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Marelli, la sfida industriale passa da Roma. Uliano (Fim-Cisl): «Chiediamo l’arrivo di un soggetto con un credibile piano industriale»


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Marelli technology at the 2025 Shanghai International Automobile Industry Exhibition.

Il 19 giugno si aprirà un nuovo capitolo della saga Marelli. Per il gioiellino della componentisca è stato infatti convocato al Ministero delle Imprese e del Made in Italy un nuovo incontro, con l’obiettivo di fare il punto sui prossimi passi della ristrutturazione nazionale. Da tutelare oltre 6.000 addetti, con poli produttivi principali a Bologna (550 persone), Sulmona e Crevalcore. Ma da preservare sono anche le fabbriche stesse, per poter mantenere tutto quel bagaglio di tecnologie e know how che ha reso Marelli uno dei principali fornitori di Oem a livello mondiale, con clienti come Stellantis, Toyota, Tesla, Nissan. Ma quali sono i prossimi passi da compiere? E quali azioni dovrebbe mettere in campo il Governo? Abbiamo chiesto a Ferdinando Uliano, Segretario Generale della Fim‑Cisl, di aiutarci a fare chiarezza.

 

D. In Italia la crisi coinvolge circa 6.000 addetti. Quali sono oggi le priorità per la tutela occupazionale e quali richieste avete già avanzato all’azienda e alle istituzioni?

Il Segretario Generale Fim-Cisl Ferdinando Uliano.

R. La priorità riguarda la conferma dei contratti che Marelli ha con i clienti. All’azienda chiediamo massima trasparenza durante la delicata fase di passaggio attraverso il Chapter 11. Marelli ci ha assicurato che durante questa fase non ci saranno effetti sul puntuale pagamento delle retribuzioni e massima continuità rispetto agli accordi aziendali in essere. Alle istituzioni, in particolare al Mimit, chiediamo di vigilare affinché la nuova proprietà abbia come obiettivo un progetto industriale solido e attento all’evolversi della transizione del settore automotive nel nostro paese.

D. Si parla dell’ingresso possibile di SVP e Motherson. Quali garanzie chiederete come sindacato a eventuali nuovi investitori? Che tipo di interlocutore industriale ritenete credibile?

R. Motherson è un soggetto industriale ed è in linea di principio da preferire alla gestione di un fondo speculativo. Tuttavia, per poter esprimere un parere fondato, bisognerà capire quale sarà la nuova proprietà alla fine della fase avviata nei giorni scorsi presso il tribunale del Delaware. Quello che chiediamo è l’arrivo di un soggetto con un credibile piano industriale e la volontà di affrontare le sfide dei prossimi anni.

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D. In questa fase serve il massimo coordinamento tra sindacati, governo e azienda. Quali sono oggi le vostre richieste al governo per evitare che questa crisi diventi l’ennesima ferita per il manifatturiero italiano?

R. A fronte del cambio di proprietà, il Governo deve mettere in campo tutti gli strumenti per favorire un percorso industriale coerente con la storia e il prestigio acquisito negli anni da Marelli. I sindacati, oggi, sono tutti uniti nell’impegno a sostenere una prospettiva di sviluppo dell’impresa, di salvaguardia di tutti i siti italiani, di difesa dell’attuale organico e delle condizioni economiche e normative di tutti i lavoratori presenti.

D. Guardando a quanto accaduto con Marelli, quale lezione più urgente deve imparare il Paese per difendere le sue filiere industriali strategiche?

Il 19 giugno si aprirà un nuovo capitolo della saga Marelli. Per il gioiellino della componentisca è stato infatti convocato al Ministero delle Imprese e del Made in Italy un nuovo incontro, con l’obiettivo di fare il punto sui prossimi passi della ristrutturazione nazionale.

R. Tra le altre, la lezione che il paese dovrebbe imparare è quella di riconoscere il sindacato, oltre che come soggetto di difesa e rappresentanza del lavoro, come elemento di difesa dell’industria nazionale. Se Marelli è ancora un’impresa importante e un’eccellenza nel panorama industriale italiano, lo deve anche all’impegno e alle lotte che il sindacato ha portato avanti negli ultimi anni a salvaguardia di tutti i siti, dai tavoli ministeriali al confronto negoziale con le controparti. Per noi, l’impresa rappresenta sempre un valore e un patrimonio di tutta la collettività. Per questo pensiamo di rappresentare un soggetto indispensabile a controbilanciare le distorsioni del mercato. Anche per questo chiediamo il massimo impegno del Governo, l’industria strategica nazionale, di cui fa parte anche Marelli, ha un valore per il Paese che non può essere giocato solo sul tavolo della finanza e delle forze del mercato.

 

Marelli: da Magneti Marelli alla crisi sotto Chapter 11

Le radici industriali di Marelli affondano nell’Italia del primo Novecento. Magneti Marelli nasce nel 1919 come joint venture tra Fiat e Ercole Marelli, specializzandosi inizialmente in impianti di accensione. Per decenni il marchio ha accompagnato lo sviluppo industriale di Fiat, seguendo l’espansione automobilistica del gruppo torinese in Italia e nel mondo.

Negli anni 2000, Magneti Marelli si trasforma gradualmente in un fornitore globale di componentistica automotive: sistemi elettronici, illuminazione, powertrain, sospensioni e infotainment diventano i suoi core business, allargando il portafoglio clienti ben oltre Fiat. Il salto avviene nel 2014, quando Fiat si fonde con Chrysler per dar vita a Fca (Fiat Chrysler Automobiles): Magneti Marelli resta controllata dal nuovo gruppo italo-americano.

Nel 2018 Fca decide di cedere Magneti Marelli al fondo americano Kkr per una valutazione di circa 6,2 miliardi di euro, nell’ambito di una più ampia strategia di dismissione degli asset non core. L’operazione si perfeziona nel 2019 e segna l’inizio della nuova era: Magneti Marelli viene integrata con la giapponese Calsonic Kansei, già controllata da Kkr, dando vita al gruppo Marelli, con quartier generale globale spostato a Saitama (Giappone) ma con ancora una forte presenza industriale in Italia.

Marelli, l’innovazione nel plant di Tolmezzo.

La pandemia, la crisi delle forniture, il rincaro delle materie prime e l’intensa competizione nel segmento EV hanno però progressivamente eroso i margini, aggravando la leva debitoria accumulata nelle operazioni di fusione. Il rallentamento degli ordini da parte di clienti chiave come Nissan e Stellantis ha ulteriormente complicato il quadro.

Nel giugno 2025 Marelli finisce così sotto il Chapter 11 negli Stati Uniti, con debiti per circa 4,9 miliardi di dollari. Kkr si sfila, mentre il fondo Strategic Value Partners (Svp) si candida a rilevare il controllo. Parallelamente, viene avviata anche in Italia una procedura di concordato preventivo in continuità per gestire la ristrutturazione industriale degli stabilimenti italiani, dove oggi lavorano circa 6.000 addetti.

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Il gruppo Samvardhana Motherson, attivo globalmente nella componentistica, ha manifestato interesse ad affiancarsi o subentrare nel nuovo assetto proprietario, ma al momento non sono ancora state formalizzate offerte definitive.

La storia di Marelli resta così uno dei casi più emblematici di trasformazione industriale e finanziaria di un grande fornitore automobilistico globale, nato in Italia, cresciuto nel mondo e oggi al centro di una difficile sfida di rilancio.



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