Scritto da Giulia Girardello il
L’emergenza climatica è una questione che non si può più rimandare, e i dati parlano chiaro: le aziende che non adottano misure per contrastare i rischi climatici potrebbero perdere fino al 25% dei propri profitti aziendali entro il 2050, mentre a livello globale il PIL potrebbe contrarsi fino al 22% entro la fine del secolo.
Questo è quanto emerso nel report The Cost of Inaction: A CEO Guide to Navigating Climate Risk, pubblicato a dicembre 2024 dal World Economic Forum in collaborazione con Boston Consulting Group. Nonostante la crescita esponenziale dei rischi climatici, le imprese sembrano sottostimare le loro conseguenze, rimanendo immobili di fronte a una situazione che non permette più di aspettare e andando così incontro a perdite economiche. Il costo dell’inazione, appunto.
Un impatto economico già evidente
Gli eventi meteorologici estremi sono, di anno in anno, in continuo aumento. Non si tratta più di scenari remoti e film apocalittici: dal 2000 a oggi, eventi estremi legati al clima hanno già causato 3.600 miliardi di dollari di danni economici a livello mondiale – di cui 1.000 miliardi solo tra il 2020 e il 2024, più della metà dovuti a tempeste e uragani. Solo in Italia, nel 2024, si sono verificati 351 fenomeni estremi, con un aumento del 485% rispetto al 2015.
I costi derivanti da eventi climatici estremi, però, sono forse solo la punta dell’iceberg, quella più visibile, delle conseguenze che il cambiamento climatico può portare a livello economico.
Perché, come evidenziato dallo studio, il riscaldamento globale è un’emergenza che sta già erodendo profitti e stabilità finanziaria delle imprese. Di fronte ai rischi climatici, infatti, invece che investire nella transizione ecologica, le imprese sembrano sottovalutarne l’impatto finanziario e faticano a intraprendere strategie concrete.
Se nei bilanci aziendali gli impatti vengono stimati intorno all’1-3%, secondo gli scenari di BCG, la perdita reale potrebbe oscillare tra il 5% e il 25% dell’EBITDA nei prossimi decenni.
«Molte aziende sono consapevoli dei rischi climatici, ma faticano a tradurli in una strategia concreta. Il vero pericolo è pensare che il clima sia un problema distante, quando in realtà l’impatto economico dei rischi fisici da eventi atmosferici è già evidente e, senza azioni concrete, destinato a crescere in modo esponenziale», così Lorenzo Fantini, Managing Director e Partner di BCG. «Non possiamo più permetterci di ignorare i segnali d’allarme: l’adattamento climatico non è un costo, ma un investimento necessario per salvaguardare il proprio business. Rimandare significa pagare poi un prezzo esorbitante quando il rischio diventa realtà».
La natura dei rischi
Lo studio di BCG e WEF offre un quadro chiaro delle minacce – e dunque le sfide – che le aziende devono affrontare in questo scenario. I rischi vengono distinti tra fisici da un lato e di transizione dall’altro. Uragani, incendi, lunghe fasi di siccità e altri fenomeni meteorologici estremi possono compromettere le infrastrutture e la continuità operativa, rallentando – se non bloccando del tutto – la produzione, già messa a rischio dall’instabilità di mercato, soprattutto negli ultimi mesi.
A ciò si uniscono i rischi di transizione, che derivano dall’aumento della carbon tax, dall’inasprimento delle eventuali normative ambientali e dalla svalutazione degli asset legati ai combustibili fossili. Fattori, appunto, meno visibili, ma con conseguenze altrettanto deleterie.
Si stima, per esempio, che entro il 2050 la domanda globale di carbone diminuirà del 90%, rendendo insostenibili gli impianti costruiti dopo il 2010 (che, di norma, hanno un ciclo di vita di 20-25 anni). Non solo: nei prossimi due decenni – spiega BCG – le imprese più esposte vedranno i costi operativi lievitare e il valore di asset fossili calare fino al 35% già entro il 2030, con conseguenze in molti settori.
Tradurre le sfide in opportunità
Essere consapevoli dei rischi può aiutare le aziende a uscire dall’inazione e trasformare questo scenario in opportunità. Investire nella transizione ecologica diventa così non solo un dovere etico verso il pianeta, ma anche una strategia vantaggiosa per innovarsi e rimanere competitivi nel mercato globale. Secondo lo studio, infatti, ogni dollaro investito in resilienza climatica genera un ritorno compreso tra 2 e 19 dollari, evitando peraltro perdite future.
A livello macroeconomico, mantenere il riscaldamento sotto la soglia dei 2°C richiederebbe un investimento di circa il 2% del PIL globale in mitigazione e di un 1% in adattamento. Investimenti che verrebbero, però, ripagati, dal momento che si eviterebbero perdite tra il 10% e il 15% del PIL mondiale entro la fine del secolo.
Le opportunità si vedono anche guardando al mercato di riferimento, un mercato in grande espansione: si stima infatti che il valore dell’economia verde passerà dagli attuali 5.000 miliardi di dollari ai 14.000 miliardi entro il 2030. I settori di energie alternative, trasporti sostenibili e prodotti eco-friendly mostrano una crescita ben al di sopra della media globale, con un ritmo annuo del 10-20%.
Trasformare dunque tali sfide in occasioni non solo contribuirà a mitigare gli effetti negativi del cambiamento climatico, ma porterà le aziende ad accedere a nuovi segmenti di mercato e consolidare la propria posizione a lungo termine.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di aprile 2025 di Energia&Mercato. Se vuoi ricevere Energia&Mercato, puoi abbonarti nel nostro shop.
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