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il Paese può ancora attrarre i suoi giovani talenti?


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Venerdì, 23 Maggio 2025

Una perdita netta di circa 97.000 laureati: è l’ultimo dato relativo al saldo migratorio negativo tra chi parte e chi arriva nel nostro Paese. Ed è l’incipit di un acceso dialogo di ospiti di spicco del mondo accademico, industriale e sindacale, che, sostenuti dall’esperienza diretta di un giovane studente, hanno fatto una panoramica della situazione occupazionale in Italia. Tra crisi demografica e sfide dell’attrattività per le nuove generazioni, precarietà interna e scarso riconoscimento economico e di carriera, i giovani cercano altrove ciò che qui sembra mancare. Ma esistono anche strumenti, esempi e politiche che possono invertire la rotta: urge un ripensamento profondo del modello sociale e produttivo del Paese.

Non solo un saldo migratorio negativo di 97.000 laureati, anche un inverno demografico che ci ha portati sotto le 400.000 nascite annue e che ci ha tolto 4 milioni di giovani in vent’anni. In un’Italia che invecchia e si svuota, la fuga dei cervelli assume allora i contorni di un’emergenza strutturale da non trascurare o minimizzare. Il panel “La grande fuga: progetti di vita e incertezza sul futuro”, moderato dal giornalista de “Il Sole 24 Ore” Giorgio Pogliotti, ha messo a confronto visioni e testimonianze di chi, da prospettive diverse, si sente vicino alla stessa sfida che riguarda tutti: tornare a rendere l’Italia attrattiva, e in particolare per i suoi stessi giovani emigrati all’estero.

La prima parola a chi la crisi occupazionale la affronta ogni giorno in prima persona: Tommaso Calcaterra, studente dell’Università di Bologna, racconta le sue esperienze di studio e lavoro a Dublino e a Ottawa, testimoniando come la qualità della vita e le retribuzioni all’estero siano molto più competitive. Eppure, l’elemento economico non basta: “Dopo la fine degli studi, vorrei tornare nelle mie Marche, ma il Paese deve mettermi nelle condizioni di farlo” spiega lo studente. 

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Un’esperienza all’estero simile, anche se molto precedente nel tempo, per Umberto Baldi, General Counsel di Snam, che ha ricordato come negli Stati Uniti “ti senti in Serie A”. L’avvocato, oggi tornato in Italia per “motivi non economici, ma legati ai valori”, parla dei suoi primi anni di carriera americana come caratterizzati da retribuzioni paragonate ai risultati, percorsi di crescita più strutturati e una grande responsabilizzazione già nei vent’anni.

Max Bergami, Dean della Bologna Business School, ha messo in luce la necessità di attrarre non solo i nostri talenti, ma anche quelli stranieri: “Il fatto che i nostri ragazzi vadano all’estero va bene, ma dobbiamo fornirgli le motivazioni per rientrare. E con i nostri, dobbiamo anche i giovani stranieri. Serve un contesto che favorisca integrazione e fiducia”.

La precarietà da contrastare come sfida urgente per l’Italia anche per il segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, che con un intervento sentito e vigoroso e senza troppi giri di parole ha denunciato salari bassi, scarsa valorizzazione delle competenze e un sistema imprenditoriale troppo spesso basato su scorciatoie anziché innovazione: “L’equivalente di una regione intera è emigrato. E per chi rimane in Italia, c’è uno tra i salari d’ingresso più bassi d’Europa: così i giovani non possono progettare il proprio futuro, non qui”.

Ma ci sono delle leve per invertire la tendenza, per rilanciare il Paese e la speranza per i giovani: dal sistema fiscale premiante per chi rientra, al potenziale delle nuove imprese, fino al ruolo fondamentale della formazione continua. Secondo Landini, bisogna tornare a guardare ai diritti costituzionali: “Serve un cambiamento profondo nelle politiche e nella cultura del lavoro. Serve fare in modo che il lavoro torni ad essere qualcosa che dà dignità alla persona”.

La grande fuga: progetti di vita e incertezze sul futuro Nella foto: Maroagrazoa Zanella, Tommaso Calcaterra, Maurizio Landini, Giorgio Pogliotti, Umberto Baldi, Max Bergami.

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