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strategie per ambienti di lavoro positivi


Il contesto emotivo in cui si svolge l’attività lavorativa rappresenta uno dei principali fattori strategici per il successo delle organizzazioni. Non si tratta più soltanto di fornire strumenti e risorse funzionali all’operatività quotidiana, ma di creare ambienti nei quali le persone possano sentirsi coinvolte, ascoltate e valorizzate.

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Il significato di benessere organizzativo

La qualità dell’ambiente emotivo, unita alla piacevolezza e sicurezza degli spazi, alla presenza di un clima creativo e professionale e all’attenzione della promozione dell’apprendimento continuo, sono condizioni che, oltre a consentire lo sviluppo individuale e preservare i lavoratori dai rischi di stress occupazionale, favoriscono il miglioramento delle prestazioni, l’efficienza e la competitività del sistema organizzativo nel suo complesso (1).

Il concetto di “clima” organizzativo si riferisce in particolare “all’insieme delle percezioni, opinioni e stati d’animo condivisi dai membri di un gruppo rispetto all’ambiente relazionale e comunicativo che lo caratterizza” (2). Un clima positivo è in grado di rafforzare la coesione interna, intesa come il legame emotivo tra le persone che consente al gruppo di resistere alle tensioni e di superare le criticità. Quando la fiducia reciproca, la trasparenza e il riconoscimento del lavoro svolto diventano tratti distintivi dell’organizzazione, si attivano processi virtuosi in grado di aumentare il senso di appartenenza, migliorare le performance e prevenire lo stress lavorativo.

In questo senso, il clima organizzativo rappresenta una dimensione chiave del benessere organizzativo, poiché costituisce il terreno psicosociale su cui si fondano la qualità delle relazioni, il senso di fiducia e la motivazione. Un clima favorevole alimenta il benessere percepito e condiviso, trasformando l’organizzazione in un ambiente capace di sostenere l’energia emotiva e l’equilibrio psicologico dei suoi membri.

Benessere dei lavoratori e qualità della vita professionale

Il benessere organizzativo va inteso come la capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere un elevato livello di salute fisica, mentale e sociale dei propri collaboratori. Questo concetto si estende oltre il singolo individuo, coinvolgendo la qualità della vita lavorativa nel suo complesso. Le relazioni interpersonali, le condizioni ergonomiche, la gestione del tempo e delle responsabilità, così come la compatibilità tra vita privata e lavoro, sono tutte dimensioni che concorrono a determinare il benessere psicosociale (3).

Disagi organizzativi e benessere dei lavoratori: un approccio sistemico

Ogni sistema organizzativo, per quanto accuratamente progettato, è inevitabilmente soggetto a dinamiche interne di disordine e tensione. Tali disarmonie possono manifestarsi in forme visibili — come conflitti aperti, demotivazione o isolamento — oppure presentarsi nella loro versione più insidiosa: un malessere silenzioso, diffuso ma difficile da ricondurre a cause esplicite. Le organizzazioni tendono infatti a produrre, da un lato, complementarietà tra i propri elementi; dall’altro, tensioni latenti che, se trascurate, rischiano di radicarsi nel cosiddetto “inconscio organizzativo”, influenzando in profondità il funzionamento quotidiano e la qualità delle relazioni.

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Per evitare che il disagio venga frettolosamente attribuito a fattori soggettivi, vaghi e insondabili, è essenziale adottare un approccio sistemico. Solo una lettura capace di cogliere le connessioni tra vissuti individuali e strutture organizzative può restituire senso ai segnali di malessere e orientare interventi realmente trasformativi. In questa prospettiva, i segnali di disagio non vengono visti come anomalie da correggere superficialmente, ma come espressione di dinamiche strutturali che meritano attenzione e ascolto.

Anche interventi minimi, purché ben orientati e contestualizzati, possono produrre effetti rilevanti sul clima interno. Tali azioni sono in grado di attivare processi positivi, migliorare la qualità della vita organizzativa e rafforzare la capacità collettiva di affrontare il cambiamento. Il presupposto di questo approccio è una concezione del lavoro che va oltre la dimensione economica: il lavoro è anche uno spazio espressivo e relazionale, in cui le persone cercano riconoscimento, significato e possibilità di realizzazione personale.

