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Unimpresa: Iran, da rincaro gas e petrolio +11 miliardi costi energia per imprese


Un aumento strutturale dei prezzi del gas e del petrolio potrebbe costare oltre 11 miliardi di euro in più alle piccole e medie imprese italiane già nel 2025. È quanto emerge da un’analisi del Centro studi di Unimpresa, che valuta l’impatto potenziale di un rincaro medio annuo del 20% delle materie prime energetiche rispetto ai valori del 2024. Dopo l’attacco israeliano in Iran, il gas ha registrato un balzo del 4% (37,60 €/MWh), mentre il petrolio è schizzato dell’8% (WTI a 73,48 dollari).

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Nel dettaglio, 6 miliardi di euro Sarebbero legati all’incremento del prezzo del gas e oltre 5 miliardi all’effetto del petrolio, con ripercussioni critiche sui settori più energivori, dalla logistica all’agroalimentare, fino alla chimica. A questi si aggiungono costi indiretti legati a trasporti, materie prime e lancio. Unimpresa propone misure urgenti: proroga dei crediti d’imposta, sterilizzazione degli oneri in bolletta e incentivi all’autoproduzione da fonti rinnovabili.

«Il rialzo improvviso del prezzo del gas e del petrolio, legato agli attacchi in Medio Oriente, conferma quanto le nostre economie siano ancora ostaggio della geopolitica energetica. Le piccole e medie imprese italiane, che già fronteggiano margini ridotti e domanda debole, rischiano di subire un nuovo shock sui costi di produzione. Servono misure tempestive e una strategia europea che rafforzi gli stoccaggi, diversifichi gli approvvigionamenti e metta al riparo il tessuto produttivo da queste fiammate speculative. Ogni escalation nell’area del Golfo si traduce in una spirale di rincari che colpisce famiglie e imprese. Oggi l’allarme non è solo per i listini alla pompa, ma per l’intero ciclo economico, dal costo dei trasporti alla filiera agroalimentare. L’Europa deve uscire da una posizione attendista e garantire un argine strutturale all’instabilità» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, l’attacco israeliano in Iran, avvenuto nella notte tra il 12 e il 13 giugno 2025, ha immediatamente innescato una reazione sui mercati delle materie prime. Il prezzo del gas naturale alla Borsa di Amsterdam è salito del 4%, toccando quota 37,60 euro al megawattora. Parallelamente, il greggio ha registrato un balzo ancora più pronunciato: il WTI ha guadagnato l’8%, salendo a 73,48 dollari al barile, mentre il Brent si è portato a 74,47 dollari (+7,37%). Se queste dinamiche dovessero consolidarsi nelle prossime settimane, con prezzi dell’energia stabilmente più elevati rispetto al 2024, il sistema produttivo italiano si troverebbe a dover fronteggiare un aumento molto significativo dei costi di produzione, con effetti potenzialmente destabilizzanti soprattutto per le piccole e medie imprese.

Nel 2024, il prezzo medio del gas si è attestato attorno ai 35 euro/MWh. Uno scenario di crescita strutturale del 20%, ipotizzato come plausibile dagli analisti di Unimpresa in caso di tensione prolungata, porterebbe le quote verso i 42 euro/MWh. Applicando questo incremento al consumo annuo dell’industria italiana – circa 15 miliardi di metri cubi – il costo aggiuntivo per le imprese ammonterebbe a circa 10,5 miliardi di euro. Considerando che le pmi rappresentano circa il 60% del fabbisogno energetico industriale, si stima che oltre 6 miliardi di tale incremento graverebbero direttamente su di esse, in particolare nei comparti energivori come la manifattura pesante, la chimica e l’agroalimentare.

L’altra variabile chiave è il prezzo del petrolio. Nel 2024, il Brent si era stabilizzato attorno ai 65 dollari al barile. Un aumento del 20% – in linea con l’andamento attuale post-attacco – porterebbe il prezzo intorno ai 78 dollari. Ciò comporterebbe un rincaro complessivo dei prodotti petroliferi utilizzati in ambito industriale (carburanti, lubrificanti, riscaldamento) stimato in oltre 8,7 miliardi di euro, di cui circa 5,2 miliardi ricadrebbero sulle pmi. Il settore dei trasporti, già fortemente esposto alla volatilità dei carburanti, sarebbe tra i più colpiti, insieme all’agricoltura e all’intera logistica.

