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I fondi per la ricostruzione finiranno nelle spese Nato. L’invito all’Eur per Trump


È un effetto collaterale del summit della Nato all’Aia. Ma può cambiare il racconto di una questione politicamente spinosissima di fronte all’opinione pubblica italiana. Gli aiuti all’Ucraina aggredita. L’invio di armi e munizioni che prosegue: è in via di definizione a Roma il dodicesimo pacchetto di forniture a Volodymyr Zelensky. E ancora, i fondi per la ricostruzione e la conferenza dedicata al rilancio ucraino ospitata dall’Italia a metà luglio. Sembrava un processo destinato a rallentare, perfino a frenare bruscamente. Invece fra i nuovi impegni sottoscritti in Olanda dalla premier Giorgia Meloni e da tutti gli alleati della Nato, sotto lo sguardo vigile e minaccioso di Donald Trump, rientrano anche gli sforzi per la resistenza di Kiev. Saranno conteggiati, d’ora in poi, nel compito delle spese per l’Alleanza atlantica. È quasi un cambio di paradigma, come riconosce Palazzo Chigi nelle note riservate che tracciano un bilancio del vertice.

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«L’aumento della produzione dell’industria della difesa è funzionale al mantenimento del sostegno militare (soprattutto europeo) all’Ucraina nel lungo termine per aiutare Kiev a difendersi oggi e a prevenire aggressioni future». Si prende insomma atto ai piani alti dell’esecutivo, all’indomani del vertice euroatlantico, che la questione ucraina non si chiuderà in tempi brevi. Affatto. Nelle trincee del Donbass si spara e con intensità crescente. La diplomazia arranca. «Le parti sembrano ormai aver adottato l’approccio di trattare in parallelo ai combattimenti, come dimostrano i recenti scambi di prigionieri e di salme» riflette chi segue per la premier il dossier. Ed ecco allora la presa d’atto degli alleati: a Zelensky serviranno ancora a lungo aiuti militari e finanziari. La differenza è che ora, al netto dei mal di pancia dell’opinione pubblica immortalati bene anche nei sondaggi riservati in mano alla presidente del Consiglio, agli Stati della Nato “conviene” inviare armi e aiuti a Kiev. Un trampolino per saltare oltre l’asticella del 3,5 per cento del Pil nella Difesa fissata al 2035 che a tanti ancora appare lunare: per l’Italia significa altri 34 miliardi di euro ogni anno. Insomma i pronostici del summit Nato sono stati per certi versi ribaltati. Si pensava, e con qualche ragione, che all’Aia Trump avrebbe avviato il countdown per il sostegno all’Ucraina. Le cose sono andate diversamente. L’Europa, su input dell’Alto rappresentante per la politica estera Kaja Kallas, ha avviato un piano per produrre e inviare a Kiev 2 milioni di munizioni. Costo: 5 miliardi di euro. Senza contare i fondi da destinare a Zelensky ricavati dagli interessi degli asset russi congelati nel Vecchio Continente.

LA CONFERENZA

Anche a Roma il governo è tornato a cimentarsi sulla crisi ai confini dell’Europa dopo che l’agenda è stata dominata per settimane dal caos in Medio Oriente. Da un lato il pacchetto di aiuti militari: atterrerà al Copasir entro la fine dell’estate. Dall’altra la ricostruzione economica di un Paese dilaniato dai missili russi. Il 10 e 11 luglio nella capitale si terrà la Conferenza dedicata al rilancio ucraino. Tutto pronto per il palcoscenico che vedrà sfilare capi di governo e di Stato (all’Aia Meloni ha rinnovato l’invito a Trump e Macron e il francese è ben disposto) oltre alle principali aziende del settore. Il conto per la ricostruzione, stando alle stime della Banca Mondiale, è di 524 miliardi di dollari. Ci vorrà tempo.

Meloni, come il resto dei leader Ue, sperava di arrivare all’appuntamento con uno scenario bellico profondamente cambiato. Ma le speranze di una tregua – riaccese nei giorni dell’elezione di papa Leone XIV – sono tornate un lumicino dopo i ripetuti rifiuti di trattare da parte di Putin. Le premesse sono comunque ambiziose. La conferenza, a cui ha lavorato alacremente anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani che ne ha discusso durante la riunione del “formato Weimar” a Roma due settimane fa, sarà preceduta da una fiera imprenditoriale dove le imprese italiane, ucraine ed europee potranno entrare in contatto e siglare nuove partnership.

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Insomma i riflettori tornano puntati verso Est. Anche se all’Aia Meloni ha fatto di tutto per lasciarne acceso uno sul fianco “Sud” della Nato: l’instabilità libica, i traffici di migranti, la penetrazione di Russia e Cina in Africa. L’anno scorso la premier era rimasta scottata dalla nomina di uno spagnolo a inviato speciale della Nato per il Sud, Javier Colomina. L’ultimo “sgarbo” dell’ex segretario generale Jens Stoltenberg. Presto quel posto potrebbe essere occupato da un italiano, si danno di gomito a Palazzo Chigi. Convinti che le proteste di Pedro Sanchez contro il riarmo Nato abbiano facilitato, nell’immediato futuro, un cambio della guardia.

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