In questo orizzonte, le relazioni umane che si sviluppano all’interno dei gruppi di lavoro assumono un ruolo centrale. Esse non solo influiscono direttamente sul benessere individuale, ma costituiscono anche il terreno su cui si costruisce — o si compromette — una cultura organizzativa capace di essere sana, inclusiva e orientata alla collaborazione (4).

Promuovere il benessere dei lavoratori attraverso ambienti di lavoro positivi

Un’organizzazione realmente orientata al benessere non si limita a puntare sull’efficienza, ma investe nella crescita integrale delle persone. Le performance e il progresso organizzativo dipendono, infatti, dall’ecosistema emotivo in cui si opera, dalla qualità delle relazioni, dall’attenzione agli aspetti ergonomici e dalla capacità di promuovere un ciclo virtuoso tra motivazione e produttività. Questo ciclo, una volta attivato, si autoalimenta: il coinvolgimento genera risultati, i risultati rafforzano il coinvolgimento, creando un clima favorevole all’innovazione e al cambiamento sostenibile.

Negli ultimi anni, il benessere dei dipendenti è diventato un pilastro strategico per le aziende. Un rapporto di Deloitte (5) – una delle più grandi aziende di servizi professionali al mondo, parte delle cosiddette “Big Four” insieme a PwC, EY e KPMG – ha rilevato che il 94% dei leader aziendali considera il benessere un elemento chiave per il successo organizzativo. Questo orientamento è ancora più rilevante nell’epoca post-pandemica, in cui il benessere mentale è emerso come una priorità assoluta.

Secondo la WHO – World Health Organization  (6) – organizzazione intergovernativa di riferimento per la governance sanitaria globale – creare ambienti che supportano la salute mentale riduce il rischio di burnout e migliora il clima lavorativo complessivo. L’ILO – International labour Organization  (7) – unica agenzia dell’ONU dotata di una struttura tripartita, che include rappresentanti dei governi, dei datori di lavoro e dei lavoratori,  la quale svolge un ruolo fondamentale nella regolazione globale del lavoro – ha confermato che l’introduzione di programmi di supporto psicologico può ridurre l’assenteismo fino al 27% e incrementare la produttività del 20%.

Inclusione e flessibilità per il benessere dei lavoratori

Le politiche di inclusività rappresentano un altro pilastro imprescindibile del benessere organizzativo. Promuovere la diversità – di genere, età, cultura, orientamento sessuale, background formativo o capacità fisiche – non è soltanto una questione etica, ma una leva strategica per l’innovazione e la competitività. Le organizzazioni inclusive riescono a valorizzare una pluralità di punti di vista, stimolando soluzioni più creative, una maggiore adattabilità ai cambiamenti e una più ampia comprensione dei bisogni di clienti e stakeholder.

Secondo un report di McKinsey & Company (8) -una delle principali società di consulenza strategica a livello globale – le aziende che si distinguono per una maggiore diversità nei team dirigenziali hanno il 25% di probabilità in più di ottenere performance finanziarie superiori alla media rispetto alle concorrenti meno inclusive. La diversità, quando sostenuta da una cultura organizzativa accogliente e rispettosa, si traduce in coesione, engagement e senso di appartenenza, contribuendo in modo diretto al miglioramento del clima interno e alla riduzione del turnover.

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In questo scenario, le nuove modalità di lavoro flessibile, come lo smart working, si configurano come strumenti chiave per rafforzare le politiche di inclusione. Offrire la possibilità di lavorare da remoto, almeno in parte, consente di rispondere meglio alle esigenze di cura familiare, alle disabilità temporanee o permanenti, ma anche alle diverse fasi del ciclo di vita lavorativa, promuovendo una maggiore equità di accesso e permanenza nel mercato del lavoro. Secondo i più recenti dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano (9)  centro di ricerca applicata che studia l’evoluzione del lavoro agile come fenomeno complesso – in Italia i lavoratori agili sono circa 3,55 milioni  e di questi ben il 73% di essi si oppone a un ritorno completo in presenza.

La flessibilità è percepita come una condizione fondamentale per il benessere personale e l’equilibrio tra vita lavorativa e privata. Tuttavia, per non compromettere il senso di appartenenza e la qualità delle relazioni professionali, è necessario trovare un giusto bilanciamento tra lavoro a distanza e momenti di interazione in presenza, puntando su modelli organizzativi ibridi ben progettati e sostenibili nel tempo.

