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La coesione stimola la competizione sana delle imprese


Presentato il Rapporto “Coesione è competizione 2025”, che dimostra come la coesione sia un acceleratore di crescita delle imprese con effetti positivi sul benessere dei territori, delle persone e dell’ambiente. È un’opzione non solo etica ma anche economica da cui deriva una competitività sana

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I rappresentanti delle aziende che hanno ricevuto il riconoscimento “Coesione è competizione 2025”

7 imprese coesive su 10 hanno investito in sostenibilità ambientale

Dalla presentazione di Coesione è competizione 2025, il Rapporto di Fondazione Symbola, Intesa Sanpaolo, Unioncamere e Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne in collaborazione con AICCON e Ipsos emerge una lettura dell’Italia che spinge all’azione.

La presentazione del Rapporto è avvenuta a Mantova, nel corso del Seminario Estivo 2025 della Fondazione Symbola.  Al termine, le aziende presenti nel Rapporto hanno ricevuto un riconoscimento come esempi virtuosi in grado di generare competitività, innovazione e valore per l’Italia.

Gros-Pietro, competizione non è contrapposizione

«Competizione non significa contrapposizione, la coesione è alla base della competitività. Dobbiamo far crescere le nostre capacità, non i nostri problemi», ha affermato Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo.

«Le imprese hanno capito il valore della coesione, dell’agire insieme, di entrare in relazione con istituzioni, clienti, dipendenti, comunità. Perfino con aziende competitor, in una logica di filiera, purché questo abbia un impatto positivo sull’occupazione, sulla produzione, sull’export. In una parola, sul fatturato».

Intesa Sanpaolo punta con decisione sullo sviluppo della tecnologia, sulla coesione intesa come fare rete e sulla crescita dei territori: a tale scopo, mette a disposizione delle imprese 200 miliardi di euro entro il 2028 per accompagnarle nel loro processo di transizione.

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Realacci, l’Italia può essere protagonista della sostenibilità in Europa

“La virtù è più contagiosa del vizio, a condizione che la prima venga fatta abbondantemente conoscere”. Questa citazione di Aristotele riassume efficacemente lo spirito che anima Coesione è competizione 2025: l’Italia può essere protagonista della sostenibilità anche in Europa.

«Investire sulle energie rinnovabili ci conviene almeno per due buone ragioni: costano meno di altre fonti di energia e ci permettono di diventare autonomi dal punto di vista energetico», sottolinea Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola.

Del resto «affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro», è scritto nel Manifesto di Assisi.

Tripoli, coesione come veicolo di sviluppo economico

Coesione non solo come valore sociale ma anche come veicolo di sviluppo economico. I numeri contenuti nel Rapporto Coesione è competizione 2025, che Giuseppe Tripoli ha messo in evidenza da parlano da soli.

Nei territori ad alto tasso di coesione c’è un tasso di povertà inferiore alla media nazionale, un maggiore valore aggiunto pro capite e una maggiore capacità di fare impresa. La convenienza è dimostrata dalla crescita delle imprese coesive: dal 32% nel 2018 al 44% nel 2024.

Sette imprese coesive su dieci hanno investito in sostenibilità ambientale negli ultimi tre anni, più di otto su dieci lo hanno fatto in tecnologie digitali 4.0 e più del 60% delle imprese coesive ha investito in attività di ricerca e sviluppo.

Spiega Tripoli: «Queste imprese offrono soluzioni, resistono alle incertezze, hanno migliori performance economiche, sono una potente leva di sviluppo». Dalla coesione deriva una competitività sana che stimola la crescita, e questo facilita anche l’erogazione dei finanziamenti da parte degli istituti di credito.

Inoltre, cresce il livello di benessere delle persone, che diventano più partecipi della vita politica e culturale, nonché l’impegno per contrastare la crisi climatica: «La coesione, quindi, è un’opzione non solo etica ma anche economica».

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Tanto più importante ragionare sulla base di questi principi e di questi valori se pensiamo, come ha sottolineato Nando Pagnoncelli, presidente e AD di Ipsos Italia, alla presenza di un diffuso senso di diffidenza e pessimismo.

Questo, spesso, dimostra una percezione lontana dalla realtà. Gran parte degli italiani, infatti, non conosce i primati dell’Italia.

Trenti, la centralità delle persone

«Torna in primo piano il valore del capitale umano. In un mondo in cui la tecnologia è sempre più predominante, le persone recuperano la loro centralità perché sono loro a fare la differenza», ha affermato Stefania Trenti, Head of Industry & Local Economies Research di Intesa Sanpaolo.

Di questo capitale umano i giovani sono il focus su cui concentrarsi, sottolinea Trenti, perché vogliono vivere in un mondo diverso.

L’emorragia di laureati è dovuta alla convinzione che all’estero ci siano migliori opportunità, dobbiamo invece dimostrare loro le opportunità che offre l’Italia.

Becchetti, superare l’analfabetismo relazionale

Leonardo Becchetti, docente nell’Università di Roma Tre, ha parlato di un “analfabetismo relazionale” che permea tutti gli strati della società in un drammatico gioco a somma zero. «Troppi vivono come in una partita di poker dove io vinco e tu perdi. Questo approccio evidenzia l’urgenza di innovare anche le relazioni affinché siano capaci di creare un senso di comunità.

