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dal Forum di Bengasi un appello alle banche italiane a riprendere le relazioni dirette con il Paese


Dal nostro inviato – Un appello al ritorno delle banche italiane in Libia è stato lanciato oggi da Namaan el Bouri, esperto del settore creditizio già chairman di Assaray Bank (Atib), nel corso della tavola rotonda finale del Forum economico italo-libico a Bengasi. Un intervento che ha messo in evidenza quanto un rilancio diretto dei rapporti bancari tra Roma e Tripoli potrebbe sostenere la ricostruzione economica del Paese nordafricano. “Nel 2010 Unicredit aveva già ottenuto una licenza per aprire una banca in Libia. Dopo il 2014 capiamo che molte banche italiane si siano allontanate, ma oggi il contesto è diverso. Il sistema bancario funziona, è unificato, non più diviso tra est e ovest, e si è sviluppato molto negli ultimi cinque anni”, ha dichiarato Bouri, spiegando che nel Paese sono operative 21 banche, di cui cinque pubbliche e le restanti private. “Oggi tutte sono interconnesse e offrono servizi di pagamento elettronico”, ha aggiunto.

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Bouri ha spiegato che le imprese italiane possono oggi lavorare in Libia solo tramite lettere di credito autorizzate dalla Banca centrale, un sistema con limiti evidenti che potrebbero essere superati con il ritorno delle banche italiane. “Oggi l’unico modo per pagare un partner italiano è la lettera di credito, trasmessa poi a intermediari come Banca Ubae o Arab Banking Corporation. Ma questo ha un costo. Non si possono fare bonifici diretti, non è permesso”, ha spiegato. Bouri ha poi chiarito che “non si può emettere una lettera di credito per servizi o prodotti già forniti”. Il settore bancario, ha sottolineato Bouri, rappresenta uno strumento essenziale per l’avvio concreto dei progetti in Libia. “Per poter ottenere le garanzie bancarie e i performance bond richiesti nei contratti pubblici, è necessario aprire un conto presso una banca libica, una volta costituita la partnership locale”, ha spiegato, evidenziando come questo passaggio sia imprescindibile per operare sul territorio.

Bouri non ha poi nascosto l’ostacolo principale: la tassazione sul cambio valutario. “Oggi acquistare valuta estera in Libia costa il 15 per cento in più. È un costo enorme per un investitore straniero che vuole rimpatriare dividendi o reinvestire. Se un euro viene scambiato a 5,48 dinari, per riacquistarlo ne servono 6,4”. Il quadro tracciato è quello di un sistema in evoluzione, ma che ha bisogno di strumenti diretti per sostenere la fiducia. “Il settore bancario oggi funziona e vogliamo che anche le banche italiane tornino. È il momento di riprendere relazioni dirette, senza dover passare da banche terze, perché ogni passaggio ha un costo”, ha concluso Bouri.

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La chiusura del Forum economico

Il Forum economico italo-libico si conclude con una tavola rotonda tra dieci imprenditori italiani e dieci imprenditori libici, momento clou di confronto aperto tra le due business community. La sessione viene affiancata da incontri B2b tra le altre aziende presenti, a suggello di tre giornate di lavoro intenso che hanno riaperto ufficialmente il dialogo economico tra l’Italia e la Cirenaica. Il Forum ha segnato l’inizio di una nuova fase della cooperazione economica bilaterale, che potrà ora contare anche sulla prima sede permanente a Bengasi della Camera di commercio italo-libica. Un passaggio che mira a garantire continuità, coordinamento e presenza stabile sul territorio, come già anticipato dal presidente Nicola Colicchi.

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Molto apprezzata dagli imprenditori italiani è stata la costante presenza del direttore generale del Fondo nazionale per la ricostruzione della Libia, Belgassem Haftar: non solo ha partecipato a tutte le sessioni di lavoro, ma ha anche firmato personalmente tutti i 17 memorandum d’intesa conclusi nel corso del Forum. La sua partecipazione alla cena di gala con le imprese, alla presenza dell’ambasciatore d’Italia a Tripoli, Gianluca Alberini, del console generale a Bengasi, Francesco Saverio De Luigi, e dello stesso Colicchi, è stata letta da molti come un segnale concreto di impegno, stabilità e volontà di cooperare. Secondo diversi operatori, la centralità di un unico interlocutore istituzionale facilita notevolmente le dinamiche di business e rafforza la fiducia delle imprese italiane nel mercato libico. “Un solo interlocutore vuol dire meno incertezza e più efficienza nella gestione dei rapporti”, osserva parlando con “Agenzia Nova” un imprenditore italiano attivo nei settori dell’ingegneria e della logistica.

La chiusura del Forum non rappresenta quindi un punto d’arrivo, ma l’inizio di una nuova fase di lavoro congiunto. I temi affrontati – dallo sviluppo infrastrutturale alla consulenza ingegneristica, dall’energia alla sanità, passando per l’innovazione e la formazione – richiederanno ulteriori approfondimenti e missioni operative. In questo senso, la nascita della sede permanente della Camera di commercio rappresenta una garanzia di continuità e una piattaforma stabile per rafforzare la presenza economica italiana in Libia.

Secondo quanto appreso da “Nova”, sono già allo studio ulteriori missioni esplorative da parte di aziende italiane. L’obiettivo dichiarato è passare alla fase esecutiva, costruendo filiere produttive italo-libiche basate su qualità, fiducia e stabilità.

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