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dissolto il confine tra cronaca e finzione


Los Angeles è di nuovo un campo di battaglia. Migliaia di soldati della Guardia Nazionale, 700 marines in assetto di guerra, blindati per le strade e droni militari nei cieli: l’ordine è arrivato direttamente dal Presidente Trump. L’obiettivo? Reprimere le rivolte esplose per difendere gli immigrati, mentre sventolano bandiere messicane tra fumo e sirene. A opporsi è il governatore della California, Gavin Newsom, che accusa: Trump fomenta il caos e “compie atti da dittatore“.

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Il potenziale candidato democratico alla Casa Bianca nel 2028 è ormai simbolo di una resistenza istituzionale che ricorda in modo straordinario la finzione divenuta profezia nel film Civil War di Alex Garland. Nella pellicola, la California è uno degli stati (insieme al Texas) a ribellarsi al governo federale di Washington, dando vita a una guerra civile che le immagini in tv di oggi da LA sembrano confermare. Garland non gioca con la fantascienza, ma con l’accelerazione della realtà. I suoi Stati Uniti sono un mosaico frantumato di milizie, secessioni e vendette personali, dove la democrazia è ormai una parola vuota: l’autoritarismo, che può assumere varie forme, è già un dato di fatto.

Oggi, tra le vie militarizzate della città degli Angeli, robotaxi dati alle fiamme, centinaia di arresti e tensione alle stelle tra Stato e Governo Federale, con Trump campione assoluto di regia televisiva (dai tempi di ‘The Apprentice’), il confine tra finzione e cronaca si è dissolto. L’America non è più sull’orlo del baratro: ci è già dentro.

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Ed è qui che entra in scena, anche se sconosciuto in Italia, Peter Turchin, ex ecologo e oggi storico quantitativo, autore di una teoria che, riletta col senno di poi, suona come un alert inascoltato. Secondo la sua Structural-Demographic Theory, le società complesse attraversano cicli storici di instabilità generati da tre forze convergenti: disuguaglianza crescente, “sovrapproduzione di élite” crescente, incapacità degli stati di offrire servizi sociali e welfare. Non eventi singoli, ma pattern ripetitivi. Turchin lo aveva predetto nel 2010: intorno al 2020 gli Stati Uniti sarebbero entrati in una nuova fase di caos sistemico. Missione compiuta.

Civil War di Garland (che non mi stancherò mai di consigliare – è in streaming) non illustra queste dinamiche, le incarna e diventa un caso da scuola di cinema profetico. Ormai chiunque capisce che le istituzioni non reggono più, dilaniate da epiche lotte tra fazioni e personaggi egomaniaci: nel film lo spettatore guarda un fotoreporter (il protagonista) che cerca di documentare – in modo neutro – il collasso mentre fugge dal tiro incrociato dei proiettili. Ma i singoli individui sono sopraffatti dalla guerra civile e non possono fare nulla. Da una parte c’è il potere. Dall’altra si spara. Turchin, con i suoi modelli, spiega perché. Garland, con le sue immagini, mostra come.

Trump, in entrambi i casi, è un effetto più che una causa (nel film, il presidente degli Stati Uniti è già al terzo mandato: al di là della Costituzione, come Steve Bannon va predicando da mesi). Trump è il volto cinico e autoreferenziale di un semi-re post democratico che per legittimare le tendenze autoritarie gioca la carta della repressione violenta e del caos “gestito” a fini mediatici. Nessuno difende le politiche woke e i cliché di sinistra odiati dai trumpiani Usa e locali (qui in Italia). Ma dalla rimozione delle politiche DEI ai tagli alle università considerate madrasse dei democratici, fino alla militarizzazione delle città: ogni mossa non risolve, ma esaspera il collasso, e soprattutto la percezione del collasso.

Quello che accade oggi in America a Los Angeles, nei campus, nelle istituzioni, non è più una crisi. È un processo rivoluzionario innescato da decenni di squilibri. Turchin lo definisce una “situazione rivoluzionaria”: quando le tensioni non sono più assorbibili dalle strutture. Garland ne offre l’epilogo visivo: un Paese che implode dall’interno, dove nessuno combatte più per una causa, ma tutti per sopravvivere. La distopia americana non è alle porte. È già nei notiziari, nella politica, e nei film profetici che non fanno più paura perché sembrano veri (per chi non è anestetizzato). L’unica vera incertezza è se ciò che stiamo vedendo sia un trailer o già il primo atto di una rivoluzione a zero intensità di ideali.

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