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Caos dazi, il peggio è passato?


Alla luce degli ultimi sviluppi, possiamo dire che sul fronte dei dazi il peggio è passato? No, ma ci sono buone possibilità che i danni siano limitati.

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Tutto si può dire dell’amministrazione Trump, tranne che sia noiosa. Nelle ultime settimane, anzi forse siamo addirittura nell’ordine dei giorni, lo scenario delineatosi attorno al tema dei dazi sembra completamente cambiato. Lo dimostrano i toni molto più concilianti delle parti in causa, lo certificano i movimenti dei mercati finanziari, con i listini azionari che hanno recuperato quasi del tutto le perdite di aprile.

Se qualche buon anima ha avuto il tempo e la volontà di leggere i nostri post di inizio aprile, ricorderà sicuramente come suggerivamo che uno dei fattori cruciali per determinare il peso delle conseguenze sull’economia globale della nuova politica commerciale statunitense fosse il tempo. Più lunga la telenovela, più danni per l’economia. Questo, in estrema sintesi, il nostro pensiero. Osservando le accelerazioni di questi ultimi giorni, il fattore tempo, unito ad una indiscutibile pressione da parte del settore produttivo statunitense sulla Casa Bianca, sembra essere stato tenuto in conto.

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Allora possiamo dire che sul fronte dei dazi il peggio è passato? No, ma ci sono buone possibilità che i danni siano limitati. Il no è motivato soprattutto dalla diffidenza maturata in questi mesi da un’ampia fetta di investitori ed imprese sulle politiche statunitensi. Far finta che nulla sia successo non è razionale, e del resto la cautela traspare evidente nei comunicati che hanno accompagnato le prime trimestriali 2025. L’ultima intemerata di Trump sul settore farmaceutico è la dimostrazione che non è possibile eliminare la parola incertezza dal vocabolario economico dei prossimi mesi. Tuttavia il tempo sembra giocare a favore, sotto diversi punti di vista.

Sul fronte macroeconomico i dati continuano a mostrare un’economia statunitense dalle basi solide ed un inflazione in calo. Attenzione, infatti, a non farsi portare fuori strada dai numeri del PIL relativi primo trimestre, numeri negativi certo, ma ampiamente dovuti ad un massiccio aumento delle importazioni, mossa preventiva anti dazi (ora sospesi). I consumi, linfa vitale dell’economia USA, reggono ed il mercato del lavoro continua a registrare numeri stabili. In uno scenario nel quale la questione dazi viene archiviata in maniera rapida, i rallentamenti della supply chain potrebbero essere riassorbiti nel giro di un paio di trimestri e una maggior stabilità ridarebbe fiato agli investimenti. Pur non potendosi escludere a priori l’ipotesi di una recessione tecnica nel primo semestre (due trimestri negativi consecutivi), la ripresa, sempre basandosi sullo scenario di cui sopra, apparirebbe abbastanza sicura nella seconda metà dell’anno.

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I più recenti dati sull’inflazione mostrano come le imprese, al momento, abbiano scelto di non passare i maggiori costi di produzione sul consumatore finale e verosimilmente potrebbero scegliere di non farlo ancora per qualche mese. L’eventuale raggiungimento di accordi commerciali con i principali partner (Cina, UE, Canada e Messico) entro i fatidici 90 giorni, fissando il livello medio dei dazi in una forchetta tra il 10% e il 15%, ridurrebbe l’incertezza sui prezzi e potrebbe raffreddare le aspettative di inflazione dei consumatori. Elemento questo che consentirebbe anche alla FED di riprendere in mano il discorso, bruscamente interrotto, di ulteriori tagli dei tassi.

Foto di Markus Winkler



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