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Borsa, Equita: il mercato italiano è il più fragile in Europa


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Piazza Affari vale appena il 39% del Pil nazionale e risulta indietro rispetto a Francia, Svezia e Regno Unito. Ma le soluzioni per recuperare ci sono. La ricerca

A fine 2024 la capitalizzazione di Piazza Affari rappresentava appena il 38% del Pil nazionale, un dato in calo rispetto al 51% del 2006, che fa dell’Italia il fanalino di coda in Europa. Nel Regno Unito, infatti, tale quota è al 90%, in Francia al 120% e in Svezia addirittura al 170%. Non solo: sempre lo scorso anno il listino milanese ha perso oltre 28 miliardi di euro di capitalizzazione per effetto dell’addio al mercato di aziende quotate, a fronte di poco più di un miliardo rappresentato dai nuovi ingressi. Bastano probabilmente questi dati per capire come il nostro mercato azionario continui ad essere il più fragile tra quelli evoluti dell’Ue e come sia necessario e urgente recuperare tale ritardo. A mostrarlo è la ricerca ‘European financial ecosystems: comparing France, Sweden, UK and Italy’ realizzata dal Centro Baffi, che offre esempi preziosi per riuscire a costruire un sistema finanziario capace di contribuire alla crescita economica e al benessere collettivo.  

Perché siamo gli ultimi

Lo studio, presentato nel corso del convegno promosso da Equita e Università Bocconi nell’ambito della loro partnership a supporto dei mercati dei capitali, ha analizzato e comparato il modello dirigistico francese, quello socialdemocratico svedese, il sistema liberista inglese e quello bancocentrico italiano. Ne emerge che i primi tre hanno numerosi e importanti punti in comune, che invece a noi mancano. Francia, Svezia e Regno Unito, infatti, considerano i mercati dei capitali un bene pubblico e i loro sistemi pensionistici mostrano attenzione verso la previdenza complementare. Negli altri tre Paesi, poi, la cultura finanziaria risulta evoluta ed esiste un supporto fiscale che sostiene strutturalmente e stabilmente il settore. 

Ad esempio, in Svezia con l’Isk, nel Regno Unito con l’Isa o in Francia con il Pea e il Pea-Pme, tutti strumenti di risparmio ben concepiti, si incoraggiano gli investimenti in azioni delle famiglie attraverso incentivi fiscali mirati. Inoltre, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie statali svolgono un ruolo decisivo nella stabilizzazione dei mercati e nella canalizzazione efficiente del capitale. Con i suoi 1.100 miliardi di euro gestiti, per esempio, la Cassa Depositi francese (Caisse des Dépots et Consignations) è stata determinante nel sostegno di investimenti strategici, così come la CDC Croissance, specializzata nel finanziamento di pmi e mid-caps, è intervenuta dove il capitale privato ha esitato.

I fondi pensione, poi, rappresentano un’altra fonte critica di capitale a lungo termine, come dimostrano Stoccolma e Londra. Il sistema pensionistico svedese combina fondi AP sostenuti dallo Stato e schemi occupazionali privati, garantendo così un’ampia partecipazione al mercato dei capitali. Il Regno Unito sta invece consolidando 86 regimi pensionistici di enti locali in otto ‘megafondi’ da oltre 50 miliardi di sterline ciascuno, una strategia progettata per sbloccare 80 miliardi da investire in infrastrutture e imprese.

Non solo norme: ecco cosa serve all’Italia

Insomma, ciascuno di questi Paesi integra i quattro elementi essenziali di un sistema efficiente: legislazione e regolamentazione, tassazione, investitori e intermediari finanziari. E l’Italia dovrebbe fare altrettanto, a maggior ragione in un momento in cui l’Europa è impegnata nel rafforzamento della Capital Markets Union e nello sviluppo della Savings and Investments Union. Secondo lo studio, come già avviene in Francia, Svezia e Regno Unito, il nostro Paese può implementare iniziative molto efficaci, indipendentemente dai progressi attesi a livello europeo, anche tenuto conto della fragilità del nostro mercato dei capitali e dell’urgenza di intervenire.

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“L’Italia è molto indietro, deve accelerare”, ha avvertito Andrea Vismara, amministratore delegato di Equita. “Non basta migliorare il contesto normativo, bisogna agire con un approccio proattivo e una politica industriale e fiscale che coinvolga tutti gli attori in uno sforzo di sistema. Le soluzioni ci sono, anche a prescindere dalla lentezza delle iniziative europee, che non possono diventare un alibi per rallentare la promozione di una strategia efficace a livello nazionale”, ha concluso.

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