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Prima di ogni COP si passa da Bonn. Vale anche per la COP30


Nonostante il complesso contesto geopolitico, tra il 16 e il 26 giugno 2025, oltre 190 Paesi si riuniranno a Bonn per i negoziati tecnici in preparazione della COP di Belém, per la 62ª conferenza intermedia sul clima delle Nazioni Unite (SB62).

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I margini per raggiungere un accordo sono limitati. I Paesi hanno lasciato Baku lo scorso novembre con il morale a terra, dopo negoziati complessi sul nuovo obiettivo di finanziamento dell’azione climatica nei Paesi in via di sviluppo. Le Parti non sono riusciti a raggiungere un accordo su molti punti dell’agenda di COP29, dopo che la Presidenza azera avevano ristretto l’attenzione sulla grande questione dei finanziamenti climatici.

Tuttavia, un nuovo obiettivo, diviso in due parti, è stato fissato. In primo luogo, i Paesi sviluppati dovranno mobilitare almeno 300 miliardi di dollari all’anno per i Paesi in via di sviluppo entro il 2030. A questo primo impegno si affianca la necessità, da parte di tutti gli attori internazionali coinvolti, nel collaborare per mobilitare 1.300 miliardi di dollari all’anno, sempre entro il 2030. All’Azerbaigian e alla Presidenza della COP di quest’anno, il Brasile, è stato affidato il compito di sviluppare una roadmap per definire il percorso verso il raggiungimento dell’obiettivo dei 1.300 miliardi. In pochi si sono dichiarati soddisfatti dell’Accordo raggiunto a Baku.

Tutte le questioni trascurate in Azerbaigian sono ora al centro dell’agenda della SB62. In particolare, sono tre le grandi questioni in gioco: (1) come implementare i risultati del Global Stocktake per l’abbandono dei combustibili fossili; (2) come garantire una giusta transizione; (3) come misurare i progressi nell’adattamento agli impatti del cambiamento climatico. La Presidenza brasiliana della COP30 ha invitato i governi a tenere un approccio aperto e costruttivo verso il raggiungimento di un accordo, anche a dimostrazione che la cooperazione multilaterale è ancora viva. Ciononostante, le attuali tensioni geopolitiche lasciano poca copertura politica ai negoziatori per fare compromessi. C’è il rischio che la speranza stia svanendo.

La cooperazione multilaterale conta ancora?

L’affermarsi di governi con approcci conservatori e nazionalisti hanno fatto emergere, nel dibattito pubblico, riflessioni su un “nuovo ordine geopolitico” che favorirebbe approcci economici e di sicurezza fondati sul concetto di nazione, riducendo lo spazio per la cooperazione nell’ambito delle Nazioni Unite. Il successo dell’azione climatica dipenderà dall’allineamento degli interessi nazionali con politiche commerciali e industriali che mantengano aperto lo spazio per la cooperazione – un ambito che va oltre la sfera della cooperazione climatica dell’ONU.

La cooperazione multilaterale resta la via maestra per trovare soluzioni comuni e minimizzare i conflitti, grazie al compromesso tra le diverse posizioni, fissando una direzione politica condivisa e capace di mantenere le promesse fatte. Un primo esempio concreto potrebbe essere la presentazione, quest’anno, di piani climatici nazionali aggiornati, in linea con l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C. L’obbligatorietà garantirebbe che i governi continuino a sviluppare politiche funzionali all’azione climatica e siano ritenuti responsabili in caso contrario.

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In un momento di debole leadership climatica, servirebbe una guida, un leader o un paese, in grado di dimostrare al mondo che l’azione climatica significa maggiore sicurezza energetica e meno conflitti. Di recente abbiamo assistito, in vari consessi, a una forte difesa del multilateralismo e dell’azione per il clima: dal Vertice sulla sicurezza energetica dell’Agenzia Internazionale per l’Energia a Londra, al Vertice virtuale sul clima ospitato dal Segretario Generale dell’ONU António Guterres e dal Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, fino agli esiti delle elezioni in Canada, Australia e Corea del Sud, che hanno portato al governo leader favorevoli al clima. Anche la dichiarazione Francia-Cina di marzo è stato un segnale incoraggiante, poiché mostra la volontà dei Paesi ad andare avanti, nonostante l’agenda anti-climatica e anti-multilaterale dell’amministrazione statunitense guidata da Trump.

Cosa può fare l’Europa per garantire progressi nell’azione climatica?

Nelle prossime settimane e mesi, l’Unione europea potrà consolidare questi sforzi e tradurli in risultati negoziali. Per farlo, Bruxelles dovrebbe:

  • sostenere una direzione chiara verso la COP30 – collaborando con la Presidenza brasiliana per inserire l’adattamento nell’agenda, progettare processi per l’attuazione dei risultati della COP28 di Dubai, in particolare sulla transizione energetica, e costruire fiducia sulla capacità del mondo di mobilitare i finanziamenti necessari per investimenti in energia verde e infrastrutture resilienti, attraverso una roadmap d’azione da Baku a Belém per raggiungere i 1.300 miliardi di dollari;
  • fungere da modello attraverso un ambizioso NDC europeo che sia in linea con il mantenimento del riscaldamento globale entro 1,5°C. Concordare un obiettivo di riduzione delle emissioni al 2035 in linea con la riduzione del 90% al 2040 dimostrerebbe al mondo che l’UE prende seriamente la sua transizione. Come richiesto di recente dalle imprese europee, un NDC orientato all’azione e agli investimenti dimostrerebbe la leadership europea e offrirebbe un antidoto al caos geopolitico che rischia di soffocare gli investimenti;
  • rafforzare la sicurezza europea attraverso i suoi partenariati climatici, sostenendo transizioni giuste nei Paesi partner, come già fatto con il Sudafrica e l’Indonesia. Consolidare i legami commerciali con la Cina, e costruire partenariati lungo le catene di approvvigionamento dell’energia pulita che aiutino i Paesi partner a valorizzare le proprie materie prime critiche per sostenere i loro obiettivi di sviluppo economico e sociale. Ad esempio, attraverso iniziative come TeraMed – che ha l’obiettivo di generare 1 Terawatt di capacità rinnovabile nella regione del Mediterraneo – nonché attorno alle materie prime critiche per obiettivi di sviluppo economico e sociale, come nel caso del partenariato RISE, che l’Italia sta sostenendo tramite la Banca Mondiale. Infine, Il Forum globale sulla transizione energetica, lanciato dall’UE, potrebbe essere uno strumento fondamentale se sostenuto da una leadership politica di alto livello e da un adeguato supporto politico, finanziario e tecnico per l’attuazione delle transizioni.

Foto di UNclimatechange



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