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La Lega rilancia con il Ddl Salari: tagli fiscali ai giovani e stipendi indicizzati, ma FdI si sfila


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Salari al centro della scena: la Lega accelera, ma la maggioranza si divide.

Entro la settimana la Lega porterà in Parlamento il suo Disegno di legge Salari, una proposta che promette aumenti in busta paga, incentivi alle imprese e il rientro dei giovani dall’estero. L’annuncio è arrivato dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, che ha posto l’accento su misure mirate per le nuove generazioni.

Peccato che, ancora prima di essere depositata, la proposta abbia già spaccato la maggioranza. Fratelli d’Italia alza il muro, accusando la Lega di voler reintrodurre logiche salariali superate.

Flat tax giovani e assunzioni “a costo zero”: la ricetta leghista

Il cuore della proposta è semplice (e politicamente appetibile): una flat tax al 5% per i giovani sotto i 30 anni con redditi fino a 40mila euro, applicabile sia ai nuovi contratti che a quelli trasformati a tempo indeterminato.
La durata dell’agevolazione sarà di cinque anni, mentre, il target secondario punterà sui “cervelli in fuga”, con incentivi anche per chi decide di tornare in Italia e riportare la residenza entro i confini nazionali.

Non solo, la Lega propone anche l’esonero totale dai contributi previdenziali per tre anni per le imprese che assumono giovani a tempo indeterminato. Una misura che suona bene alle orecchie delle aziende, ma che solleva qualche dubbio sulla sostenibilità per le casse dello Stato.

Salari ancorati all’inflazione: rivalutazione automatica (ma non è la scala mobile)

Nel Ddl trova spazio anche un meccanismo di indicizzazione automatica dei salari all’inflazione. Se i prezzi volano, i salari devono seguirli:

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Procedura celere

 

  • +2% se l’inflazione supera il 3%
  • Adeguamento proporzionale se l’inflazione è più contenuta
  • Revisione ogni tre anni nei rinnovi contrattuali

Secondo il sottosegretario all’Economia, non si tratta di un ritorno alla scala mobile, ma piuttosto di un anticipo sugli aumenti legati all’indice IPCA, già previsto in alcuni contratti (come quello dei metalmeccanici). L’obiettivo sarebbe estendere la prassi a più settori, in un momento in cui l’erosione del potere d’acquisto si fa sempre più evidente.

Gabbie salariali 2.0? la miccia che fa saltare l’intesa con FdI

Ma il vero nodo politico del Ddl riguarda la possibilità di differenziare i salari per area geografica, in base al costo della vita. Una proposta che ha subito fatto infuriare Fratelli d’Italia.
Il presidente della Commissione Lavoro ha bocciato l’ipotesi senza mezzi termini: “Non possiamo tornare alle gabbie salariali, superate da decenni”, ha dichiarato.

FdI punta tutto su un’altra strategia: la legge delega sul salario equo, già approvata alla Camera e ora in attesa di esame al Senato. Obiettivo: chiudere entro fine maggio per mettere a tacere chi invoca un salario minimo legale da 9 euro l’ora.

Stipendi giù, tasse su: il paradosso italiano

La proposta della Lega arriva in uno dei momenti peggiori per il lavoro dipendente in Italia. I dati Istat mostrano che i salari reali nel 2025 sono ancora sotto dell’8% rispetto al 2021, schiacciati da un’inflazione persistente e da contratti rinnovati col contagocce.
L’Ocse rincara la dose: i lavoratori italiani sono tra i meno pagati d’Europa, mentre il costo del lavoro per le imprese resta tra i più alti.
Chi ne paga il prezzo? I single senza figli, il segmento più tartassato dal fisco, e paradossalmente quello che lo Stato ignora sistematicamente.

In conclusione, bonus e flat tax bastano o servono riforme vere?

Il Ddl Salari della Lega è, senza dubbio, una mossa politica potente in vista delle prossime sfide elettorali. Ma tra sconti fiscali temporanei e incentivi a pioggia, il rischio è di non risolvere i problemi strutturali del lavoro in Italia: produttività stagnante, precarietà diffusa, buste paga che non crescono da anni. Serve un cambio di passo. Ma anche, forse, meno propaganda e più riforme coraggiose.



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