Dovremmo considerare le relazioni come il risultato di una “quinta operazione” dove 1 con 1 fa più di 2, perché essere complementari porta a creare più valore».

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Becchetti ha citato un esempio “storico” di relazione win-win, quella del Parmigiano Reggiano in cui i produttori decisero di consorziarsi per diventare più forti.

Da questo esempio, Becchetti sottolinea l’importanza di «fare patti di comunità nei territori: ovvero mettere insieme parti diverse per raggiungere obiettivi comuni».

Starace: non ha senso difendere il vecchio, bisogna trasformare il nuovo

I tempi chiedono di investire nell’innovazione, non di averne paura. Nonostante sia un tema all’ordine del giorno, timori e perplessità spingono a rimanere ancorati al vecchio, a non cambiare strada.

A volte il timore del nuovo pervade anche le scelte politiche nell’errata convinzione che l’innovazione possa avere ripercussioni negative, a cominciare dall’occupazione. L’importante, invece, è una formazione continua che permette di aggiornarsi costantemente per adattarsi al cambiamento.

Un esperto come Francesco Starace, partner di EQT Group, ha spiegato a “Rinnovabili” che l’avanzamento dell’innovazione non si ferma: «Direi che è del tutto irrilevante questo discorso, la transizione industriale avviene comunque.

Tuttavia, parlarne aiuta forse ad approfondire alcuni aspetti che non a tutti possono essere chiari. L’avanzare dell’innovazione è un processo irreversibile, che faccia piacere o meno, e a un paese come l’Italia conviene.

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Siamo in una fase di radicale trasformazione dell’energia e dei materiali: la transizione industriale richiede sicuramente degli investimenti iniziali, a cui seguirà una riduzione dei costi. Quindi non ha senso difendere il vecchio, bisogna invece trasformare il nuovo.

Più presto lo capiamo tutti, meglio sarà per tutti. Ci sarà anche chi non lo capirà mai, come sempre nella vita, ma sarà destinato ad essere travolto».

Auricchio, più supporto alle imprese e chiarezza normativa

Innovazione e tecnologia richiedono però una formazione ad hoc, in costante divenire. Allora la coesione è un acceleratore o un freno per le imprese? “Rinnovabili” lo ha chiesto a Gian Domenico Auricchio, imprenditore e presidente della Camera di Commercio di Cremona-Mantova-Pavia: «Ritengo che la coesione sia un acceleratore di sviluppo. Credo che la coesione tra imprese e istituzioni sia fondamentale: in questo Seminario di Symbola hanno dialogato in maniera molto coesa e credo che i risultati ci saranno.

La Camera di Commercio e la Regione Lombardia sono molto attente alle imprese del territorio. Ma le imprese, soprattutto quelle piccole o piccolissime, hanno bisogno del sostegno delle istituzioni sia tramite supporti sia tramite bandi che portano finanziamenti per alcune iniziative. Penso alla sostenibilità, all’ambiente, alla digitalizzazione.

Viviamo momenti difficili, ma sono sicuro che prima o poi ci sarà una ripresa forte. Il sistema camerale vuole che le imprese, anche quelle piccolissime, siano pronte ad agganciare questa ripresa».

Spesso le imprese lamentano la mancanza di chiarezza normativa: «Abbiamo tante leggi, forse troppe.

Credo che la maggiore difficoltà sia per le piccole o piccolissime imprese che non hanno una persona interna dedicata a questo. Avere leggi più chiare sarebbe un grande servizio alle imprese. Ovviamente semplificazione normativa non significa leggi più blande o non utili, ma si deve fare in modo che l’impresa possa facilmente capirle, applicarle e rispettarle».

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Lunelli, agrobiologia e tecnologia

Cosa è cambiato nei rapporti tra imprese e consumatori? Lo spiega Marcello Lunelli, vicepresidente di Ferrari Fratelli Lunelli: «Una volta i consumatori volevano un prodotto buono, oggi il prodotto deve avere caratteristiche valoriali: come coltivo, come tratto le persone, qual è il rapporto con il territorio.

Se negli anni Cinquanta-Sessanta l’imprenditore si poneva lo domanda “cosa posso fare per produrre?”, oggi la domanda è “cosa è meglio fare?”. Ed è giusto, sentiamo la responsabilità dell’impatto delle nostre scelte su 800 ettari di terreno.

L’agrobiologia ci ha stimolato a ridurre gli input, ovvero non usiamo prodotti di sintesi per non impattare sull’ecosistema. Un’agricoltura soft è possibile grazie alla tecnologia. Questo ha migliorato la nostra reputazione: non siamo più visti come nemici dell’ambiente.

Nella nostra zona ci sono città, aziende, scuole, piste ciclabili che attraversano il vigneto, turisti. Le 700 famiglie dei nostri agricoltori vivono meglio perché abbiamo eliminato tutti i prodotti nocivi per la salute.

La sostenibilità è un concetto globale. Perfino a New York ci chiedono cosa facciamo a Trento. Abbiamo fatto nostra la sfida di cui parlava Alexander Langer: “La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile”».



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