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Caron (MSIM): “In un mondo instabile, il rendimento si fa con la gestione del rischio”


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Nel nuovo contesto di volatilità persistente, la strategia multi-asset globale di Morgan Stanley Investment Management punta sull’efficienza del rischio come motore di performance. Tra attenzione all’AI ed effetto Trump, un focus sull’approccio dinamico del fondo con lo chief strategist del team Global Balanced Risk Control della casa di gestione

Nata oltre un decennio fa con l’obiettivo di offrire performance resilienti attraverso una gestione flessibile del rischio, la strategia multi-asset globale di Morgan Stanley Investment Management affronta oggi uno scenario radicalmente mutato. “Viviamo in un mondo meno prevedibile, dove il vero motore del rendimento non è più l’alpha in senso tradizionale ma la capacità di ottimizzare l’esposizione al rischio”, afferma Jim Caron, chief strategist del team Global Balanced Risk Control. In un contesto segnato da turbolenze sistemiche, tensioni geopolitiche e transizioni strutturali, il portafoglio si orienta verso esposizioni selettive e globali, con una particolare enfasi su Europa, Asia e settori trasformati dall’intelligenza artificiale.

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Qual è la filosofia su cui si basa la strategia?

La strategia è nata nel 2010-2011 e si fonda sull’idea di ottimizzare il rendimento aggiustato per il rischio attraverso un focus globale. In sostanza, essa cerca di offrire una performance stabile e resiliente anche in fasi di mercato turbolente con una gestione attiva dell’esposizione al rischio su più asset class e guardando a molteplici geografie. Il contesto di volatilità crescente che caratterizza i mercati finanziari da alcuni anni, e che prevediamo si intensificherà nei prossimi decenni influenzando tanto gli utili delle imprese quanto le valutazioni e i multipli, richiede infatti un approccio più flessibile e reattivo di quanto fatto dal 2010 al 2020. La filosofia di fondo è dunque che, in un mondo meno prevedibile, il vero motore di rendimento diventa proprio l’efficienza nella gestione del rischio.

Come si è comportata la strategia lo scorso anno?

La performance dell’anno scorso è stata molto positiva, con un rendimento che si aggira intorno al 14%, un buon risultato se pensiamo al recente andamento dei mercati in generale. Si tratta di un portafoglio multi-asset globale, con allocazioni diversificate tra quattro regioni: Stati Uniti, Europa, Asia e mercati emergenti. L’equilibrio tra le componenti consente di cogliere opportunità di crescita senza esporsi eccessivamente a un singolo rischio specifico. Abbiamo osservato una stabilizzazione progressiva dei mercati e la nostra esposizione dinamica ha saputo intercettare questi segnali in tempo utile.

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Ha parlato di un portafoglio globale. Com’è composto attualmente?

Il portafoglio vede una componente azionaria statunitense intorno al 30%, ma la parte più rilevante è rappresentata dall’equity europea. È qui che oggi vediamo le condizioni più favorevoli per la crescita, grazie a politiche fiscali espansive come quelle della Germania ma anche a stimoli monetari più forti di quelli degli States e a un processo di reindustrializzazione che sta prendendo slancio. Il tutto senza dimenticare che Bruxelles sta investendo massicciamente in settori come difesa, infrastrutture, energia e digitalizzazione. Il nostro portafoglio riflette questa convinzione con esposizioni mirate ai comparti industriali, tecnologici e legati alla transizione ecologica: tutte aree che riteniamo strategiche per la prossima fase di sviluppo del continente. Oltre a questo, rappresentano oggi un’opportunità molto interessante anche l’Asia e l’America Latina: dopo molti anni di sottoperformance, ora mandano segnali di convergenza con gli USA che crediamo non possano essere ignorati.

E il fattore Trump? Cosa vi aspettate dal presidente USA e come tenerne conto all’intero del portafoglio?

I dazi rappresentano sicuramente un freno: aumentano l’incertezza, generano inflazione, riducono la visibilità sugli utili e comprimono i margini aziendali. Ma le politiche di Trump si sviluppano su altre due dimensioni, deregolamentazione e riforma fiscale, e la chiave per trarre vantaggio dagli effetti della sua presidenza sui mercati consiste proprio nel non trascurarle. La prima può sostenere la produttività nel lungo periodo, anche se i suoi effetti a più lungo termine sono spesso difficili da quantificare. Misure come la riduzione delle imposte sulle imprese e i crediti per investimenti produttivi rappresentano invece un elemento di stimolo al capex per il manifatturiero domestico.

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Qual è la vostra visione sull’intelligenza artificiale come trend di investimento?

L’IA ha un potenziale trasformativo enorme, in particolare nei settori tradizionalmente meno efficienti. Non ci limitiamo a considerare gli effetti immediati, ma cerchiamo di intercettare i benefici secondari e terziari: dall’impatto sulle biotecnologie a quello su sanità e manifattura. In questi ambiti, la produttività può aumentare sensibilmente, rendendo i flussi di cassa delle aziende più stabili e prevedibili. Una prospettiva che crediamo giustifichi multipli di valutazione più elevati. Nel nostro approccio, identifichiamo società che combinano domanda strutturale dei propri prodotti con un potenziale di efficienza legato all’integrazione degli algoritmi. Non puntiamo quindi sui soliti nomi tech, ma su realtà in grado di beneficiare dell’innovazione in modo operativo e concreto.

Tra gli asset più attenzionati dagli investitori nell’ultimo periodo, c’è l’oro. Considerando il saliscendi di cui si è reso protagonista di recente, dopo mesi di rally praticamente ininterrotto, come lo inserite in portafoglio?

Al momento non rientra nelle nostre scelte di allocazione perché non lo consideriamo un investimento di lungo termine strutturale ma un’asset a cui guardare per affrontare contesti specifici. Con un dollaro destinato a deprezzarsi nel lungo periodo per effetto delle politiche di Trump, ad esempio, il lingotto può fungere da copertura mantenendo il suo valore o addirittura rivalutandosi.

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Dopo la tecnologia, quali altri settori privilegiate?

Riteniamo che il settore finanziario sia tra quelli particolarmente ben posizionati. Le banche e le assicurazioni stanno infatti beneficiando di politiche monetarie meno espansive, che sostengono i margini d’interesse. Inoltre, molte istituzioni del settore stanno adottando soluzioni digitali e di automazione che promettono di migliorarne l’efficienza operativa: un trend sul quale a incidere in maniera cruciale sarà ancora una volta l’IA, soprattutto per quanto riguarda processi di analisi e underwriting ma anche per la gestione del rischio. Il nostro obiettivo resta quello di selezionare aziende con fondamentali solidi, vantaggi competitivi duraturi e capacità di adattarsi alle evoluzioni del contesto economico. È una selezione che richiede un’analisi attenta e dinamica.

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