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11 IMPRENDITORI DENUNCIATI, UNO SOTTOPOSTO AGLI ARRESTI DOMICILIARI, PER TRUFFE SU FINANZIAMENTI PUBBLICI. PERCEPITI INDEBITAMENTE 1,7 MILIONI EURO. – CafeTV24


Nell’ambito di un’attività di indagine coordinata dalla locale Procura della Repubblica,  i finanzieri del Comando Provinciale di Treviso hanno dato esecuzione a due ordinanze applicative della misura cautelare degli arresti domiciliari, emesse dal G.I.P. del Tribunale di Treviso nei confronti di un imprenditore padovano ritenuto il promotore di un’associazione a delinquere che si prefiggeva lo scopo di acquisire numerose società, svuotarne gli attivi con manovre fraudolente e condurle quindi al fallimento. I beni distratti dalle società fallite servivano sia per acquistare altre società, in modo da perpetrare il meccanismo decettivo, sia per altri scopi illeciti, fra cui il mero ed ingiusto arricchimento personale degli indagati. Oltre al promotore della predetta associazione a delinquere, nelle investigazioni sono stati denunciati, a vario titolo, anche altri 10 soggetti, che si sono prestati a gestire, di volta in volta, le società che venivano utilizzate per la realizzazione del disegno criminoso. Dalle indagini è  emerso che il principale indagato, auto definitosi “business angel” di aziende in difficoltà, ha anche diretto, in maniera occulta, due società trevigiane della sua “rete”, riuscendo ad ottenere illecitamente, con una lunga serie di truffe e malversazioni, circa 1,7 milioni di euro di finanziamenti pubblici erogati da SIMEST S.p.a. per il sostegno ai programmi di crescita delle ditte, quali, ad esempio, quelli legati all’internazionalizzazione delle imprese.

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Incrociando queste informazioni con quelle presenti nelle varie banche dati di cui dispone la Guardia di Finanza, sono emersi evidenti elementi di anomalia sul conto delle due aziende trevigiane, che venivano quindi selezionate per essere sottoposte a dei controlli amministrativi in materia di spesa pubblica. I successivi accertamenti si sono concentrati sulle erogazioni pubbliche conseguite da queste aziende, che avrebbero dovuto sostenerne l’inserimento nei mercati del Kuwait e dell’Albania. Tali risorse erano teoricamente dedicate a sovvenzionare la partecipazione a manifestazioni fieristiche internazionali delle due società (rientranti nel novero delle piccole e medie imprese – P.M.I.), pubblicizzandone il marchio italiano e migliorandone la solidità patrimoniale.

A seguito della disamina della documentazione acquisita in sede di controllo e dell’escussione di numerosi dipendenti delle società, è stato invece rilevato che i progetti finanziati non sono mai stati eseguiti. I lavoratori non si sono mai recati in territorio estero per l’effettuazione delle attività fieristiche e non hanno mai svolto alcuna attività lavorativa nell’ambito dei programmi di internalizzazione. Ciò, in totale antitesi rispetto a quanto comunicato all’ente erogatore – SIMEST S.p.a. – nella relazione finale redatta fraudolentemente dalla compagine criminale. Analogamente, è stato acclarato come anche il finanziamento ottenuto per la salvaguardia della solidità patrimoniale delle P.M.I. fosse stato richiesto mediante la presentazione di dati di bilancio non corrispondenti al vero. Sono scattate le perquisizioni e le indagini finanziarie, al cui esito le Fiamme Gialle trevigiane hanno ricostruito la reale destinazione dei fondi pubblici, ovvero, in parte, l’ingiustificato arricchimento personale di altri indagati appartenenti alla compagine criminale e per la restante parte, l’accumulazione di denaro (come asserito dal principale indagato, “per fare musina”), per il successivo utilizzo nell’acquisizione di altre aziende. È chiaro che la scellerata gestione finanziaria delle due società trevigiane ha determinato la liquidazione giudiziale delle stesse.

Successivamente, dagli approfondimenti eseguiti dai finanzieri sulle condotte di bancarotta fraudolenta perpetrate in danno delle due società trevigiane è emerso che, nel periodo 2020-2022, il principale indagato oggi tratto in arresto – peraltro pluripregiudicato per reati associativi finalizzati al compimento di delitti tributari, fallimentari e riciclaggio – quale “amministratore di fatto” delle società trevigiane, aveva disposto ingenti trasferimenti di denaro in favore di altre società allo stesso riconducibili, privi di qualsiasi giustificazione economica. Le somme così distratte venivano immediatamente reimpiegate nel circuito economico per acquisire quote di nuove società che sono state, a loro volta, private delle proprie risorse finanziarie e poste in liquidazione giudiziale. Al fine di giustificare gli illeciti flussi di denaro da una società all’altra, era stato creato un “contratto di rete” ad hoc, con lo scopo, fittizio, di “collaborare negli ambiti propri di ciascuna impresa aderente, nonché scambiare informazioni e prestazioni di natura industriale, commerciale e tecnologica”. Le condotte distrattive e di autoriciclaggio, permettevano al sodalizio criminale di drenare liquidità societaria, attraverso finanziamenti fittizi nei confronti di n. 6 società del gruppo, per un importo di oltre 1,6 milioni di euro. Ma non solo, l’operazione odierna è anche il segno tangibile dell’attenzione riposta dalla Guardia di Finanza e dall’Autorità Giudiziaria sui gravissimi fenomeni di bancarotta, che si traducono non solo nell’impoverimento di aziende sane – e quindi dell’economia legale – ma spesso anche in una perdita di posti di lavoro, tant’è vero che anche nel caso investigato, i 56 dipendenti delle due aziende trevigiane sottoposte a liquidazione giudiziale non sono stati ricollocati in altre imprese ed hanno quindi perso la loro principale fonte di sostentamento.



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