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quando un post diventa una prova


Nel mondo iperconnesso in cui viviamo, ogni contenuto che pubblichiamo online – che si tratti di una foto in vacanza, dell’acquisto di un’auto o di un brindisi in un ristorante di lusso – racconta qualcosa di noi: ma attenzione, ogni post social può diventare una prova quando si tratta di controlli fiscali.

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Infatti, oltre ai “like” e ai commenti degli amici, c’è un osservatore silenzioso, ma particolarmente vigile, che può attribuire a questi contenuti un valore ben diverso: parliamo dell’Agenzia delle Entrate.

Le prove digitali nei procedimenti fiscali e civili

Ebbene sì: le immagini, i video e, più in generale, i post condivisi sui social network non sono più considerati solo alla stregua di informazioni personali. Ad oggi, la normativa italiana consente di utilizzarli come elementi probatori nell’ambito dei controlli fiscali e nei processi civili.

Ciò è previsto dall’art. 2712 c.c., secondo cui “Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.

Un esempio? Un contribuente con reddito dichiarato pari a zero pubblica contenuti che lo ritraggono in località esclusive e particolarmente costose. Se il Fisco intercetta questi elementi, può chiedere spiegazioni su come siano state finanziate quelle spese. Spetta poi al soggetto interessato dimostrare che si trattava, ad esempio, di un regalo o di un soggiorno sponsorizzato. Tuttavia, per disconoscere

Quando i post social diventano spia del tenore di vita per i controlli fiscali

I social network e in generale le piattaforme digitali sono uno strumento che, seppur non creato a fini investigativi, permette di raccogliere indizi utili a valutare eventuali discrepanze tra il tenore di vita apparente e i redditi effettivamente dichiarati. Attenzione però: un singolo post su Instagram, ad esempio, non è sufficiente a giustificare un accertamento fiscale. Diversamente, una serie di contenuti può costituire una presunzione se soddisfa i requisiti di gravità, precisione e concordanza, ai sensi di quanto previsto dall’art. 39, co. 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973 per l’accertamento analitico-induttivo, e dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici.

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Le autorità fiscali, ad ogni modo, possono visionare solo i contenuti visibili pubblicamente, cioè quelli che l’utente ha deciso di rendere disponibili a una platea ampia. Le comunicazioni private (come messaggi diretti o chat) sono invece protette dal diritto alla riservatezza e possono essere acquisite solo con autorizzazione dell’autorità giudiziaria nell’ambito di un’indagine penale.

Contenuti “social” come base per accertamenti fiscali

I funzionari dell’Agenzia delle Entrate possono utilizzare ciò che emerge dai social per:

  • avviare accertamenti mirati in caso di incoerenze apparenti;
  • integrare e rafforzare altri elementi già raccolti (es. dati bancari, anomalie nei redditi).

Per esempio, la promozione continuativa di attività artigianali, artistiche o professionali online senza Partita IVA può sollevare il sospetto di redditi non dichiarati. In questi casi, i contenuti postati rappresentano un primo campanello d’allarme che deve però essere supportato da ulteriori riscontri.

I giudici possono valutare i contenuti digitali?

Sì. In ambito tributario, il giudice ha l’obbligo di esaminare ogni elemento probatorio prodotto dalle parti, inclusi i contenuti provenienti dai social. Anche in sede civile, soprattutto nelle cause di separazione e divorzio, le immagini e i post online possono assumere rilevanza per ricostruire il tenore di vita, evidenziare spese non giustificate o comportamenti contrari agli obblighi familiari, come ad esempio l’infedeltà coniugale.

In alcuni casi, ciò che emerge nei procedimenti civili può essere trasmesso all’Agenzia delle Entrate e acquisito anche in fase istruttoria di un contenzioso tributario, se rilevante ai fini fiscali.

Tuttavia, non tutti i contenuti digitali hanno peso probatorio. La giurisprudenza ha chiarito che, in assenza di elementi oggettivi a supporto, un semplice “mi piace”, un commento o una foto poco chiara non bastano per fondare un accertamento. È necessario che le presunzioni siano qualificate e fondate su elementi concreti, non su supposizioni o interpretazioni arbitrarie.

Come difendersi dalle presunzioni digitali

Chi si trova al centro di un accertamento basato su contenuti social può far valere diversi strumenti difensivi:

  • disconoscimento formale: contestare la veridicità dello screenshot o del contenuto prodotto;
  • spiegazione alternativa: dimostrare che il fatto rappresentato è fiscalmente irrilevante (ad esempio, un regalo o una spesa già tassata);
  • contestazione della presunzione: eccepire la mancanza di gravità, precisione e concordanza dell’indizio.



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