivoluzionario, in grado di democratizzare la creazione di software.

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Eppure, già nel 2020 un’inchiesta del Wall Street Journal aveva sollevato dubbi sulla reale solidità tecnologica della piattaforma. Nonostante ciò, l’azienda ha continuato a crescere, raccogliendo finanziamenti fino al 2023. La svolta è arrivata quando Viola Credit ha ritirato un prestito da 37 milioni di dollari, scoperchiando il vaso di Pandora.

Una lezione sul potere del marketing

Il caso Builder.AI racconta molto più del fallimento di una startup: mette a nudo le fragilità del sistema tech contemporaneo. Duggal ha investito più nella costruzione di una narrazione convincente che nello sviluppo di una vera intelligenza artificiale. La crisi è esplosa quando è emerso che i ricavi erano stati gonfiati del 350% e che il consiglio di amministrazione aveva già rimosso il fondatore mesi prima del crollo.

È stata Lina Beliunas, dirigente della società di analisi finanziaria Zero Hash, a rendere pubblica la verità, svelando su LinkedIn che l’intelligenza artificiale di Builder.AI era in realtà un team di sviluppatori umani. Lo scandalo ha provocato il licenziamento di 270 dipendenti ufficiali e degli oltre 700 collaboratori esterni.

Dietro l’IA, l’inganno

Oggi resta l’interrogativo centrale: come ha potuto il settore tech lasciarsi ingannare per quasi dieci anni? L’epilogo della vicenda Builder.AI mostra con chiarezza quanto, nel boom dell’intelligenza artificiale, sia difficile distinguere l’innovazione reale dal marketing ben confezionato. Un monito per investitori, aziende e media, chiamati a valutare con maggiore rigore ciò che si cela dietro il velo scintillante dell’AI.



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