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La Magneti Marelli chiede di essere dichiarata fallita, Sulmona trema


di Lucia Abbatantuono, vice direttrice de LaGiustizia.net.

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Dice bene Carlo Calenda: “Nel silenzio generale si spegne Magneti Marelli che una volta era un gioiello industriale italiano. Un altro risultato disastroso della gestione Elkann. Ieri Landini era ad un’iniziativa di la Repubblica. Secondo voi ha detto qualcosa su questo disastro? Qualcuno gli ha fatto una domanda a proposito?”.

Tremano i lavoratori dello stabilimento di Sulmona: 460 in totale, 40 impiegati e il resto operai. Per loro era già stato attivato un contratto di solidarietà, attivato inizialmente nell’agosto 2024 fino al primo 2025, poi prorogato di altri dodici mesi, a causa dei livelli di produzione dell’ex Sevel di Atessa, a cui la fabbrica peligna è collegata.
A novembre scorso fu varato anche un aumento degli esuberi: dagli 85 del 2024 ai 147 del 2025. E oggi il fallimento.

Il caso è esploso quando è trapelata l’amara notizia: pochi giorni fa il gruppo Magneti Marelli ha presentato istanza di fallimento presso il Tribunale di Delaware, negli Stati Uniti. Perché da tempo Magneti Marelli era italiana ormai solo nel nome. Tutti sappiamo di cosa si tratta: l’ennesimo fallimento annunciato di un pezzo di storia dell’industria automobilistica italiana. Magneti Marelli, azienda fondata nel 1919 da Giovanni Agnelli e Ercole Marelli, era specializzata nella fornitura di prodotti e sistemi ad alta tecnologia per l’industria automobilistica globale.

Dopo aver passato quasi mezzo secolo sotto il controllo della FIAT, nel 2019 era stata ceduta ai giapponesi della CK – Calsonic Kansei, operazione che fece guadagnare 6,2 miliardi di euro a FCA, che se ne infischio’ delle molte perplessità emerse. Allora, il governo italiano resto’ del tutto impassibile. L’allora Ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio aveva infatti scelto di non avvalersi dello strumento del golden power che avrebbe permesso allo Stato italiano di intervenire per tutelare un settore ritenuto strategico.

Da allora la situazione di Magneti Marelli è andata via via peggiorando. Nonostante le garanzie dell’accordo iniziale, la CK è ricorsa spesso alla cassa integrazione per quasi mille dipendenti dello stabilimento di Crevalcore. Non c’è stato alcun aumento di fatturato (come da aspettative) considerando la crisi in cui versa da tempo la principale azienda automobilistica operante in Italia, Stellantis.

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Poi Magneti Marelli, è passata dai giapponesi di CK al fondo americano KKR, che è anche proprietario della maggiore azienda di telecomunicazioni italiane, la TIM. Anche con gli americani la situazione non è cambiata e l’azienda ha accumulato 4 miliardi di debiti, arrivando così al fallimento.

Ora l’80% dei finanziatori della società ha firmato un accordo di ristrutturazione del debito, che consentirà a Marelli di rafforzare la posizione di liquidità. E con ogni probabilità si potrà riavviare la procedura di vendita dal fondo KKR a un nuovo gruppo industriali, fose gli indiani di Motherson.

Il nodo principale riguarda però il futuro dei lavoratori, seimila in tutto. “Abbiamo chiesto e ottenuto dall’azienda, come sindacato, un incontro urgente. Riteniamo però molto importante, anzi fondamentale, l’apertura di un tavolo di confronto presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, cui abbiamo già formalmente chiesto di attivarsi per seguire da vicino la vicenda”, hanno scritto diverse sigle sindacali (Fim, Fiom, Uilm, Fismic, Uglm e Aqcfrun) in comunicato congiunto.

Lasciar cadere Magneti Marelli sarebbe un segnale devastante. Per l’auto, per l’Italia e anche per Sulmona. L’agenda del nuovo sindaco di Sulmona diviene subito bollente..



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