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Svizzera. Berna rompe la neutralità? Le nuove ambizioni militari nell’orbita europea


di Giuseppe Gagliano

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Nel cuore dell’Europa, dove la tradizione della neutralità è stata per secoli il pilastro dell’identità nazionale, qualcosa si muove. La Svizzera ha annunciato l’apertura di colloqui esplorativi con l’Unione Europea per valutare la possibilità di aderire a una partnership nel settore della difesa. Una decisione che, pur definita “non vincolante”, segna una svolta significativa per un Paese che ha sempre tenuto la propria politica estera al riparo dalle grandi alleanze militari del continente.
Dietro il linguaggio diplomatico del Consiglio federale si intravedono due direttrici fondamentali: la crescente pressione geopolitica esercitata dal conflitto in Ucraina e la consapevolezza, da parte di Berna, che restare ai margini dei progetti europei di difesa significherebbe condannare la propria industria militare e tecnologica all’irrilevanza. Di qui la mossa: partecipare ai programmi di procurement difensivo europei, accedere al fondo da 150 miliardi di euro noto come SAFE (Security Action for Europe), e garantirsi un posto al tavolo dove si decidono le architetture della sicurezza continentale.
Secondo le dichiarazioni ufficiali, la mossa svizzera non infrange la storica neutralità del Paese. Ma nella sostanza, Berna è consapevole che l’integrazione, anche solo tecnologica e industriale, nei meccanismi di difesa dell’UE rappresenta una ridefinizione di quella stessa neutralità. Non è più il tempo della “terzietà assoluta”, soprattutto in un’Europa che si prepara a militarizzare la propria politica estera, anche sotto l’egida della NATO e in sinergia con le industrie statunitensi.
Del resto la stessa Unione ha già aperto i suoi fondi a Paesi terzi, ma solo in cambio di partnership regolamentate. Chi vuole concorrere agli appalti strategici, come quelli per l’intelligenza artificiale militare o la difesa cibernetica, deve siglare patti politici e sottostare a vincoli di interoperabilità industriale. La Svizzera, con la sua avanzata industria aerospaziale e la storica precisione meccanica, non vuole restare fuori da questa corsa.
L’altro volto di questa scelta riguarda la ricostruzione dell’Ucraina. Il Consiglio federale ha approvato una bozza di accordo di cooperazione bilaterale con Kiev, finalizzata a garantire alle imprese svizzere accesso privilegiato alla futura “torta” della ricostruzione. Un pacchetto da 1,5 miliardi di franchi, con 500 milioni riservati proprio al coinvolgimento del settore privato. Il documento sarà firmato a Roma il 10 e 11 luglio, durante la Conferenza internazionale per il recupero dell’Ucraina.
Non è solo solidarietà, ma strategia economica. Nella fase post-bellica, l’Ucraina sarà un’enorme piattaforma di appalti e forniture, infrastrutture, energia, trasporti, costruzioni, e la Svizzera intende posizionarsi per tempo. Una corsa al business umanitario che vede già in prima linea Germania, Stati Uniti, Francia e le grandi aziende dei settori energia e difesa.
Sul piano diplomatico, Berna ha preso una posizione sorprendentemente netta in sede internazionale, denunciando, insieme ad altri 29 Stati europei, le “interferenze deliberate” della Russia sulle comunicazioni satellitari civili. Si parla di jamming sistematico e mirato, proveniente da postazioni in territorio russo e dalla Crimea. Davanti al Consiglio dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (ITU), la Svizzera ha definito la situazione una “grave violazione del diritto internazionale”.
È un segnale chiaro: anche Berna, storicamente prudente sul piano delle accuse geopolitiche, si allinea ora al fronte euro-atlantico nella guerra dell’informazione e dello spazio digitale. Un altro tassello verso il superamento della neutralità formale, giustificato dalla necessità di difendere le infrastrutture satellitari civili e le catene logistiche digitali, oggi cuore pulsante della difesa nazionale.
La Svizzera sta riformulando, senza proclami ma con grande decisione, il proprio paradigma di sicurezza. A guidare il cambiamento non è solo la guerra alle porte, ma anche la volontà di non restare tagliata fuori dai futuri equilibri economici e militari europei. Le parole del governo federale parlano ancora di “esplorazione” e “cooperazione non vincolante”, ma i fatti, fondi, accordi, denunce, indicano un cammino già imboccato.
Berna vuole sedersi al tavolo dei grandi, anche se questo comporta abbandonare, almeno in parte, l’isola felice della neutralità. E in un mondo in cui i confini tra pace e guerra si fanno sempre più labili, forse anche la neutralità, come concetto politico, dovrà essere riscritta.



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