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se le banche non fanno più le banche


La funzione sociale delle banche è ancora presente? In altre parole, la trasformazione della raccolta in impieghi che possano stimolare l’economia esiste ancora in Italia?

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La situazione attuale del credito alle imprese in Italia

Esaminiamo i dati per comprendere come sta evolvendo il panorama del credito in Italia. Si auspica che qualche centro studi possa analizzare approfonditamente la questione per fornire una risposta esaustiva.

Esaminiamo due aspetti: i finanziamenti alle imprese a medio e lungo termine, destinati agli investimenti, e l’indebitamento totale.

L’intelligenza artificiale integra diverse fonti di informazioni. Sebbene possano esserci margini di errore, si stima che i nuovi prestiti a medio e lungo termine concessi alle imprese siano tra 130-140 miliardi di euro.

Prestiti alle imprese: un confronto tra Italia e Francia

Se prendiamo i nostri vicini francesi vediamo come a fronte di un pil del 24% superiore, le imprese hanno avuto nuovi prestiti per 328 miliardi di euro, un dato questo circa 2,5 volte superiore al totale italiano. Questo importo pur partendo da una base di indebitamento delle imprese rispetto al pil notevolmente più elevato.

A fine 2024, i prestiti bancari alle società non finanziarie (incluso breve e medio-lungo termine) in Francia secondo la Banque de France ammontavano a circa 1.400 miliardi di euro.

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Quindi un rapporto prestiti bancari/PIL ≈ 45–50%. Se si includono anche le obbligazioni societarie emesse sul mercato francese (finanziamenti di mercato interni), il debito complessivo delle imprese e di circa 2.000-2.200 di miliardi di euro. Circa il 70–75% del PIL.

Il rapporto debito delle imprese/PIL in Francia

Se prendiamo il debito “totale” secondo la definizione internazionale (BIS/OCSE/Eurostat) tutte le passività finanziarie verso creditori sia interni che esteri (obbligazioni collocate all’estero, prestiti transfrontalieri, ecc.). Con questo perimetro più ampio, i dati mostrano spesso per la Francia un rapporto debito delle imprese/PIL anche superiore al 120–130% o, in certe statistiche più estese, intorno al 150–160%

Se guardiamo gli stessi dati per l’Italia vediamo ad esempio come lo stock è di circa 600 miliardi di euro pari al 27% del PIL. Uno dei numeri più bassi dell’OCSE.

Il totale dei crediti verso le società non finanziarie italiane

Secondo i dati BIS (Bank for International Settlements), nel 2024 il totale dei crediti verso le società non finanziarie italiane ammontava a circa €1.200-1300 miliardi con un’incidenza sul PIL di circa il 60% Questo valore è significativamente più basso della media dell’area euro che supera il 100% e meno della metà dei vicini francesi.

Questi numeri indicano che le aziende italiane, in particolare le PMI, non sono eccessivamente dipendenti dal canale bancario. Sebbene il debito bancario rappresenti l’unica fonte di credito per le aziende private, esse risultano essere meno indebitate rispetto alle PMI francesi. Inoltre, in prospettiva, visto che i crediti concessi alle aziende dalle sole banche rimangono relativamente bassi, circa 2,5 volte l’ammontare francese la forbice tra i 2 sistemi è destinata ad aumentare.

il livello di esposizione dello Stato in termini di sistema di garanzie

Ora consideriamo l’aspetto opposto della questione: dato l’ammontare relativamente basso dei prestiti a medio e lungo termine concessi alle imprese, qual è il livello di esposizione dello Stato in termini di sistema di garanzie?

Purtroppo, non ci sono dati aggregabili secondo gli stessi criteri, per cui possiamo soltanto fare delle ipotesi. Limitandoci a quanto avviene a livello centrale, quindi escludendo i vari confidi, fondi di garanzie regionali etc.

Quanti miliardi di prestiti alle aziende sono garantiti dallo Stato? Sebbene il confronto tra diverse categorie comporti un rischio elevato, possiamo comunque formulare alcune ipotesi solide. Considerando che il Medio Credito Centrale, SACE e SIMEST abbiano emesso le loro garanzie per indebitamenti a medio e lungo termine, risulta che MCC ha garantito prestiti alle imprese per 42 miliardi di euro, SACE per 58 miliardi di euro, e SIMEST per circa 8 miliardi di euro. Pertanto, la somma totale delle garanzie statali ammonta a oltre 100 miliardi di euro.

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Pur non potendo essere certi di confrontare operazioni analoghe, siamo di fronte a importi che superano il 70% di tutti gli importi erogati. Definire questi dati preoccupanti non è un’esagerazione. Sarebbe auspicabile una chiarificazione parziale o completa da parte della Banca d’Italia e dell’ABI riguardo alla reale situazione del credito alle imprese in Italia.

