Reggio Emilia «Per forgiare un mondo nuovo servono strumenti nuovi e un patto nuovo tra tutti noi, guardando all’interesse comune». Realtà locali e scenario internazionali. La politica europea, che deve cambiare marcia, così come la città capoluogo e l’università, rilanciando il ruolo di Reggio nell’economia, nel sociale e nella formazione delle future generazioni. È un panorama a 360 gradi quello illustrato nella relazione della presidente di Unindustria, Roberta Anceschi, nell’assemblea annuale degli industriali reggiani, di cui si celebra quest’anno l’80° anniversario, alla presenza del presidente nazionale di Confindustria, Emanuele Orsini. “E quindi uscimmo a rivedere le stelle” il titolo dell’evento: una citazione del celebre verso dantesco, per tratteggiare una fase risalita verso nuove forme di libertà. È questo uno dei concetti che ricorre nel discorso di Anceschi, che ricorda la nascita dell’associazione dopo la Seconda Guerra Mondiale, segnando una rinascita della società in cui «l’impresa industriale ha giocato e gioca un ruolo fondamentale».
Senza fratture
Un sistema che tradizionalmente viene chiamato “modello emiliano”, caratterizzato da quella che Anceschi definisce una «industrializzazione senza fratture», che consiste in «un sistema manifatturiero diffuso che ci ha permesso di competere e di eccellere, portando il made in Italy emiliano in ogni angolo del mondo»: «Nonostante la crisi delle Officine Reggiane e la forte tradizione agricola, siamo diventati dei campioni industriali di classe mondiale». Un merito, sottolinea, di imprenditrici e imprenditori che in 80 anni hanno dato vita a «un capolavoro economico e sociale» basato su etica del lavoro e coesione sociale.
Luci e ombre
Una vera «epopea» che ora deve aprirsi alle sfide del 21esimo secolo, partendo dalla realtà attuale. Secondo i dati diffusi, il Pil provinciale è cresciuto solo dello 0,4%, dato inferiore alle attese ma in linea con la media regionale e nazionale. Il rallentamento è attribuito alle difficoltà dell’industria, il cui saldo a fine anno è stato negativo e peggiore delle previsioni. La ripresa è attesa nel 2026, con una crescita prevista dell’1,6%. L’export è in sofferenza: dopo un calo del -6,5% nel 2024, il primo trimestre 2025 registra un’ulteriore -3,8%. L’occupazione mostra segnali positivi, con una crescita del 2%, tendenza che dovrebbe proseguire nel 2025. Nonostante le criticità industriali, il reddito disponibile delle famiglie è aumentato del 4,4% nel 2024 e dovrebbe mantenersi in crescita, seppur in lieve flessione, anche nel 2025.
Le contrattazioni C’è poi il tema dei salari: «Credo indispensabile evidenziare che a Reggio, come nel resto d’Italia, le retribuzioni più elevate e i meccanismi più efficaci per il recupero dell’inflazione sono quelli previsti e regolati dai contratti di Confindustria». È il tema della contrattazione nazionale, che peraltro ieri ha visto le sigle sindacali dei metalmecannici impegnate in tante manifestazione regionali (leggi a pagina 4, ndr): «A questo proposito, auspichiamo che si possa a breve trovare un punto di incontro che porti al rinnovo del contratto con soddisfazione di entrambe le parti». Ciò che è da evitare, «è una sempre più elevata diffusione dei cosiddetti “contratti pirata”», che rischiano di «portare a una perdita di potere d’acquisto che non solo abbatte la dignità della vita e del lavoro, ma spinge anche verso il basso i consumi e la crescita».
Gli scenari
Un problema di respiro nazionale, come evidenziato da Orsini, peraltro all’interno di un contesto globale caratterizzato da conflitti armati, guerre economiche e nuove tecnologie come l’IA: «Per gestire tale complessità – dice Anceschi – non è sufficiente che l’impresa aumenti la propria capacità di assorbimento tecnico/tecnologico, ma deve poter accedere anche a un insieme di risorse e stimoli innovativi che si trovano al suo esterno, sia esso vicino o lontano».
I patti territoriali
È in questo scenario che Unindustria ha stretto patti locali per lo sviluppo nei distretti della provincia, da Castelnovo Monti alla Bassa passando per la pianura. Un percorso nel quale all’appello sembra mancare il capoluogo, «città a metà del guado», di cui Anceschi rileva «le difficoltà» non solo «nello sviluppo di una rinnovata progettualità, ma anche in riferimento al ruolo che come capoluogo è chiamata a giocare nei confronti della Montagna e della Pianura». Per Anceschi, «ora più che mai» Reggio deve «dare contenuti alla sua nuova identità mediopadana», puntando proprio sulla Av per «un percorso di crescita equilibrata e sostenibile dell’economia urbana e territoriale», uscendo dall’immagine di una città che si immagina periferia milanese, ma proponendosi «come un attrattore di economie e di imprese, un luogo nel quale si ibridano le abilità e i valori locali e le aperture globali di una industria che vuole conservare qui, in questo ambito territoriale, la sede di una specializzazione manifatturiera di rilievo ormai globale».
La città e l’ateneo
Un nuovo impulso in cui l’università deve giocare un ruolo inedito, per il quale occorre un «profondo ripensamento»: «Dopo un quarto di secolo dall’avvio della sede reggiana ciò che colpisce maggiormente è la diversa consistenza del patrimonio immobiliare di Unimore nelle due sedi di Modena e Reggio – scandisce Anceschi – Un dato che esprime in modo eloquente le asimmetrie presenti nella attuale realtà organizzativa dell’Ateneo, sicuramente frutto del loro diverso trascorso storico, ma espressione anche delle politiche più recenti che richiedono ora una svolta». Di qui la necessità di un Patto “a tre”, sottoscritto da Università, Comune e stakeholder urbani, per «fare di Reggio una compiuta città universitaria adeguata e coerente con le esigenze di un sistema industriale di classe mondiale capace di esportare ogni anno 14 miliardi di euro nel mondo. Dal raggiungimento di questo obiettivo politico dipende una parte considerevole del futuro di tutti».
L’Europa Un obiettivo che diventa sfida per un nuovo sviluppo, su cui occorre che la politica nazionale ed europea giochino un ruolo fondamentale: «Alle politiche europee serve un radicale mutamento di impostazione: le scelte degli ultimi anni stanno presentando un conto pesantissimo – il j’accuse di Anceschi – Hanno indebolito la nostra competitività industriale, hanno messo a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro e, di conseguenza, l’intero sistema di welfare e di coesione sociale: cuore del modello europeo dal secondo dopoguerra. Bisogna intervenire subito per cambiare questa rotta». A finire nel mirino è il Green Deal, che ha anteposto «l’ideologia al realismo e alla neutralità tecnologica»: «Il resto del mondo non condivide né i nostri standard, né i loro costi, e tutto ciò ci porta fuori mercato. Dobbiamo tutti trarne le conseguenze». A Europa e governo si chiede infine di contenere i costi dell’energia: «Il gas è ormai da tempo il tema centrale: se confrontati con la Spagna paghiamo il 70% in più, mentre il differenziale con la Germania è del 50%. Si tratta di ordini di grandezza impressionanti che mettono fuori mercato le nostre produzioni». Serve proprio cambiare passo, dunque, per uscire davvero a rivedere le stelle. l © RIPRODUZIONE RISERVATA
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