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L’Unione europea pensa alla guerra e cancella l’economia sociale


L’economia di guerra, evidentemente, non ha più spazio per l’economia sociale. L’Unione europea che punta tutto sul riarmo, per fare la guerra non si capisce bene a chi, non può certo perdere tempo a interessarsi del benessere dei suoi cittadini. E così dimentica il welfare, l’istruzione, l’ambiente, la salute. Ma dimentica anche tutte quelle economie locali, territoriali, di comunità, che puntano al bene comune e non al profitto. Quell’economia sociale che dà la priorità al benessere di tutti rispetto al guadagno, che reinveste gli utili negli obiettivi sociali e opera con una governance democratica. Un’economia al servizio delle persone e del Pianeta che nell’Unione europea della guerra e del riarmo non avrà più un posto dove stare.

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La notizia, infatti, è che dal primo maggio è stata sciolta l’Unità responsabile dell’economia sociale e dell’imprenditoria presso Dg Grow, la Direzione generale per il mercato interno, l’industria, l’imprenditorialità e le piccole e medie imprese. In pratica non esiste più il dipartimento che si occupava di promuovere innovazione, sostenibilità e crescita inclusiva all’interno della Direzione generale europea per l’industria. Lo smantellamento di questo dipartimento avrà conseguenze di vasta portata, compromettendo i progressi compiuti e bloccando i futuri progressi nell’ecosistema dell’economia sociale.

E soprattutto, questa decisione mina le politiche economiche basate sulle persone e sulle esigenze locali. Come sottolinea infatti un appello pubblicato dall’organizzazione Social Economy Europe per conto delle migliaia di associazioni del settore che ne fanno parte, «in questi giorni alcuni fondi a sostegno degli attori dell’economia sociale sono stati improvvisamente cancellati, sollevando notevoli preoccupazioni».

L’economia sociale vale più del Pil della Svizzera

Anche perché questa decisione non ha alcun senso non solo dal punto di vista politico ma nemmeno dal punto di vista economico e amministrativo. Tale ecosistema, per capirci, riveste la medesima importanza del settore automobilistico. Nella sola Unione europea l’economia sociale conta oltre 4 milioni di imprese e organizzazioni che impiegano direttamente oltre 11 milioni di persone. E nel 2021 ha registrato un fatturato di quasi mille miliardi di euro. Una cifra che più alta dell’intero Pil della Svizzera.

Queste imprese operano ovunque, dalle grandi capitali europee alle aree rurali, che costituiscono il 45% del territorio dell’Unione europea e il 21% della sua popolazione. E in questo modo offrono attività assai competitive e servizi essenziali in aree svantaggiate che consentono alle comunità di prosperare. Inoltre, dalle piccole imprese ai grandi gruppi, l’economia sociale fornisce soluzioni uniche alla crisi energetica e alla crisi dell’abitare, due dei grandi temi della nostra contemporaneità.

«L’economia sociale è un comparto che crea ricchezza nell’Unione europea»

«È una scelta politica che ci fa fare un grande passo indietro rispetto all’Action Plan Europeo sull’economia sociale. Il rischio è che l’economia sociale torni ad essere considerata solo una stampella del settore pubblico per il welfare. E non come un comparto che crea ricchezza per l’Unione. Non dimentichiamo che l’economia sociale rappresenta l’8-9% del Pil dell’Unione europea», dice a Valori Raffaella De Felice, componente del cda di Banca Etica e del Geces (Expert Group on Social Economy and Social Enterprises della Ue).

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L’economia sociale, oltre che dello sviluppo industriale, è anche un pilastro della democrazia europea. Grazie alle organizzazioni della società civile e alla sua governance democratica sostiene i valori europei di dignità, libertà, uguaglianza e diritti umani. Come ricorda l’appello di Social Economy Europe: «Siamo la vostra mutua sanitaria, la vostra società sportiva, il vostro partner finanziario etico, il vostro centro culturale locale, ci prendiamo cura dei vostri bambini e anziani, siamo attivi nelle attività industriali e nell’economia circolare, offriamo lavoro a tutti».

Senza economia sociale l’Unione europea sarà più povera

All’indomani della conclusione della Conferenza europea sull’economia sociale di San Sebastian del novembre 2023, che era stata seguita da Valori, tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea avevano concordato di «adottare misure per riconoscere e sostenere il ruolo dell’economia sociale», inclusa la sua integrazione nelle politiche industriali nazionali. E invece, solo un anno e mezzo dopo, è esclusa proprio dal comparto industriale europeo.

«Sciogliere l’Unità per l’economia sociale all’interno della Dg Grow è un grave errore. Non rimarrà nessuno che si occupi del Mercato unico e supervisioni le iniziative e le politiche che hanno un impatto sull’economia sociale», ricorda Social Economy Europe. «Non solo indebolisce la comprensione dell’economia sociale, ma impedisce anche un approccio coerente all’economia sociale nelle politiche economiche. E porrà fine alle iniziative volte a consentire alle imprese dell’economia sociale di accedere ai mercati e ai sostegni su un piano di parità con il settore privato a scopo di lucro».

Grazie anche al lavoro della commissaria Roxana Mînzatu dell’Unione europea, è possibile augurarsi che l’economia sociale non sparisca del tutto. Solo che è relegata, se così si può dire, nell’ambito minore della Commissione europea per l’istruzione, la cultura, il lavoro e i diritti sociali, dopo essere stata cancellata da quella che si occupa di industria e imprese. E va da sé che separare la dimensione economica e industriale dalla sua missione sociale compromette alla radice l’impatto che può avere. «Relegare il pilastro dell’economia sociale fuori dalle istituzioni che hanno la responsabilità dello sviluppo industriale dell’Unione europea è poco strategico. E conferma la visione miope dell’economia sociale come elemento residuale e non centrale per lo sviluppo economico dell’Europa», conclude Raffaella De Felice.

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