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L’incremento dei prezzi energetici non si esaurisce nella bolletta: genera una reazione a catena lungo tutta la filiera produttiva. I costi di trasporto, ad esempio, potrebbero aumentare tra il 5 e il 7%, con effetti diretti su distribuzione e consegne. Le materie prime trasformate – soprattutto quelle derivate dal petrolio, come le plastiche – subirebbero un rincaro sensibile. Più in generale, le imprese vedrebbero erodere i margini operativi in misura compresa tra 1,5 e 2,5 punti percentuale, con conseguente frenata degli investimenti e della spinta alla transizione energetica.

Nel medio periodo, l’effetto sui prezzi finali al consumo potrebbe tradursi in un incremento dell’inflazione di 0,3–0,5 punti percentuale, penalizzando ulteriormente i bilanci delle famiglie italiane. L’impatto non sarà uniforme. Secondo il Centro studi di Unimpresa, i comparti maggiormente esposti sono: trasporti e logistica, dove l’energia incide per oltre il 30% sui costi totali; industria pesante e manifattura, con un’incidenza del 25–35%; agroalimentare, fortemente dipendente sia dal gas sia dai carburanti; chimica e plastica, dove l’effetto moltiplicativo dei prezzi del petrolio rischia di essere devastante.

L’attacco in Medio Oriente spinge il diesel e la benzina, imprese sotto pressione per l’aumento dei prezzi dell’energia 

L’impennata dei prezzi del petrolio seguita all’attacco israeliano all’Iran potrebbe costare fino a 300.000 euro l’anno a una flotta media di 50 camion in Italia. È una proiezione del Centro studi di Unimpresa basata sull’aumento dell’8% del WTI e del 7,4% del Brent registrato il 13 giugno, che ha spinto in alto i prezzi dei carburanti di 10-15 centesimi al litro. Un aggravio che colpisce duramente il settore dei trasporti, già alle prese con margini ridotti e tariffe stagnanti.

Secondo l’analisi dell’associazione, una compressione dei profitti o un aumento dei costi di trasporto appaiono inevitabili, con effetti a catena su logistica, prezzi al consumo e competitività. Anche la logistica marittima e aerea subisce pressioni, con rincari del 5-10% nei costi di spedizione, mentre le imprese di autotrasporto chiedono interventi urgenti, come sgravi fiscali sui carburanti o incentivi per flotte a basso impatto. Il rischio concreto è che i rincari si trasferiscano sui prezzi finali, comprimendo i consumi interni e frenando una crescita economica italiana già debole nel 2025.

La crisi energetica legata al conflitto in Medio Oriente arriva in un contesto fragile: l’Italia importa oltre il 90% del gas e il 95% del petrolio, con ricadute immediate sui costi dell’elettricità – dipendente per il 40% dal gas – e su tutti i settori energivori, ma è il comparto trasporti a rappresentare la prima linea del rischio industriale, specie per un paese orientato all’export come l’Italia.

«L’escalation delle tensioni in Medio Oriente, innescata dall’attacco israeliano all’Iran nella notte del 13 giugno 2025, proietta un’ombra di incertezza sull’economia globale, pur in un contesto in cui i mercati sembrano scommettere su un conflitto circoscritto. L’ipotesi più probabile, al momento, è che le ostilità restino confinate ai due paesi coinvolti, con infrastrutture petrolifere risparmiate e senza un’escalation che coinvolga altri grandi produttori della regione, come Arabia Saudita o Emirati Arabi. Tuttavia, il rischio di una temporanea compromissione del traffico nello Stretto di Hormuz, attraverso cui passa circa un quinto del petrolio mondiale e un quarto del gas naturale liquefatto, o di un aumento della volatilità dei prezzi dovuto a premi per il rischio, non può essere escluso. Questo scenario, pur moderato, si inserisce in un quadro economico globale già fragile, segnato da una crescita lenta in Europa, pressioni inflazionistiche persistenti e una transizione energetica ancora incerta» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, a livello globale l’immediata reazione dei mercati energetici riflette una certa cautela: il prezzo del gas naturale ad Amsterdam è salito del 4% a 37,60 euro per megawattora, mentre il petrolio WTI e Brent hanno registrato rialzi rispettivamente dell’8% (73,48 dollari al barile) e del 7,37% (74,47 dollari al barile).

Questi incrementi, per ora contenuti, suggeriscono che gli operatori non anticipano disservizi significativi delle forniture. Tuttavia, un conflitto prolungato, anche se limitato, potrebbe spingere i prezzi energetici verso un aumento strutturale del 10-15% nei prossimi mesi, con effetti di caduta del calo e dei costi di produzione.

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Le economie avanzate, in particolare quelle europee, altamente dipendenti dalle dipendenti di energia, risentirebbero di un rincaro dell’elettricità e dei carburanti, con un impatto stimato tra l’1% e il 2% sull’inflazione complessiva. Le economie emergenti, invece, potrebbero affrontare pressioni ancora più acute, soprattutto nei paesi importatori netti di energia come India o Turchia, dove i bilanci pubblici sono già sotto stress.

