ROMA Paesi sempre più vuoti, case chiuse, giovani che continuano a emigrare, mancanza di servizi, assenza di strutture sanitarie adeguate. L’antropologo e studioso Vito Teti traccia un quadro preciso di quelli che sono i sintomi di una malattia che colpisce sempre più spesso e con ferocia le aree interne e il Sud: lo spopolamento. Tutti elementi che «portano a una desertificazione di questi territori, e di fatto questo fenomeno diventa irreversibile».
Un fenomeno, che «non è un’invenzione di studiosi, antropologi o commentatori», ma che viene fotografato da «chi si occupa di demografia e statistica, ed è quanto peraltro ha rimarcato anche il ministro Giorgetti». L’antropologo, teorico della “Restanza” – le cui riflessioni sul nuovo Piano strategico nazionale per le aree interne (Aree interne, il piano strategico di Foti è il «requiem prima della morte») erano state pubblicate sul Corriere della Calabria, risponde così a quanto affermato dal ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, Tommaso Foti, che nel corso di una interrogazione a risposta diretta alla Camera lo ha menzionato affermando: «Rispondo all’antropologo Vito Teti. Non ho mai detto che quello delle aree interne è uno spopolamento irreversibile».
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«Ma il punto non è tanto quello che si dice, ma quello che si fa a livello politico», spiega Teti, secondo il quale «le politiche che si stanno adottando sono tali da rendere irreversibile il fenomeno dello spopolamento». E secondo lo studioso c’è un’evidenza ancora più eclatante: «Anziché alimentare speranza e fiducia si insiste sulla difficoltà e sull’impossibilità di fare interventi che possono cambiare in maniera radicale le cose. Il problema non è solo di ordine strutturale, economico e demografico, ma è proprio di ordine antropologico-culturale e di creazione di una sorta di disaffezione ai luoghi da parte dei giovani che non trovano un buon motivo per restare». Il tutto unito alla «mancanza di interventi che realizzino esperienze positive, in controtendenza rispetto allo spopolamento».
«Non si dice ai giovani che possono avere la speranza di cambiare le cose»
E proprio in riferimento a quello che viene detto oppure no, Teti rimarca: «È anche importante quello che non si dice. Non si dice ai giovani che hanno il diritto di restare, che possono impegnarsi e mobilitarsi per cambiare le cose. Non si dice ai giovani che possono avere la speranza di cambiare le cose, questa è una sorta di resa e di requiem per paesi che sono moribondi ormai da circa settant’anni e che adesso stanno arrivando a una vera e propria morte. In alcune dichiarazioni sembra quasi ci si rassegni a una sorta di eutanasia dei paesi, mentre bisognerebbe dire che i paesi hanno diritto di vivere anche se hanno un solo abitante, che semmai dovrebbero essere messi in condizioni di vivere bene e dignitosamente».
E ancora una volta Teti ribadisce il concetto di “Restanza”, che si lega indissolubilmente a quello di «resistenza, come contrasto al vuoto». Un concetto «che non esclude il viaggio, la mobilità, ma che guarda anche al possibile ritorno di chi è stato fuori». E infine, secondo Teti c’è un altro elemento da tenere in considerazione: «Non si pensa ad attuare politiche per accogliere in modo regolare stranieri che potrebbero essere fondamentali per la demografia, l’economia e per la società di un Sud che altrimenti è destinato a svuotarsi». (redazione@corrierecal.it)
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