Buone notizie per alcune categorie di lavoratori che potranno approfittare di alcune chance per avere meno pressione fiscale.
La pressione fiscale sui lavoratori italiani rappresenta una delle tematiche più dibattute nel panorama economico del Paese. Misurata attraverso il “cuneo fiscale”, ovvero la differenza tra il costo totale del lavoro per l’azienda e il salario netto percepito dal dipendente, l’Italia si colloca costantemente tra i Paesi europei con i valori più elevati.
Secondo i dati OCSE, nonostante alcune riduzioni intervenute negli ultimi anni, il cuneo fiscale italiano rimane elevato. Ad esempio, per un lavoratore single senza figli con stipendio medio, il cuneo fiscale si aggira intorno al 43-45%, posizionando l’Italia tra i primi posti in Europa, dietro a Paesi come Belgio, Germania, Austria e Francia.
L’elevata pressione fiscale non grava solo sul lavoratore, ma anche sul datore di lavoro, che deve sostenere costi aggiuntivi significativi per ogni dipendente. Questa situazione può disincentivare le assunzioni e gli investimenti, rendendo il mercato del lavoro italiano meno competitivo e ostacolando la crescita economica.
Diverse manovre governative hanno cercato di intervenire sul cuneo fiscale, con l’obiettivo di alleggerire il carico su lavoratori e imprese. Tuttavia, l’impatto di queste misure è spesso oggetto di dibattito, con alcuni che sottolineano come si possano annullare parte dei benefici attesi, specialmente per i redditi medio-bassi.
Il regime forfettario per le P. Iva
Il regime forfettario è un regime fiscale agevolato, pensato per partite IVA individuali che rispettano determinati requisiti di fatturato. Il suo obiettivo principale è semplificare la gestione fiscale e ridurre il carico tributario per le piccole attività. Non si applica l’IVA sulle fatture emesse e si è esonerati da vari adempimenti contabili e fiscali tipici del regime ordinario, come la tenuta di registri IVA e gli studi di settore.
Il principale vantaggio è l’applicazione di un’imposta sostitutiva con un’aliquota fissa del 15% (che scende al 5% per i primi cinque anni di attività, se si rispettano determinate condizioni) sul reddito imponibile. Quest’ultimo non è calcolato deducendo i costi reali, ma attraverso un “coefficiente di redditività” che varia in base al tipo di attività, presumendo una percentuale forfettaria di spese.
Regime forfettario all’estero: la postilla dei 100mila euro
Il trasferimento della residenza fiscale all’estero non comporta automaticamente la decadenza dal regime forfettario. Secondo l’Agenzia delle Entrate, la perdita della residenza fiscale in Italia determina l’uscita dal regime forfettario, ma tale effetto si verifica dall’anno di imposta successivo a quello del trasferimento. Pertanto, se un professionista trasferisce la residenza all’estero durante l’anno fiscale, può continuare ad emettere fatture secondo le modalità previste dal regime forfettario fino al 31 dicembre di quell’anno.
Inoltre, l’unica causa di decadenza a effetto immediato che obbliga quindi a sostenere in modo immediato gli adempimenti previsti per una partita IVA ordinaria, è il superamento della soglia di ricavi e compensi di 100.000 euro.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link