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La verità esiste ancora?



Il seguente contenuto è tratto dal Rapporto “Scenari per l’Italia al 2035 e al 2050” dell’ASviS. Lo studio costruisce quattro scenari relativi all’impatto della transizione ecologica sull’economia italiana, realizzati grazie alla collaborazione con Oxford Economics.

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Nell’era digitale, il concetto stesso di verità è diventato sfuggente, frammentato da un ecosistema informativo in cui la conoscenza non è più mediata da istituzioni, ma modellata da algoritmi che ottimizzano il coinvolgimento (engagement) delle persone. Se un tempo l’informazione attraversava filtri editoriali e processi di validazione, oggi la logica dell’intrattenimento prevale sulla verifica della sua correttezza, e la credibilità di un contenuto non dipende dalla sua accuratezza, ma dalla sua capacità di diffondersi.

Il risultato è un ambiente in cui la verità non è più un punto di convergenza, ma un fenomeno emergente, plasmato dalle dinamiche delle piattaforme e dai limiti della cognizione umana. La disinformazione non è un virus che infetta il dibattito pubblico, ma un sottoprodotto inevitabile di un sistema informativo sovraccarico. L’accesso all’informazione è istantaneo e illimitato, ma la capacità di elaborarla è rimasta invariata: il cervello umano filtra la realtà attraverso distorsioni (bias) cognitive che privilegiano la coerenza narrativa rispetto all’accuratezza fattuale. In un contesto in cui la competizione per l’attenzione premia il sensazionalismo e la semplificazione, la disinformazione non si diffonde perché più efficace, ma perché si adatta meglio a un’infrastruttura progettata per massimizzare l’engagement.

L’intelligenza artificiale ha accelerato questo processo, abbattendo i costi di produzione dei contenuti e rendendo indistinguibile il confine tra realtà e manipolazione. L’abbondanza di testi, immagini e video generati automaticamente, non solo ha reso più accessibile la disinformazione, ma ha anche alimentato una crisi di fiducia generalizzata, in cui ogni notizia può essere percepita come potenzialmente falsa. Il problema non è solo la diffusione di fake news, ma la dissoluzione dell’idea stessa di prova.

Se tutto può essere generato artificialmente, la reazione istintiva diventa il sospetto diffuso, tipico dei contesti di guerra informativa in cui non si cerca di sostituire una verità con un’altra, ma di creare abbastanza caos da rendere impossibile ogni certezza.

Se il sistema informativo premia l’attenzione, la politica non può restarne immune da tale tendenza. La disinformazione non è un’anomalia del dibattito politico contemporaneo, ma una sua caratteristica strutturale. Le fake news sono strumenti di lotta, amplificati dalle dinamiche delle piattaforme digitali e dall’assenza di una mediazione tradizionale. In questo scenario, la verità politica non è un principio assoluto, ma il risultato di un conflitto narrativo in cui la percezione della realtà viene modellata strategicamente. Le campagne elettorali, i referendum, i movimenti di protesta sono tutti esempi di contesti in cui la disinformazione gioca un ruolo chiave. La polarizzazione non è solo una conseguenza dell’algoritmo, ma una leva per mobilitare il consenso. La strategia politica non punta a informare, ma a creare un senso di appartenenza e a rafforzare le identità di gruppo: il nemico diventa più importante del programma, e la narrativa più potente dei fatti. La propaganda digitale non è un semplice restyling di quella tradizionale, ma un modello adattivo che sfrutta l’iperconnessione per manipolare l’attenzione e la percezione.

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La moderazione dei contenuti da parte delle piattaforme ha spesso avuto l’effetto opposto a quello desiderato: anziché ridurre la disinformazione, ha spinto gli utenti verso piattaforme alternative, rafforzando identità di gruppo e radicalizzazione. Twitter e Mastodon, Reddit e i suoi cloni decentralizzati mostrano come ogni ecosistema informativo tenda a sviluppare la propria versione della realtà, rendendo sempre più difficile l’emergere di una verità condivisa.

In questo panorama frammentato, la comunicazione scientifica si trova ad affrontare sfide enormi. Se la politica ha imparato a piegare l’informazione alle logiche del consenso, la scienza continua a scontrarsi con la difficoltà di trasmettere conoscenza in un contesto che premia la semplificazione e la spettacolarizzazione. La scienza non fornisce certezze assolute, ma modelli probabilistici e processi di revisione continua: un linguaggio che mal si adatta alla velocità e alla polarizzazione dei media digitali.

Durante la pandemia, l’abbondanza di informazioni scientifiche non ha portato maggiore chiarezza, ma ha generato confusione e sfiducia. Il pubblico ha assistito a cambiamenti nelle raccomandazioni sanitarie senza comprendere la logica del metodo scientifico, scambiando l’evoluzione della conoscenza per contraddizione o manipolazione. La crisi climatica, l’intelligenza artificiale, i vaccini: ogni tema scientifico diventa inevitabilmente un campo di battaglia ideologico, in cui la verità scientifica deve competere con narrazioni più accessibili e immediate.

Se il modello attuale premia il contenuto che cattura l’attenzione, il dibattito scientifico rischia di essere sovrastato da opinioni più seducenti, indipendentemente dalla loro fondatezza. Il problema non è solo la diffusione di teorie pseudoscientifiche, ma il modo in cui la scienza stessa viene percepita, non più come un metodo di indagine, ma come portatrice di una posizione politica. In un mondo in cui la credibilità si costruisce con il numero di like e condivisioni, il valore della scienza non è più legato alla sua capacità di spiegare il mondo, ma alla sua capacità di sopravvivere nel mercato dell’attenzione.

In questo scenario, la soluzione non può essere semplicemente il fact-checking o la rimozione delle fake news: è necessario ripensare il modo in cui la conoscenza viene strutturata e resa accessibile.

Un’informazione basata su evidenze, in cui la qualità non sia misurata solo in termini di viralità, ma anche di affidabilità e trasparenza nei processi di selezione, potrebbe offrire un’alternativa al caos informativo attuale. Le istituzioni devono però evitare regolamentazioni superficiali che si limitino a censurare contenuti senza affrontare la radice del problema: la dipendenza delle piattaforme da un modello economico che premia l’attenzione più della qualità informativa.

La verità del futuro non sarà un punto fisso, ma un processo di validazione continua, in cui dati e conoscenza si costruiscono in modo più trasparente e verificabile. Finché il modello attuale sarà dominato da logiche di engagement e da un’informazione progettata per l’intrattenimento, il rumore rischierà sempre di soffocare il segnale. Il vero nodo non è decidere chi ha il diritto di stabilire cosa sia vero, ma creare le condizioni affinché la verità possa emergere in modo più solido all’interno di un ecosistema digitale meno vulnerabile alle distorsioni cognitive e alle pressioni del mercato dell’attenzione.

 

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Nella sezione “approfondimenti” offriamo ai lettori analisi di esperti su argomenti specifici, spunti di riflessione, testimonianze, racconti di nuove iniziative inerenti agli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli articoli riflettono le opinioni degli autori e non impegnano l’Alleanza. Per proporre articoli scrivere a redazioneweb@asvis.it. I testi, tra le 4mila e le 10mila battute circa più grafici e tabelle (salvo eccezioni concordate preventivamente), devono essere inediti. 



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