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come cambia la tassazione delle big tech


  • L’Ue sta valutando la possibilità di introdurre una web tax comune sui servizi digitali in risposta ai dazi americani, al momento sospesi per 90 giorni.
  • La web tax comune andrebbe a colpire i ricavi pubblicitari delle principali piattaforme digitali americane, privandole di una buona parte del loro guadagno.
  • Rispetto alla minumum tax, un’imposta minima sulle multinazionali con un fatturato superiore a 750 milioni che non venne recepita dagli Stati Uniti, la web tax Ue colpirebbe direttamente le Big tech americane.

Se i negoziati con Washington non dovessero andare a buon fine, l’Ue potrebbe decide di introdurre una web tax comune sui servizi digitali in risposta ai dazi americani e alle misure protezionistiche adottate dal presidente Donald Trump. La tassazione delle Big tech e in particolare dei ricavi pubblicitari delle aziende multinazionali è un tema che negli anni ha destato polemiche e scontri tra i governi nazionali.

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Nonostante al momento sia in vigore una sospensione di 90 giorni sui dazi, per tutelare le proprie aziende da un’eventuale guerra commerciale l’Unione Europea valuta delle contromosse.

Web tax comune: la proposta dell’Ue contro i dazi americani

In risposta ai dazi americani, l’Ue potrebbe introdurre una web tax comune per colpire i ricavi pubblicitari delle Big tech, la maggior parte delle quali ha la loro sede madre negli USA. Infatti, ogni volta che Google o Meta vendono spazi pubblicitari in Europa, una parte degli introiti viene trattenuta dalle multinazionali sotto forma di tributo: ciò crea un sistema simile ai dazi doganali, ma con un’applicazione limitata ai servizi digitali.

Secondo un report realizzato da Mediobanca1, nel 2022 le filiali italiane delle Big tech mondiali hanno raggiunto un fatturato di 9,3 miliardi e hanno versato al Fisco 162 milioni di euro di tasse, con un’aliquota pari al 28,3%. I ricavi pubblicitari delle aziende multinazionali americane, però, sono molto più elevati e costituiscono la fetta maggiore del fatturato di tali aziende.

Basti pensare che Amazon ha incassato dalla pubblicità circa 54 miliardi di dollari nel 2024, Google ne ha incassati 264 miliardi (il 75% dei suoi ricavi) e Meta 160 miliardi (il 97% del suo fatturato).

Come potrebbe funzionare la tassa sui servizi digitali

La nuova imposta a cui stanno pensando i Paesi europei potrebbe assumere due forme diverse:

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  1. riprendere la struttura delle Digital Services Taxes già in vigore in diversi Paesi e creare un’imposta unica e comune a livello comunitario;
  2. introdurre una nuova “accisa digitale” comune a livello comunitario, cioè un’imposta indiretta che colpisca le transazioni digitali.

L”azione coordinata dei Paesi europei contro i dazi americani avrebbe come possibile effetto lo spostamento dell’attenzione sulla tassazione dei ricavi digitali delle multinazionali da un discorso di equità a una strategia tariffaria. Ma occorre anche considerare che mentre i Paesi Ue godono di una bilancia commerciale attiva con gli Stati Uniti, lo stesso non vale per la bilancia dei servizi (soprattutto a causa dell’acquisto di brevetti americani).

Quel che è certo è che la nuova web tax comune riguarderebbe esclusivamente le importazioni dagli Stati Uniti, a differenza delle altre Digital Services Taxes che si applicano senza distinzione a servizi offerti da imprese residenti e non residenti.

Il memorandum contro la tassazione delle Big tech

L’approccio politico di Donald Trump non prevede semplicemente l’adozione di dazi sui prodotti di importazione, ma anche una serie di misure protezionistiche che minano la globalizzazione e lo sviluppo del mercato internazionale.

Tra queste, anche la revoca degli impegni sulla global minumum tax in seguito all’approvazione del Memorandum emesso il 20 gennaio scorso, e la minaccia di adottare misure fiscali di ritorsione verso tutti quei Paesi che avessero adottato imposte “ostili” alle imprese americane.

Il secondo Memorandum presidenziale, adottato il 21 febbraio scorso, riguardava sempre la tassazione delle multinazionali digitali che hanno la maggior parte delle loro sedi negli Stati Uniti. Numerosi Paesi stranieri erano stati accusati anche in quell’occasione di aver adottato misura fiscali “espropriative” dei profitti generati da queste imprese oltre a una serie di comportamenti considerati “discriminatori” per le imprese USA.

Le misure in questione includevano le cosiddette Digital Services Taxes, ovvero delle tasse sui servizi digitali che obbligavano le Big tech a versare il 15% dei loro ricavi pubblicitari. Considerata una misura discriminatoria per gli USA, non venne mai adottata dal presidente americano mentre venne introdotta in molti Paesi europei (Italia, Francia, Austria, Spagna, Regno Unito) ed extraeuropei (Turchia, India).

Web tax italiana: cosa prevede

Con l’approvazione della Legge di Bilancio 2025, l’Italia ha adottato una web tax che costituisce un passo importante nella regolarizzazione del mercato digitale. La Digital Service Tax costituisce anche un tentativo del governo di allinearsi alle indicazione fiscali dell’OCSE per affrontare problemi, sfide e innovazioni.

L’imposta è pari al 3% per tutte le aziende che forniscono servizi digitali inclusi quelli legati alla pubblicità online, alle piattaforme di e-commerce e ai servizi di streaming, senza alcun limite di ricavo. Precedentemente, infatti, solo le aziende con ricavi globali superiori a 750 milioni di euro e 5,5 milioni di euro erano soggette a tale imposta.

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Per chiarire il funzionamento di questa web tax, pensiamo a un’azienda che genera 15 milioni di euro dalla pubblicità online. Quest’ultima dovrà versare al Fisco 450.000 euro di tasse (ovvero il 3% del guadagno). La tassa viene applicata indipendentemente dal fatturato complessivo dell’azienda.

Web tax comune Ue – Domande frequenti

Cos’è la web tax?

La web tax è un’imposta sui ricavi delle grandi aziende multinazionali che operano nel mondo digitale (le cosiddette Big tech), in particolare quelle che generano entrate attraverso la pubblicità online, la vendita di dati o servizi e altre attività che sfruttano piattaforme web.

Come funziona la tassa minima globale per le multinazionali?

Approvata a giugno 2021, la cosiddetta Global Minimum Tax prevede un’aliquota minima del 15% sui profitti realizzati dalle imprese multinazionali in ogni giurisdizione in cui operano, anche attraverso sussidiarie.

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Quali sono le imposte sui servizi digitali in Italia?

In Italia è in vigore l’imposta sui servizi digitali (ISD), una tassa pari al 3% sui ricavi derivanti da pubblicità online personalizzata, servizi di intermediazione tra utenti e trasmissione dati per tutte le aziende che offrono servizi digitali senza limiti di fatturato.



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