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“Serve un patto demografico nazionale: senza persone, non c’è impresa né sviluppo”


“Serve un patto demografico nazionale: senza persone, non c’è impresa né sviluppo”
Intervista al Presidente della Confederazione Imprese Italia, Biagio Cefalo

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Presidente Cefalo, l’audizione del Ministro Giorgetti ha portato alla luce, con grande chiarezza, l’impatto della transizione demografica sull’economia italiana. Qual è la sua valutazione in merito?

La relazione del Ministro Giorgetti è stata puntuale e realistica. Finalmente si ammette con chiarezza che la crisi demografica è un’emergenza strutturale. L’Italia ha uno dei tassi di fecondità più bassi d’Europa: 1,20 figli per donna nel Mezzogiorno, 1,19 al Nord, 1,12 al Centro. Il risultato? Una popolazione che invecchia rapidamente: gli over 65 rappresentano ormai oltre il 23% della popolazione e l’indice di vecchiaia è in continuo aumento. Questo ha effetti enormi sull’economia reale, sul sistema produttivo e sui conti pubblici.

Quali conseguenze dirette ha questo fenomeno sulle imprese, soprattutto quelle che voi rappresentate?

Le imprese stanno vivendo già ora le conseguenze. C’è una crescente difficoltà nel reperire manodopera qualificata, soprattutto nei territori a forte spopolamento. Le previsioni sono allarmanti: entro il 2050 potremmo perdere 3,4 milioni di abitanti nel Mezzogiorno, che diventano quasi 8 milioni entro il 2080. È un dato che ci deve scuotere. Dove mancano le persone, l’impresa non può radicarsi, crescere o innovare. Senza una base demografica sana, ogni strategia economica rischia di restare sulla carta.

Il Ministro ha parlato anche del legame tra invecchiamento e sostenibilità del debito pubblico. È un tema che riguarda anche il mondo produttivo?

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Certo. Quando cala la popolazione in età attiva, e aumenta quella in pensione, il carico fiscale e contributivo tende a spostarsi sempre di più su chi lavora e produce. Tra il 2004 e il 2023, la quota di contribuenti sotto i 45 anni è passata dal 41% al 31%, mentre i contribuenti over 65 sono cresciuti dal 24% al 35% del totale. Questo squilibrio impatta direttamente sulla sostenibilità del sistema. Le imprese vengono chiamate a “reggere” un peso sempre più alto, in un contesto di domanda interna debole e pressione regolatoria crescente.

Secondo lei quali sono le priorità da affrontare?

Occorre agire subito su tre leve fondamentali. La prima è la natalità: oggi non basta un bonus una tantum, serve un ecosistema favorevole alle famiglie, fatto di asili nido accessibili, congedi equi, casa, lavoro stabile. La seconda è la valorizzazione del capitale umano: dobbiamo puntare su giovani e donne, ancora troppo spesso fuori dal mercato del lavoro, specie nel Sud. La terza è l’attrattività del Paese: trattenere talenti, attrarre lavoratori stranieri regolari e qualificati, contrastare la fuga di cervelli.

Nel dibattito si è parlato anche di produttività e innovazione come leve per contrastare l’effetto della denatalità. Le imprese italiane sono pronte?

Lo sono, ma hanno bisogno di condizioni abilitanti. La produttività non si migliora per decreto: si alimenta con formazione, digitalizzazione, incentivi agli investimenti. Il timore che un Paese che invecchia sia meno dinamico è reale. Ma con le giuste politiche, anche l’adozione dell’intelligenza artificiale, della robotica, e l’invecchiamento attivo possono diventare opportunità. In questo contesto, le PMI devono essere accompagnate, non lasciate sole.

Che ruolo può avere una Confederazione datoriale come la vostra in questa sfida?

Noi vogliamo proporre un “Patto demografico nazionale”, perché la crisi demografica non riguarda solo la natalità, ma la struttura stessa della società. Serve un’alleanza tra istituzioni, imprese, scuola, università e terzo settore. Le imprese sono disposte a investire nella formazione, nell’occupazione femminile, nei territori. Ma servono certezze e una regia pubblica forte. La sfida demografica va affrontata con la stessa determinazione con cui si affrontano le emergenze sanitarie o ambientali.

Un’ultima domanda. È ottimista o pessimista sul futuro demografico dell’Italia?

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Sono determinato. I numeri ci impongono di agire ora. Nel breve termine la popolazione calerà dell’1,1 per mille l’anno, fino al -5,8 per mille nel lungo periodo, secondo le previsioni. Ma possiamo invertire la rotta. Servono tempo, coerenza e coraggio. Non possiamo più permetterci approcci timidi. Ogni anno perso rende la sfida più dura. Ma se oggi iniziamo a costruire un Paese che investe sui giovani, sulle famiglie e sul lavoro, allora il futuro sarà ancora nostro. 


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