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Il futuro di Ilva appeso al nuovo sindaco




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L’ex Ilva è in ostaggio. E lo è, ancora una volta, a causa di un perverso e inspiegabile gioco in cui a Taranto il “locale” conta più del “nazionale”: in breve, il più forte non è il governo e il suo ministero, per proattivo che sia, ma l’amministrazione comunale di turno.

Nel presente, si tratta del sindaco che ha da venire con il ballottaggio dell’8-9 giugno: a Taranto si sfidano Piero Bitetti, espressione del centrosinistra, e Francesco Tacente, esponente di un’area civica sostenuta anche dalla Lega. Da uno di loro dipende il futuro dello storico e più importante sito siderurgico d’Italia. E a sostenerlo, apertamente, è lo stesso ministro delle Imprese, Adolfo Urso: «Per il futuro dell’ex Ilva molto dipende dalle scelte che faranno i cittadini di Taranto nel ballottaggio che si svolgerà domenica, sulla base di programmi che a me appaiono alternativi anche per quanto riguarda lo sviluppo della siderurgia a Taranto», ha detto il ministro ricordando che «il primo atto per poter sviluppare un progetto siderurgico green a Taranto è l’accordo di programma che va sottoscritto da tutti gli attori, innanzitutto dal Comune, in merito alla realizzazione di un rigassificatore e di impianti di desalinizzazione che possano supportare l’attività che lì dovrà essere realizzata, per esempio il Dri per la fornitura del preridotto ai forni elettrici».

Una narrazione surreale alla luce della quale è molto probabile che il vertice in programma lunedì tra il governo e i sindacati per conoscere il futuro del polo siderurgico tarantino non darà alcun esito. Eppure le casse sono già vuote e la produzione è ai minimi assoluti. Ma non c’è soluzione, e la storia dell’Ilva lo dimostra ciclicamente: nessuna strada industriale sarà risolutiva finché il paradigma su Taranto non cambierà e alla gestione locale non si imporrà un piano nazionale “senza se e senza ma”, dovesse passare anche da una nazionalizzazione lacrime e sangue.

D’altra parte, il governo già studia la nuova provvista finanziaria da mettere a disposizione di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, visto che la cassa dell’azienda si avvia ad esaurirsi e la cessione del complesso industriale agli azeri di Baku Steel Company, che inizialmente si prevedeva di fare a giugno, sarà (forse, molto forse) a fine anno.

Da quando si è insediata l’amministrazione straordinaria di Acciaierie, più misure finanziarie sono state adottate a sostegno della continuità operativa dell’azienda: due interventi da 150 milioni, il prestito ponte da 320 milioni autorizzato dalla Ue, l’estensione del prestito ponte di altri 100 milioni e infine, con l’ultimo decreto ex Ilva convertito in legge, l’ampliamento da 150 a 400 milioni – quindi 250 in più – di una delle prime misure.
In tutto questo, la produzione è ferma ampiamente sotto i 2 milioni. A mancare è poi l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia).

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Mercoledì il gruppo istruttore del ministero dell’Ambiente, del quale fanno parte anche Regione Puglia ed enti locali, ha esaminato le ultime osservazioni avanzate da Acciaierie sulle prescrizioni inserite nella prima versione del parere

istruttorio e ha firmato il verbale finale. Una volta licenziato dalla conferenza, il testo andrà al ministero dell’Ambiente che con un decreto provvederà al rilascio della nuova Aia. Ancora una volta sindaco entrante permettendo.



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