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“Corruzione, così l’Italia scivola indietro le nuove norme rendono difficili i controlli”


L’intervista

«La corruzione non è più solo questione di mazzette, ma di tecnologia, criptovalute e triangolazioni internazionali tra gli Stati. È un problema globale e l’Italia, purtroppo, nell’ultimo anno ha fatto passi indietro».

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Giuseppe Busia, presidente dell’Anac, Autorità nazionale anticorruzione, analizza il fenomeno su più livelli: dalle norme utilizzate per contrastarlo a quelle che dovrebbero essere messe in campo.

La corruzione è cambiata nel tempo?
«Si è fatta più sofisticata e questo la rende più insidiosa».

Niente più tangenti?
«Quelle persistono, ma spesso si affiancano pratiche più subdole. In certi casi, inoltre, non si mira solo ad intaccare le scelte amministrative, ma addirittura ad influenzare la funzione normativa».

Un affare tutto italiano?
«Assolutamente no. La corruzione è un problema che travalica i confini e purtroppo gli Stati Uniti ultimamente hanno preso decisioni che destano allarme».

Quali?
«Tra i vari ordini esecutivi, il presidente Trump ha sospeso, oltre ad alcune disposizioni sul riciclaggio, anche la prima legge sulla corruzione estera, un paradigma per tutta la
normativa internazionale successiva».

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Qual è il ruolo dell’Europa?
«L’Unione europea ha la possibilità di guadagnare un vantaggio competitivo ed una posizione di leadership, purché mantenga la barra dritta».

In che modo?
«Innanzi tutto approvando rapidamente la direttiva anticorruzione, mostrando ancora una volta come l’Unione europea non è più solo uno spazio di libertà economica, ma anche di tutela dei diritti e della democrazia. Avere solide regole anticorruzione serve anche ad attrarre investimenti esteri: i grandi fondi internazionali sono disposti ad investire solo se hanno la garanzia di muoversi in un tessuto economico sano».

L’Italia come si inserisce in questo scenario?
«I segnali non sono buoni. Se guardiamo all’indice di Transparency International, dopo oltre un decennio di crescita, quest’anno abbiamo perso ben dieci posizioni, passando dal 42esimo al 52esimo su 180 Paesi: siamo 19esimi fra i 27 Paesi Ue. Ed è preoccupante perché la corruzione percepita misura la fiducia dei cittadini nelle istituzioni».

A cosa è dovuta la retrocessione dell’Italia?
«Le cause sono tante. Dopo l’abrogazione dell’abuso d’ufficio si era detto che sarebbero state rafforzate le tutele amministrative, ma non è andata così. È stata appena cancellata la norma che impediva a un assessore o a un consigliere comunale di essere immediatamente nominato in una delle società partecipate del Comune, magari creata ad hoc poco prima. E ancora».

Mi dica.
«Dopo un’altra recente riforma, in diversi enti pubblici si potrà sedere nell’organo di indirizzo politico e contemporaneamente svolgervi la funzione di dirigente, facendo venire meno la distinzione fra controllore e controllato, con inevitabili conflitti di interesse».

L’abrogazione dell’abuso d’ufficio ha avuto conseguenze?
«Si sono creati vuoti di tutela e squilibri.Dei giorni scorsi, l’archiviazione per un amministratore che aveva assegnato la casa popolare ad un amico e non a chi ne aveva diritto. Poi ci sono dei paradossi».

Di che tipo?
«Chi trucca una gara e prepara un bando su misura per un’impresa è punito per turbativa d’asta. Se invece assegna direttamente il contratto alla stessa impresa oltre le soglie di legge, senza neanche disturbarsi a mettere in piedi una gara farlocca, non ha più una sanzione penale».

Contratti pubblici, appalti. Tutti strumenti cari alla criminalità organizzata.
«Che spesso li utilizza per occupare spazi e insinuarsi all’interno delle istituzioni. Le norme anticorruzione sono anche un importante baluardo contro le mafie». 

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Il faro è sui lavori del Ponte sullo Stretto. I controlli sono adeguati?
«Quando le opere sono di tale entità, con investimenti così ingenti, occorre aumentare tutele e garanzie. Di certo non ridurle».

Quale strada suggerisce?
«Occorre che tutte le imprese coinvolte vengano monitorate. Comprese quelle impegnate nei subappalti, specie se a cascata. Perché è soprattutto lì che le mafie cercano di infiltrarsi».

Sarebbe meglio vietarli?
«Non si può a causa della normativa europea. Si possono però introdurre limitazioni, ad esempio quando occorre garantire maggiore qualità e specializzazione. Ed è certamente il caso del Ponte sullo Stretto.
Altro aspetto importante poi è la digitalizzazione».

Come introdurla?
«Va usata in ogni fase, a partire dalla progettazione: oltre che a controllare, serve a semplificare, accelerare e ad evitare costose varianti. Pensiamo ai cantieri digitali, che permettono di verificare chi concretamente entra in cantiere e a controllare la corretta applicazione delle misure per la salute e la sicurezza dei lavoratori: sono ancora troppi gli incidenti e i morti ed occorre fare di più».
i.fam.
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