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Cnr, oggi i precari di nuovo in piazza


Tornano in piazza oggi i precari del Consiglio Nazionale delle Ricerche. L’appuntamento è fissato per le 11 davanti al ministero dell’università di viale Trastevere a Roma. Il principale ente di ricerca italiano è ormai da un mese senza presidente. Domani scade il termine per presentare le candidature e nel giro di due settimane la ministra Anna Maria Bernini dovrebbe nominare il successore a Maria Chiara Carrozza da una rosa selezionata dal comitato di valutazione. La fretta della procedura serve a mascherare l’inerzia con cui il governo ha finora trattato la questione, lasciando l’ente senza presidenza e consiglio di amministrazione e dunque paralizzato.

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Eppure al Cnr i dossier aperti sono numerosi e quello dei precari, che nell’ultimo anno hanno occupato l’ente per mesi, è forse quello principale. Le stime infatti parlano di circa tre o quattromila persone impiegate a termine, molte delle quali sono impegnate nei progetti legati al Pnrr. Mandarle a casa una volta finiti i contratti significherebbe indebolire la morte delle infrastrutture create coi soldi europei, dal Centro Nazionale per il futuro della biodiversità a quello per le terapie geniche e i farmaci basati sull’Rna di cui il Cnr è ente coordinatore o uno dei partner principali. Ma per stabilizzare le precarie e i precari che hanno contribuito a avviarli (e non buttare il lavoro fatto grazie alle risorse arrivate da Bruxelles) serve un supporto economico alla ricerca pubblica che al momento il governo non sembra intenzionato a garantire.

La manifestazione di oggi era stata benedetta dalla senatrice a vita e biologa molecolare Elena Cattaneo: «serve la vostra mobilitazione» aveva detto ai ricercatori dopo aver convocato in Senato i direttori degli istituti del Cnr il 18 giugno. La data del sit-in era stata fissata in concomitanza con un incontro tra la ministra e i sindacati per discutere del tema, inizialmente previsto per oggi. Il governo ha anticipato di un giorno la riunione, forse per evitare la pressione della piazza, e ha provato a disinnescare la vertenza. Ieri alle organizzazioni ha presentato un decreto appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale che stanzia 160 milioni di euro per i prossimi tre anni come «finanziamento premiale dei Piani triennali di attività e di specifici programmi e progetti, anche congiunti, nonché delle infrastrutture di ricerca e le aggregazioni e collaborazioni nazionali e internazionali».

Non pochi, almeno sulla carta, da ripartire tra tutti gli enti di ricerca e le università italiane. Ma invece di blandire chi oggi protesta, il decreto finirà per infiammare la piazza. Innanzitutto non è un finanziamento strutturale e non potrà dunque essere speso per stabilizzare il personale del Cnr con contratto a termine. Inoltre, quei soldi sono solo una partita di giro: 15 milioni verranno infatti ricavati tagliando il «fondo integrativo speciale per la ricerca», 25 saranno presi dal «Fondo italiano per la scienza», 90 dal «Fondo italiano delle scienze applicate» e 30 arriveranno da un altro finanziamento specifico destinato al Cnr dalla finanziaria del 2022. Dunque, per le stabilizzazioni al Cnr non c’è un euro in più e le risorse stanziate erano già a disposizione degli enti di ricerca. La ministra ha promesso appena otto milioni di euro per una parziale – e futura – soluzione della precarietà in enti come l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e l’Istituto nazionale di astrofisica: secondo i calcoli della Flc-Cgil «non consentiranno neanche di stabilizzare il 40% dei lavoratori precari di quei due enti».

A parole, nei giorni scorsi la ministra sembrava aver colto l’urgenza della situazione della ricerca italiana. «Comprendo cosa significhi trovarsi in un limbo in cui non si conosce quale sarà il nostro destino professionale» aveva detto venerdì alla fine del consiglio dei ministri in cui è stato deciso il finanziamento ufficializzato oggi. Ma evidentemente non si riferiva ai precari della ricerca pubblica. In quel consiglio dei ministri infatti si era sì parlato di stabilizzazioni dei precari, ma solo per fare un favore alle imprese: di concerto con Confindustria, il governo si appresta a introdurre un credito d’imposta – soldi pubblici – per «stabilizzare a tempo indeterminato all’interno dell’impresa i ricercatori che hanno fatto dottorati industriali innovativi o che si sono applicati a determinati ambiti vicini alle esigenze dell’impresa». In questo modo, il bilancio dello Stato alleggerirà di diecimila euro gli oneri che dovrebbero pagare gli imprenditori per ciascuna assunzione.

Se non fosse chiaro il messaggio, ce n’è anche per i ricercatori precari dell’università: con un comma infilato nell’articolo 1 del «decreto scuola», il governo ha ripristinato la tassazione Irpef per le borse post-laurea per attività di ricerca assegnate dalle università, che finora erano esentate dal fisco. Così i compensi per i giovani ricercatori che sono mediamente già inferiori agli standard internazionali saranno ulteriormente ridotti. Il decreto è legge da 6 giugno ma ieri se n’è accorto il senatore Pd Francesco Verducci. Le borse, ha detto, «vengono assoggettate a Irpef come fossero redditi da lavoro, senza però garantire ai borsisti alcuna tutela, alcun diritto». Pronta, forse con un po’ di ritardo, l’interrogazione urgente per la ministra.

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