Tecnologie digitali e benessere dei lavoratori: affrontare il tecnostress

L’utilizzo intensivo delle tecnologie digitali può anche generare forme di “stress tecnologico”, legate alla pervasività dei dispositivi e all’iperconnessione. È essenziale progettare strumenti e processi digitali che rispettino i ritmi umani, e offrire formazione per un uso consapevole e sostenibile delle tecnologie, come raccomanda un interessante studio sull’impatto dello smart working e del lavoro ibrido sul benessere psicologico dei lavoratori, i cui risultati sono stati riportati in sintesi in un articolo dal quotidiano El País (10) evidenziando come l’iperconnessione e la pressione a essere costantemente disponibili possano generare forme di tecnostress e affaticamento digitale.

L’articolo si basa su uno studio qualitativo condotto nel 2022 dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Nottingham, che ha analizzato le esperienze di lavoratori in diversi contesti professionali, mettendo in luce temi ricorrenti come l’ansia da iperconnessione, la fatica digitale e la perdita di autonomia.

In questo contesto, il fenomeno del tecnostress sta emergendo come un’importante sfida per la salute mentale e il benessere dei lavoratori. L’Agenzia EU-OSHAAgenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro (11) sottolinea che l’uso delle tecnologie digitali sul posto di lavoro è associato a rischi psicosociali, come il sovraccarico cognitivo, l’incertezza lavorativa e la perdita di connessione tra i membri del team. In particolare, l’introduzione di nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale e la realtà aumentata, comporta nuove dinamiche, tra cui la sorveglianza e il monitoraggio continuo dei dipendenti, che possono aumentare lo stress e l’ansia (12). Inoltre, il rischio di bias algoritmici e la possibile perdita di competenze professionali legate all’automazione creano un ulteriore stress psicologico.

La EU-OSHA suggerisce di affrontare queste problematiche con un approccio sistemico che preveda il coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni tecnologiche, l’adozione di formazione continua e la creazione di ambienti di lavoro che supportino attivamente la salute mentale dei dipendenti. Un design inclusivo delle tecnologie e il supporto psicologico sono altrettanto cruciali per prevenire e gestire il tecnostress e favorire un ambiente lavorativo sano e produttivo.

Investire nel benessere dei lavoratori: ritorni economici e produttività

I dati disponibili dimostrano chiaramente l’importanza di investire nel benessere dei dipendenti per ottenere un ritorno positivo in termini di produttività e riduzione dei costi. Secondo uno studio condotto da Gallup (13) – primaria società di consulenza, nota per le sue indagini e per i suoi studi basati su evidenze empiriche nel campo del benessere lavorativo, dell’engagement e delle performance organizzative – i lavoratori che ricevono un adeguato supporto sul piano del benessere mostrano livelli di engagement significativamente più elevati, con performance quattro volte superiori rispetto a chi non riceve supporto. Questo incremento di coinvolgimento si traduce in una maggiore motivazione, una riduzione delle assenze e un miglioramento delle performance individuali e collettive, contribuendo a un ambiente di lavoro più produttivo e armonioso.

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Inoltre, il Workplace Wellness Study di Harvard (14) ha stimato che ogni dollaro investito in programmi di benessere aziendale genera un ritorno di circa tre dollari in termini di risparmi sui costi sanitari e aumento della produttività. Questo ritorno sull’investimento è evidente non solo nella riduzione dei costi legati a malattie e assenze per motivi di salute, ma anche nella diminuzione di infortuni sul lavoro e nell’aumento dell’efficienza complessiva.

Le aziende che investono in programmi di benessere dei dipendenti, come quelli relativi alla salute mentale, alla prevenzione dello stress, alla promozione dell’esercizio fisico e della nutrizione, ottengono un miglioramento significativo nella qualità della vita lavorativa dei dipendenti, con effetti positivi anche sulla loro soddisfazione e lealtà verso l’organizzazione.

Inoltre, numerosi studi supportano l’idea che il benessere aziendale vada oltre il semplice supporto fisico e psicologico, ma rappresenti un elemento strategico per l’innovazione e il miglioramento della competitività aziendale. Secondo una indagine di  Deloitte (15), il benessere è ormai visto come un motore fondamentale per l’agilità organizzativa, poiché favorisce la resilienza e la capacità di adattarsi ai cambiamenti, in un contesto di continua trasformazione del mondo del lavoro. Le aziende che investono in una cultura del benessere non solo migliorano la qualità della vita dei loro dipendenti, ma ottengono anche un vantaggio competitivo sul mercato, rendendo l’investimento in benessere una priorità strategica per ogni organizzazione.

