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Il cavillo che manda “fuori controllo” i costi del ponte di Messina. Intervista a Giuseppe Busia


Il cavillo che manda “fuori controllo” i costi del ponte di Messina. Favori ai privati e rischio mafia: perché il cantiere non riparte. Intervista a Giuseppe Busìa

Il presidente dell’Anticorruzione, Giuseppe Busia, mette in fila a Today.it tutti i dubbi sull’opera simbolo di Matteo Salvini.
Tra “costi senza vincoli” e rischi di infiltrazioni mafiose per ora si sono visti solo proclami e decreti spezzatino. Cosa potrebbe accadere.

di Cesare Treccarichi

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Anche quest’anno, i cantieri per il ponte sullo Stretto di Messina non apriranno “in estate”, diversamente da quanto affermato dal maggiore sponsor dell’opera, il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini. Passano gli anni, ma i problemi e le incognite per l’infrastruttura restano. Mentre i costi sono saliti al 248 per cento rispetto all’appalto originario, il governo Meloni ha accentrato i poteri per la progettazione del ponte “riesumando” i rapporti con chi dovrà costruirlo: è il consorzio Eurolink, lo stesso che ha chiesto penali miliardarie allo Stato quando il progetto naufragò sotto il governo Monti. I dettagli di questo nuovo patto tra pubblico e privato non si conoscono, ma i potenziali problemi del ponte non finiscono qui. Su Today.it ne abbiamo parlato con il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), Giuseppe Busia, tra controlli antimafia, progetti spezzatino e “costi senza vincoli”.

Stesso progetto, nuovi costi: il Ponte cresce solo di prezzo

Il ponte sullo Stretto non c’è, ma è già costato oltre 300 milioni di euro. È il conto presentato alle casse statali dalla Stretto di Messina, la concessionaria pubblica che realizza l’opera per conto dello Stato. Da oltre 22 anni Pietro Ciucci è l’amministratore delegato: è lui l’uomo del ponte. E la Stretto, che ha 672 milioni di euro di capitale sociale, continua a costare: nell’ultimo anno, solo per stipendi del personale, consulenze e forniture risultano spese per 14,8 milioni di euro. 

“Nell’accordo di programma tra il ministero delle Infrastrutture, dell’Economia e la Stretto di Messina mancano precisi parametri di verifica di sostenibilità economica”, spiega a Today.it il presidente dell’Anac, Giuseppe Busia. Nel decreto del 2012 era previsto che il rapporto tra lo Stato e la società concessionaria fosse vincolato “al vaglio di mercato sulla sostenibilità economica dell’opera e della governance della struttura, da parte della società Stretto di Messina”, dice Busia, ma il decreto del governo Meloni che ha riattivato l’iter per costruire il ponte “non prevede che la realizzazione dell’intervento sia collegata a vincoli di sostenibilità economica, con la conseguenza che i costi potrebbero subire dei notevoli incrementi”, fa notare il presidente dell’autorità.

Il costo dell’appalto cresciuto del 248 per cento: il passaggio decisivo

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A oggi, per costruire il ponte sullo Stretto ci vogliono 14,6 miliardi di euro. Da quando si è insediato il governo Meloni la cifra è cresciuta di 3 miliardi, ma l’appalto originario, vinto dal consorzio Eurolink nel 2005, era di 3,8 miliardi di euro. In vent’anni, quindi, il costo del Ponte è cresciuto del 248 per cento, anche se la gara d’appalto è rimasta la stessa. Siamo ben oltre il 50 per cento di aumento del costo originario, il limite posto agli appalti e previsto dalle norme europee. Com’è possibile?

“L’aver deciso di non svolgere una nuova gara d’appalto pone dei vincoli sui costi dell’opera: in base alla direttiva europea, infatti, non possono crescere oltre il 50% del valore originariamente messo a gara. La normativa consente di non attivare una nuova gara concorrenziale, ma entro tali limiti. Il decreto Infrastrutture, attualmente all’esame del Parlamento per la conversione, stabilisce che il valore a cui fare riferimento e sul quale calcolare il 50% aggiuntivo non è quello originario della gara, ma quello successivo e molto più alto, indicato nel Documento di economia e finanza 2012”. Cioè 8,5 miliardi di euro.

Per Busia questa interpretazione “pone delicati problemi legati anche a successione delle diverse disposizioni nel tempo, e poiché la previsione odierna nella legge italiana non elimina il rischio di una diversa interpretazione della direttiva da parte della Corte di giustizia, alla quale il legislatore nazionale è tenuto ad adeguarsi, sarebbe opportuno prevedere anche normativamente l’attivazione di una interlocuzione con le istituzioni europee”. 
Questo, secondo il presidente Anac, è il passaggio decisivo. “A tale chiarimento è infatti legata la legittimità di tutti i successivi passaggi – dice Busia -, è quindi interesse di tutti che tale nodo sia sciolto quanto prima. Per questo, sarebbe opportuno che, prima della delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess), il governo chiedesse un parere alla Commissione europea sulla corretta applicazione della direttiva nel caso di specie, così scongiurando il rischio che il problema venga sollevato più tardi, quando i costi sarebbero molto superiori”.