Nel frattempo, i produttori di petrolio come Stati Uniti e membri dell’OPEC+ potrebbero beneficiare di margini più ampi, ma un’eventuale decisione di aumentare la produzione per stabilizzare i prezzi resta incerta, data la volontà di mantenere quote elevate.

Per le imprese globali, un aumento duraturo dei costi energetici si tradurrà in una compressione dei margini di profitto, soprattutto nei settori manifatturiero, chimico e dei trasporti. Le catene di approvvigionamento, già messe alla prova da anni di instabilità, potrebbero subire ulteriori tensioni, con rincari nei costi di spedizione e delle materie prime derivate dal petrolio, come plastiche e fertilizzanti.

Le banche centrali, in particolare la Federal Reserve e la Banca Centrale Europea, si troverebbero di fronte al dilemma di bilanciare il controllo del finanziamento, potenzialmente riaccesa dai prezzi energetici, con il rischio di soffocare la crescita economica attraverso tassi di interesse elevati. In questo contesto, la transizione verso le energie rinnovabili potrebbe ricevere uno impulso, ma i tempi di implementazione restano troppo lunghi per mitigare gli effetti a breve termine.

Focalizzandosi sull’Italia, il quadro appare particolarmente delicato. Il nostro paese, che importa oltre il 90% del gas naturale e il 95% del petrolio consumati, è tra i più esposti in Europa alle fluttuazioni dei prezzi energetici. L’aumento del gas e del petrolio registrato il 13 giugno si riflette già sui costi dell’elettricità, dato che circa il 40% della produzione elettrica nazionale dipende dal gas. Un incremento del 10-15% dei prezzi del gas potrebbe spingere il costo dell’elettricità da 120-150 euro per megawattora a 140-180 euro, con un impatto diretto sulle bollette delle imprese.

Le piccole e medie imprese, che rappresentano il cuore del tessuto produttivo italiano, sono particolarmente vulnerabili: per un’azienda manifatturiera media, i costi energetici potrebbero crescere del 3-7%, erodendo margini già sottili. Settori come la ceramica, il vetro, l’acciaio e la chimica, che consumano grandi quantità di energia, potrebbero vedere un aumento dei costi operativi fino al 20%, con il rischio di ridurre la competitività sui mercati internazionali o di trasferire i rincari ai consumatori, alimentando la contraffazione.

Il settore dei trasporti in Italia, fondamentale per un’economia orientata all’export, è tra i più colpiti dall’aumento dei prezzi del petrolio seguito all’attacco israeliano all’Iran del 13 giugno 2025, con il WTI salito dell’8% a 73,48 dollari al barile e il Brent del 7,37% a 74,47 dollari. Questo si traduce in un incremento stimato di 10-15 centesimi al litro per diesel e benzina, un costo significativo per le imprese di autotrasporti: una flotta media di 50 camion potrebbe affrontare un aggravio annuo di 200.000-300.000 euro, spingendo le aziende a ritoccare le tariffe o comprimere i margini.

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Anche la logistica marittima e aerea risente dell’incertezza, con possibili rincari del 5-10% nei costi di spedizione, che pesano sulle catene di approvvigionamento di beni importati ed esportati. Con la domanda interna fragile, queste pressioni corrono il rischio di rallentare la competitività delle imprese italiane, già sfidate da costi energetici elevati, rendendo urgenti misure come sgravi fiscali sui carburanti o incentivi per flotte a basso impatto energetico. Ne conseguirebbero effetti a cascata sui costi logistici e sui prezzi finali dei beni: anche le famiglie italiane, già alle prese con un potere d’acquisto eroso, potrebbero ridurre i consumi, deprimendo la domanda interna e rallentando ulteriormente la crescita economica, prevista già anemica per il 2025.

Nonostante la gravità di questi rischi, esistono fattori che potrebbero mitigarne l’impatto. L’Italia ha diversificato le sue fonti di approvvigionamento negli ultimi anni, aumentando le esportazioni di gas liquefatto da Stati Uniti e Qatar e rafforzando i flussi attraverso gasdotti come il TAP. Le riserve strategiche di gas, riempite al 90% secondo i dati più recenti, offrono un cuscino per affrontare eventuali shock temporanei. Inoltre, il governo potrebbe intervenire con misure di sostegno, come sgravi fiscali sulle bollette o tetti ai prezzi dell’energia, come fatto durante la crisi energetica del 2022. Tuttavia, tali interventi peserebbero sul bilancio pubblico, già gravato da un debito elevato.



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