Dopo anni di incertezza, ristrutturazioni fallite e passaggi di proprietà, La Perla, simbolo del made in Italy nel settore della lingerie di lusso, trova una via d’uscita dalla crisi. L’annuncio ufficiale del salvataggio è arrivato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, durante l’incontro con le parti sociali nello stabilimento bolognese. L’identità dell’acquirente sarà resa nota il 10 giugno, ma l’effetto della notizia è già tangibile: clima di sollievo tra le lavoratrici, entusiasmo tra le istituzioni locali, fiducia tra i sindacati.
Il nuovo investitore
Il nuovo investitore si è impegnato non solo a mantenere marchio e sito produttivo, ma anche a rilanciare l’occupazione: le previsioni parlano di 40 nuove assunzioni in aggiunta ai 210 dipendenti attualmente in forza, per un totale di circa 250 posti di lavoro garantiti. Un risultato tutt’altro che scontato in un settore – quello tessile e manifatturiero – spesso colpito da delocalizzazioni e strategie speculative.
La storia
Fondata nel 1954 da Ada Masotti, sarta bolognese di talento, l’azienda era arrivata negli anni ’90 a impiegare fino a 1.500 dipendenti. Poi il declino, iniziato con la scomparsa della fondatrice e aggravato da una lunga serie di passaggi societari: dal fondo americano JH Partners, a Silvio Scaglia con Pacific Global Management, fino al fondo tedesco Tennor, guidato da Lars Windhorst. Nessuna delle gestioni è riuscita a riportare il brand all’equilibrio economico.
Il declino
A peggiorare le cose è stata una complessa riorganizzazione societaria, attuata nel 2014 per motivi fiscali e acuita dalla Brexit. La Perla è stata divisa in più entità: La Perla Manufacturing per la produzione, La Perla Management per le funzioni gestionali ed e-commerce, La Perla Italia per il retail e, al vertice, La Perla Management UK, con sede a Londra e detentrice del marchio. Una struttura frammentata che ha ostacolato la governance industriale e complicato ogni intervento di salvataggio.
La dichiarazione di insolvenza
Il punto di svolta è arrivato nel 2024, con la dichiarazione di insolvenza da parte del Tribunale di Bologna per La Perla Manufacturing. Da lì, un processo di trattativa lungo e articolato, che ha coinvolto sindacati, istituzioni locali e governo. A fare la differenza, però, è stata la determinazione delle lavoratrici. In gran parte donne, hanno continuato a battersi per il futuro dell’azienda anche dopo la fine della cassa integrazione, dando vita a un marchio artigianale alternativo, “Le Perline”, per autofinanziare la loro lotta e sostenere economicamente chi era rimasto senza reddito.
Resistenza e resilienza
Come sottolineato dalla sindacalista della UILtec Mariangela Occhiali, è stata “una resistenza e una resilienza”, un esempio concreto di come le crisi industriali possano essere affrontate non solo con numeri e capitali, ma con partecipazione attiva e visione collettiva. L’auspicio ora è che il nuovo investitore, il cui piano industriale sembra puntare al rilancio del sito produttivo bolognese, rappresenti un cambio di passo rispetto alle gestioni precedenti: meno finanza, più industria.
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