Credito alle aziende: un mercato dominato dalle garanzie pubbliche

Se i dati sono questi, sorge una prima domanda: le banche in Italia svolgono effettivamente la funzione di banche? Il totale erogato senza garanzia pubblica sembra essere paragonabile a quello erogato da una media cassa di risparmio tedesca.

Il mercato del credito alle aziende è dominato dalle garanzie pubbliche. Inoltre, mentre l’importo garantito continua ad aumentare, i nuovi prestiti diminuiscono. Con questo schema sembra che, invece di privatizzare le banche, si siano privatizzati gli utili delle banche, poiché i guadagni di chi garantisce e si assume il rischio sono significativamente inferiori (ordini di grandezza) rispetto a quelli ottenuti dalle banche nel mercato del credito.

Un’altra caratteristica del sistema bancario italiano è che, pur essendo uno dei pochi completamente privati al mondo, il rapporto tra banche e politica non è sempre indipendente. Inoltre, i numerosi scandali finanziari che si verificano periodicamente in Italia non hanno trovato soluzioni sistemiche.

Il rapporto tra impieghi sull’economia reale e raccolta delle banche in Italia

Il patto implicito per cui il sistema bancario acquista e colloca massicci quantitativi di buoni del tesoro mentre i regolatori non adottano misure per modernizzare ed efficientare l’allocazione delle risorse appare più solido che mai. Il rapporto tra impieghi sull’economia reale e raccolta delle banche italiane è tra i più bassi in Europa, soprattutto se confrontato con quello delle banche tedesche e francesi. Sebbene si elogi la capacità di risparmio degli italiani, ciò non si traduce in effetti positivi sull’economia reale. Di conseguenza, viene meno anche la funzione per cui il risparmio è tutelato dall’articolo 47 della Costituzione italiana.

I numeri sulle fonti di marginalità lo dimostrano.

Il primo trimestre del 2025 i cinque principali gruppi bancari italiani – Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco BPM, Monte dei Paschi di Siena e Bper – hanno registrato un incremento del 12,2% degli utili netti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questo risultato arriva nonostante un calo del 5,5% degli interessi netti. Come hanno ottenuto questi brillanti risultati? Commissioni nette, una voce che oggi rappresenta quasi il 40% del margine primario. Non è possibile determinare quante di queste commissioni riguardino l’intermediazione dei titoli di stato, gestita dalle banche, che beneficiano di incentivi fiscali significativi.

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Un mercato del credito profondamente distorto

La situazione che emerge da questi dati delinea un quadro preoccupante, caratterizzato da un mercato del credito profondamente distorto su diversi fronti. In primo luogo, il sistema di garanzie pubbliche espone le finanze dello Stato a rischi considerevoli, soprattutto se si considera un orizzonte temporale decennale. Le garanzie, che arrivano a svariate centinaia di miliardi di euro, potrebbero limitare fortemente la capacità di intervento emergenziale in caso di crisi economica, amplificando così un possibile effetto valanga di destabilizzazione finanziaria.

Parallelamente, il ruolo delle banche italiane risulta significativamente modificato rispetto alla loro funzione originaria. La dipendenza da garanzie pubbliche ha portato queste istituzioni a tralasciare il loro compito principale di intermediazione finanziaria e, una volta terminato il sostegno statale, potrebbero trovarsi incapaci di riprendere efficacemente il loro ruolo tradizionale. Questa situazione solleva interrogativi sulla sostenibilità a lungo termine di un sistema finanziario in cui i rischi sono trasferiti alla collettività, mentre gli utili continuano a rafforzare la patrimonializzazione delle banche.

Un ulteriore punto critico riguarda l’indebitamento delle imprese, che non si presenta come indicatori di virtuosità economica, bensì evidenzia un dato cronicamente basso. La mancanza di credito privo di garanzie pubbliche ha conseguenze dirette sui livelli di investimento del Paese. In Italia, gli investimenti rimangono stagnanti, influenzando negativamente la produttività e il valore aggiunto dell’economia, nonché il potenziale incremento dei salari.

La grave anomalia del sistema finanziario italiano

Questo scenario mette in luce una grave anomalia del sistema finanziario italiano: l’assenza di una catena di trasmissione finanziaria efficace tra raccolta, intermediazione a costi competitivi e impieghi produttivi. Una catena di trasmissione ben funzionante è essenziale per supportare una crescita economica sostenuta, ma in Italia sembra ormai disgregata. La capacità di costruire un’economia moderna e robusta senza un sistema finanziario efficiente appare, pertanto, un’utopia. È necessario, dunque, ripensare il modello attuale per garantire un equilibrio tra rischio e redditività, favorendo investimenti produttivi e una maggiore indipendenza del sistema bancario dalle garanzie pubbliche.

In sintesi, l’Italia si trova davanti a una sfida di trasformazione strutturale che richiede interventi mirati per ristabilire un flusso virtuoso tra risparmio, credito e sviluppo economico. La modernizzazione del sistema finanziario e la costruzione di relazioni trasparenti tra banche e politica sono passi fondamentali per assicurare la stabilità e la crescita futura del Paese.



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