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Crescita e sfide del settore food in Italia tra export, governance e previsioni fino al 2026


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Il 2024 conferma una crescita solida per il settore food italiano, con ricavi in aumento e performance superiori rispetto al resto dell’economia nazionale. Nonostante alcune incertezze internazionali, la domanda interna resta sostenuta anche dalla dinamica dell’occupazione e dagli investimenti industriali nel comparto. Tra i punti di forza emergono le imprese familiari e i modelli di governance che influenzano risultati economici e longevità. L’export mantiene un ruolo centrale, ma deve fare i conti con tensioni commerciali e politiche estere complesse.

Andamento economico e previsioni del settore food in Italia

Nel 2024, il comparto food ha messo a segno una crescita dei ricavi pari al 5,9%, un dato molto più alto rispetto al +0,7% del PIL nazionale. Questo indica quanto il cibo e le bevande rappresentino un motore economico rilevante e meno vulnerabile in questo momento. I margini di redditività restano positivi: il ROS si attesta al 5,7%, mentre il ROIC è al 6,9%. Questi valori mostrano una buona capacità di generare profitto rispetto agli investimenti effettuati, anche se si registra un lieve calo rispetto agli anni scorsi. La struttura finanziaria delle aziende del settore è stabile, con un indice di indebitamento di 1,19 che segnala un equilibrio tra mezzi propri e debito.

Previsioni al 2026

Le stime per il 2025 prospettano un andamento comunque positivo, con una crescita del 4,6%. Il 2026 dovrebbe registrare un aumento leggermente inferiore ma ancora significativo, attorno al 4,4%. Questa dinamica migliore conforta visto che l’economia italiana nel complesso fatica a trovare slancio. Sul fronte interno, la crescita resterà sostenuta grazie a una maggiore occupazione che alimenta i consumi. Fondamentale sarà anche l’incremento salariale per consolidare la domanda. L’industria del food risponde con investimenti continui che cercano di migliorare la produttività. Alcuni segmenti specifici come farine, caffè, olio e surgelati sono destinati a registrare tassi di crescita superiori alla media, rispettivamente +9,9%, +6,9%, +6,3% e +5,6%.

Export italiano del food tra opportunità e rischi

L’export costituisce una componente cruciale del settore food, con valori correnti che nel 2025 sono attesi crescere del 7,3%. Un incremento comunque più contenuto rispetto al +8,2% del 2024, ma ancora su livelli di espansione consistenti. Per il 2026 le previsioni indicano un’ulteriore crescita attorno al 7%. L’export copre una quota importante del valore complessivo della produzione e supera i 47 miliardi di euro nel comparto mappato dal Food Industry Monitor. Circa il 13% di questa quota è destinata agli Stati Uniti, uno dei mercati più importanti fuori dall’Europa.

Ruolo del vino nell’export

Lo scenario di esportazioni è dominato dal vino, che da solo vale più di 8 miliardi di euro e indirizza circa il 30% delle vendite verso gli USA. Nel 2024 le esportazioni alimentari italiane sono aumentate del 5,5%, dopo una flessione del 1,6% nel 2023. Restano però delle incognite, specialmente per le possibili nuove misure doganali e politiche protezionistiche da parte degli Stati Uniti, che potrebbero complicare l’accesso al mercato americano. Alcune aziende italiane con stabilimenti diretti negli USA hanno più margine per preservare le proprie quote, ma questa non è una possibilità alla portata di tutti. A questo si aggiungono tensioni geopolitiche che potrebbero influire sull’andamento dei flussi commerciali e dei costi di materia prima.

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Aziende familiari, modelli di governance e performance economiche nel food

Le imprese familiari prevalgono nel settore food italiano, rappresentando il 67% delle aziende del campione analizzato, cioè 870 realtà. Questa predominanza è ancora più evidente in comparti come farine , distillati , olio e caffè . Anche nei settori con grandi gruppi internazionali, come vino, surgelati e birra, più della metà delle imprese rimane a controllo familiare. Questa configurazione influisce sulla struttura di governance, che cambia a seconda della proprietà. Nelle aziende familiari, tre su quattro sono governate da un consiglio di amministrazione , mentre nel restante 24,2% il vertice aziendale è affidato a un amministratore unico.

Differenze nei modelli di governance

Nei gruppi non familiari il CdA ha una presenza più marcata, quasi al 94%, e la figura dell’amministratore unico è molto più rara, solo il 6,4%. Dal punto di vista della presenza femminile, le aziende familiari registrano una quota di donne nel CdA pari al 24,7%, più del doppio rispetto al 10,1% rilevato nelle imprese non familiari. La longevità è un altro tratto distintivo. Oltre la metà delle aziende familiari sono guidate da rappresentanti della terza generazione, un altro 36,8% ha superato questa soglia. Solo il 9,9% delle imprese rimane nelle prime due generazioni.

Le generazioni più giovani sono prevalenti in comparti come farine, pasta, distillati e dolci, mentre birra, olio, farine e acqua ospitano le imprese più longeve. Sul fronte dei risultati economici, le aziende familiari mostrano ritorni sul capitale investito e sul capitale proprio superiori rispetto alle società non familiari. I modelli di governance più articolati, con una leadership collegiale distribuita su più figure, portano a risultati migliori soprattutto in termini di redditività. Ancora più importante è il coinvolgimento diretto dei soci nel CdA: aziende con consiglieri azionisti ottengono un miglioramento del ROA, il ritorno sugli asset. In azienda familiare la presenza di un presidente della famiglia guida in modo strategico la relazione tra proprietà e gestione, incidendo positivamente sui ricavi.

Discussioni e scenari presentati al food industry monitor 2024

Il convegno XI edizione del Food Industry Monitor si è svolto a Pollenzo il 27 giugno 2024, alla presenza di esperti e rappresentanti del settore. Silvia Sciorilli Borrelli del Financial Times ha introdotto i lavori preludendo a un confronto su sviluppo e prospettive del food italiano. Il rettore Nicola Perullo e Gabriele Corte di Banca del Ceresio hanno aperto i lavori. Il Prof. Carmine Garzia ha presentato i dati sull’andamento del settore con approfondimenti su export, profili aziendali e modalità di governance.

Un panel dedicato al valore del made in Italy ha visto intervenire Matteo Lunelli di Ferrari Trento e Guido Repetto di Elah Dufour. A seguire, una sessione sugli strumenti finanziari per espandersi all’estero con Maria Luisa Miccolis di SACE e Alessandro Santini di Ceresio Investors. Quest’ultimo ha richiamato l’attenzione sulla necessità per le imprese italiane di puntare più decisamente sull’internazionalizzazione, non solo export, ma anche investimenti diretti in mercati esteri, per rafforzare la posizione sul lungo periodo e mitigare rischi di barriere doganali o contromisure economiche.

Parole di carlo petrini

Le conclusioni sono state affidate a Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, che ha ribadito l’importanza di guardare all’industria alimentare come espressione culturale e produttiva del paese, capace di supportare solidità economica e occupazione in tempi incerti. Gli spunti emersi nei dibattiti rappresentano un quadro affidabile per comprendere come il food italiano si appresti a navigare le sfide e le opportunità dei prossimi anni.





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