Il benessere dei lavoratori al centro delle strategie aziendali

Integrare benessere e performance non è solo auspicabile, ma necessario per costruire organizzazioni capaci di affrontare le sfide della contemporaneità. Porre il lavoratore al centro delle strategie aziendali significa riconoscerne il valore umano, relazionale e creativo. Significa anche dare forma a luoghi di lavoro più sani, inclusivi e orientati al futuro, dove il benessere non sia un lusso, ma una condizione strutturale della qualità organizzativa.

I dati a supporto di questa visione sono eloquenti: studi recenti evidenziano che i lavoratori supportati nel loro benessere mostrano un livello di engagement quattro volte superiore rispetto a quelli privi di supporto. Questo aumento dell’engagement non solo favorisce un ambiente di lavoro positivo, ma contribuisce anche a incrementare la produttività individuale e collettiva. Inoltre, il ritorno sull’investimento in programmi di benessere aziendale è altrettanto significativo: per ogni dollaro investito, le aziende possono ottenere un ritorno economico di circa tre dollari grazie alla riduzione dei costi sanitari e all’aumento della produttività (16). Tuttavia, per realizzare questo obiettivo, è cruciale adottare un approccio integrato che consideri non solo il benessere fisico, ma anche quello psicologico, mentale e sociale dei dipendenti.

La crescente digitalizzazione del lavoro ha portato con sé nuove sfide, tra cui il cosiddetto “tecnostress”, una forma di stress legata all’iperconnessione e all’uso intensivo delle tecnologie. Lo smart working, se ben gestito, può offrire opportunità di inclusività e flessibilità, ma l’uso pervasivo delle tecnologie richiede una progettazione attenta degli strumenti digitali, affinché rispettino i ritmi e le esigenze umane.

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È essenziale fornire formazione adeguata per un uso consapevole e sostenibile delle tecnologie, prevenendo fenomeni di stress tecnologico che possono compromettere la salute mentale e fisica dei lavoratori. Inoltre, per le organizzazioni, l’inclusività non deve essere solo un obiettivo sociale, ma anche un driver strategico di performance.

Le politiche di inclusione favoriscono un ambiente di lavoro positivo e migliorano la coesione dei team, con impatti diretti sulla produttività e sulla competitività aziendale. Dati recenti mostrano che le aziende con un alto livello di diversità e inclusività sono più propense a superare la media del settore in termini di performance finanziaria. In definitiva, costruire organizzazioni capaci di unire benessere e performance significa investire nel capitale umano come risorsa fondamentale per il successo.

Le aziende che pongono il benessere dei dipendenti al centro delle loro strategie aziendali non solo migliorano la qualità della vita professionale, ma si pongono anche nella condizione di affrontare con successo le sfide del futuro, creando ambienti di lavoro più sani, produttivi e orientati all’eccellenza.

Bibliografia

Harvard Business Review (2021), Workplace Wellness Study.

C. Ciacia, (2009), Rischi psicosociali del lavoro: effetti sulla salute e benessere degli individui e delle organizzazioni, in ISS – Istituto Superiore di Sanità. Rapporti ISTISAN 10/21, Roma.

Ibidem.

Ciacia, C. (2013), Valutazione del clima organizzativo e dello stress, in In AA. VV., Verifica della metodologia della valutazione dello stress lavoro-correlato, Edizioni Palinsesto, Roma. 

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Ciacia, C., Arcuri, F.P., Giorgilli, F. (2010), Il gruppo nelle organizzazioni, Edizioni Palinsesto, Roma.

Deloitte (2023), Global Human Capital Trends.

WHO (2022), Mental Health and Wellbeing at Work.

ILO (2022),  Work-Life Balance and Productivity.

McKinsey & Company (2020), Diversity Matters.

Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano (2024), Impatto dello Smart Working in Italia.

El País,  22 dicembre 2024, Hybrid work a cause of techno-stress: ‘You have to be there all the time.

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EU-OSHA (2023), Digitalisation and Psychosocial Risks: Key Insights and Policy Pointers.

EU-OSHA (2023), Surveillance and Monitoring of Remote Workers. EU-OSHA (2023), Artificial Intelligence for Worker Management: Implications for Occupational Safety and Health.

Gallup (2022), State of the Global Workplace Report.

Harvard Business Review (2021), The Impact of Mental Health on Workplace Productivity.

Deloitte (2023), op. cit.



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