L’Umbria non è un territorio fragile: è un territorio intelligente, con imprese capaci di creare valore attraverso collaborazione, innovazione e legami forti con il territorio, ma spesso escluse dal racconto nazionale. A sottolinearlo è Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria, che nella sua dichiarazione denuncia con lucidità l’invisibilità di un modello produttivo virtuoso, ma poco rappresentato.
“Dobbiamo uscire dalla retorica dei territori fragili – afferma – e iniziare a parlare di territori intelligenti, capaci di tenere insieme sostenibilità, competitività e coesione sociale”.
Imprese coesive in crescita, anche in Umbria
Nel 2024, le imprese coesive italiane – quelle che coltivano relazioni solide con lavoratori, istituzioni, scuola, clienti e comunità – sono salite al 44% tra le manifatturiere, contro il 32% di sei anni fa. L’Umbria, pur rappresentando solo il 2% del totale nazionale, mostra una propensione superiore alla media, se si rapporta al proprio peso economico nel PIL nazionale (1,4-1,5%).
Il segnale è chiaro: la coesione è presente, ma non è sufficientemente visibile o sostenuta da politiche strutturate.
Manifattura umbra: relazionale ma poco raccontata
Il cuore pulsante della coesione regionale è nella manifattura, dove quasi il 40% delle imprese umbre rientra nella categoria coesiva. Un dato che colloca l’Umbria all’11° posto su 20, davanti a regioni come Lazio e Marche, e vicina a Toscana e Liguria.
Il confronto con le eccellenze di Trentino Alto Adige (quasi 60%) o Emilia-Romagna (quasi 50%) evidenzia un gap, ma non cancella il valore del modello umbro, che si distingue per capacità relazionali e senso civico, soprattutto nei piccoli centri.
Un’Umbria divisa a metà
Il Nord dell’Umbria, in particolare la provincia di Perugia, mostra una forte intensità coesiva, con reti attive e imprese interconnesse. Diversa la situazione nel Sud, dove Terni e le aree industriali limitrofe registrano una delle intensità più basse a livello nazionale.
Un divario che riflette anni di deindustrializzazione, perdita di capitale umano e debolezza associativa. Ricucire questa frattura interna è la vera sfida per rendere l’Umbria un modello nazionale di coesione economica.
Capitale sociale: una ricchezza da attivare
Nonostante criticità come la bassa natalità imprenditoriale (17° posto nazionale) e un valore aggiunto pro capite solo 13° in Italia, l’Umbria sorprende per indicatori sociali avanzati: alta raccolta differenziata, partecipazione civica e fiducia interpersonale. Manca, semmai, una piena valorizzazione del capitale sociale esistente, che andrebbe messo al servizio dell’economia e delle imprese più dinamiche.
Non serve inventarlo, serve attivarlo: connettendo scuole, università, aziende, enti e cittadini.
Cinque priorità per rendere la coesione strategica
Il rapporto Symbola individua cinque azioni concrete per rafforzare la coesione economica in Umbria:
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Rafforzare i legami tra imprese, scuola, università e terzo settore
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Premiare fiscalmente le imprese coesive, anche a livello regionale
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Investire sul rilancio del Sud dell’Umbria, oggi in ritardo
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Diffondere e valorizzare le migliori pratiche già attive
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Scommettere su settori ad alta coesione: green economy, turismo lento, manifattura di qualità
La coesione come leva industriale
“La coesione è un formidabile fattore produttivo”, ha dichiarato Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, presentando il rapporto. Le imprese e i territori più coesi, infatti, producono fino a 10.000 euro in più di valore aggiunto per abitante, rispetto a quelli con tessuti relazionali deboli.
Per l’Umbria, la sfida non è creare coesione da zero, ma renderla protagonista. Un lavoro che parte dal racconto e dalla visibilità, ma che deve passare anche per politiche pubbliche mirate, incentivi e reti attive.
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