Il progetto esecutivo non c’è, Busia: “I costi reali? Incerti”

I costi sono sempre aumentati negli anni ma, allo stesso tempo, a oggi è impossibile prevedere quanto aumenteranno ancora. “A oggi non esiste un progetto esecutivo che aiuti a individuare puntualmente gli oneri economici – spiega Busia a Today.it -, e si è inoltre previsto che lo stesso sarà approvato non unitariamente, ma per fasi, con riferimento a diverse componenti dell’opera. Questo rende ancora meno facile prevedere quali siano i costi. Sappiamo che spesso i costi crescono anche dopo l’approvazione del progetto esecutivo, ma evidentemente, se non si ha neanche questo, l’incertezza sul quadro finanziario è molto superiore”.

Lo “spezzatino” del progetto per costruire il ponte, cioè l’approvazione fase per fase al posto di un progetto unitario, secondo l’Anac “non giova alla certezza della spesa. Non solo risulta più difficile avere un quadro chiaro e complessivo dell’effettiva realizzabilità dell’opera e dei relativi costi, ma potrebbero presentarsi anche rischi in relazione alla funzionalità dell’intervento infrastrutturale, non ultimo il rischio che componenti solo apparentemente secondarie, e peraltro non prive di impatto ambientale, quali i raccordi a terra, avviate successivamente, rimangano slegate dal contesto o addirittura inutilizzabili”.

E sul progetto, il controllo pubblico è carente: sarà il privato a giudicare se stesso. “Anac aveva evidenziato che l’attribuzione della relazione al progettista potrebbe conferire al soggetto privato un ruolo che sarebbe stato preferibile affidare al Ministero delle Infrastrutture o, almeno, alla società concessionaria in house. Basti ricordare che nella relazione del progettista sono, altresì, indicate le ulteriori prescrizioni da sviluppare nel progetto esecutivo: invece di essere il concessionario in-house o la parte pubblica a definire le prescrizioni, è lo stesso progettista privato a definirle”. 

Il fatto che l’iter sul ponte si stia sviluppando solo tramite decreti, per Busia “limita certamente la possibilità di controlli anche giurisdizionali interni, in quanto questi hanno come primo parametro proprio le disposizioni normative”. Ma la decisione del governo Meloni di proseguire a “colpi di decreto” potrebbe essere sintomatica di altro: “È anche indice di quanto le stesse decisioni siano problematiche e probabilmente di come, chi sarebbe chiamato a prenderle preferisca avere una solida copertura normativa per evitare di essere esposto a ricorsi o richieste risarcitorie”. Ma tutto questo non aggira la normativa europea: “Se questo serve a limitare la responsabilità dei singoli soggetti coinvolti nell’iter approvativo, non serve superare i vincoli europei, che rimangono validi e prevalgono sulla normativa nazionale”.

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Contenziosi, penali e la mafia: “Opera ad altro rischio di infiltrazioni”. Cosa fare

Il percorso che dovrebbe portare alla costruzione del ponte sullo Stretto di Messina è sbilanciato a favore del privato. Ma i soldi sono pubblici. L’Autorità nazionale anticorruzione lo aveva già fatto notare un anno fa nell’intervista su Today.it. Saranno le imprese del consorzio a Eurolink a costruire il ponte sullo Stretto, le stesse di vent’anni fa che poi portarono lo Stato in tribunale. 

“Sarebbe stato necessario valutare attentamente il fatto che il riconoscimento implicito della validità del progetto definitivo di proprietà del contraente generale – cioè Eurolink ndr -, offriva, di fatto, a quest’ultimo un notevolissimo potere contrattuale nella definizione del contenzioso pregresso e anche nella determinazione delle eventuali varianti e del loro costo”.

Nel frattempo, il governo voleva accentrare le verifiche antimafia sugli appalti per costruire il ponte sullo Stretto all’interno della struttura del Viminale. Il presidente della Repubblica lo ha impedito ma il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, vorrebbe che il parlamento intervenisse sulla questione per apportare delle integrazioni al decreto e riportare i controlli nel perimetro del ministero dell’Interno.

Per l’Anac, “la realizzazione di un’opera così rilevante richiede che i controlli siano rafforzati e sia assicurato il massimo livello di trasparenza, anche perché parliamo di un’opera ad alto rischio di infiltrazioni criminali. La disposizione sui controlli antimafia sulle imprese impegnate nella costruzione del ponte, inserita in un primo momento nel decreto, prevedeva la possibilità di agire ‘in deroga’ alle regole ordinariamente previste – spiega Busia -. L’ambiguità della formulazione, e i rilievi evidenziati da più parti, hanno portato a escluderla dal decreto”.

Cosa si dovrebbe fare quindi per evitare che la criminalità metta le mani su decine di miliardi di fondi statali? “Occorre garantire la massima trasparenza delle procedure e dei cantieri, nonché verifiche sistematiche e controlli rafforzati, da effettuarsi mediante strumenti digitali, su tutte le imprese coinvolte nella realizzazione dell’opera, inclusi i subappaltatori, anche ai fini del rispetto della normativa in materia di sicurezza dei lavoratori, prevedendo contestualmente la possibilità di stabilire limiti al ricorso al subappalto”.

E infine, quello che sembra un consiglio: “Per le verifiche antimafia, sempre nell’ottica di assicurare il massimo rispetto della legalità, Anac ha suggerito di prevedere che esse vengano il più possibile estese, disponendone l’obbligatorietà anche al di sotto della soglia di 150.000 euro attualmente fissata dal Codice antimafia”.

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