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Come ha reagito la borsa dopo l’attacco di Israele all’Iran


I mercati finanziari stanno rispondendo in queste ore agli attacchi di Israele all’Iran esattamente nel mondo in cui era prevedibile che reagissero.

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Il prezzo del petrolio è in forte crescita; quello del gas naturale è in rapido aumento più in Europa che nel resto dei mercati mondiali; infine l’impatto severo, benché non catastrofico, su tutte le piazze azionarie mondiale meno quelle di due grandi produttori di petrolio alternativi al Medio Oriente: Russia e (nei futures in attesa delle aperture) anche il Canada.

Listini della borsa in calo

Prosegue il calo dei principali listini di Borsa europei dopo l’attacco, con gli indici in rosso a Madrid (-1,45%), Francoforte (-1,4%), Milano (-1,25%) e Parigi (-1%), mentre Londra (-0,25%) appare più cauta e i future Usa sono in calo.

L’Iran e il prezzo del gregge alle stelle

Il balzo del greggio (Wti +8,32% a 5,64 dollari al barile) e del gas (+6% a 38,35 euro) sulla piazza di Amsterdam spingono i petroliferi Bp (+2,9%), Shell (+2,24%), Eni (+1,85%) e TotalEnergies (+1,8%).

Brillante anche il comparto della difesa, dopo le recenti prese di beneficio. Bae System guadagna il 3,26%, spinta anche dalla raccomandazione d’acquisto di BofA, Saab il 2,4%, dopo una serie di sedute in rosso, Rheinmetall l’1,15% e Leonardo lo 0,4%.

A soffrire maggiormente è il comparto auto con Stellantis (-3%), Porsche (-2,68%), Volkswagen (-2,44%) e Ferrari (-2,25%) e quello del lusso con Richemont (-3,52%), Burberry (-3,43%), Cucinelli (-2,6%) e Moncler (-2,53%).

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L’Iran e la questione petrolio

L’Iran contribuisce in questa fase a 3,3 milioni di barili di greggio al giorno (in gran parte comprati dalla Cina attraverso flotte ombra che aggirano le sanzioni) su un consumo globale di circa 104 milioni di barili. Con il 3% dell’offerta mondiale in pericolo – benché difficilmente la produzione iraniana potrà scendere molto sotto un dimezzamento dai livelli attuali – è normale che i prezzi del petrolio stamattina siano esplosi: più 8,8% il Brent, a 75,5 dollari a barile.

Pur nella preoccupazione per il quadro internazionale, tirano invece un sospiro di sollievo i produttori americani di greggio da roccia di scisto (shale oil) che hanno costi di produzione a volte anche sopra i 50 dollari a barile e stavano entrando seriamente in crisi.

L’Iran e la questione dello stretto di Hormuz

Molto dipenderà dagli sviluppi dei prossimi giorni e dalle risposte militari dell’Iran. Se la crisi andasse davvero fuori controllo, lo scenario peggiore per l’economia mondiale sarebbe quello di un blocco operato da Teheran sullo stretto di Hormuz.

In questo caso – per ora ipotetico – l’Arabia Saudita sarebbe ancora in grado di esportare almeno cinque milioni di barili al giorno, poco meno della metà del suo potenziale produttivo, attraverso l’oleodotto Est-Ovest che la collega direttamente al Mar Rosso e a Suez.

Anche gli Emirati Arabi potrebbero comunque continuare a esportare una parte della loro produzione. A soffrire di più sarebbe invece il Qatar, che deve necessariamente far transitare tutto il suo gas naturale liquefatto da Hormuz.



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