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le tariffe non sono destinate a scomparire « LMF Lamiafinanza


La settimana appena trascorsa è stata densa di sviluppi rilevanti. Una sentenza ha sollevato dubbi significativi sulla legittimità giuridica di molte tariffe introdotte dal Presidente degli Stati Uniti dall’inizio del suo mandato. Nel frattempo, lo stesso Trump ha minacciato l’Unione Europea con l’imposizione di tariffe pari al 50%; una proposta rientrata nel giro di 72 ore, rafforzando l’ipotesi che tali annunci siano strumenti negoziali mirati a favorire il dialogo piuttosto che anticipazioni di una linea politica definita. La Corte del Commercio Internazionale degli Stati Uniti ha stabilito che il presidente Trump ha “abusato della sua autorità” imponendo dazi senza il necessario passaggio parlamentare. La sentenza riguarda le misure tariffarie annunciate lo scorso 2 aprile, tra cui il dazio base del 10%, quello del 20% sulla Cina e altri dazi “reciproci” su diversi Paesi, la cui applicazione è sospesa fino al 9 luglio. La decisione solleva interrogativi sulla validità delle attuali trattative commerciali con Washington e sugli accordi già conclusi, come quello con il Regno Unito. Restano invece in vigore le tariffe adottate tramite i corretti iter legali, inclusi i dazi su acciaio, automobili, alluminio e quelli contro la Cina risalenti al 2018.

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Il ricorso presentato lo scorso giovedì dall’amministrazione statunitense ha ottenuto un primo riscontro favorevole: un tribunale di grado superiore ha infatti stabilito che i dazi contestati potranno restare in vigore e che i relativi diritti doganali potranno continuare a essere riscossi fino alla conclusione del processo di appello. L’amministrazione ha annunciato l’intenzione di rivolgersi quanto prima alla Corte Suprema per ottenere un “provvedimento d’urgenza”.

Secondo la Costituzione degli Stati Uniti (articolo I, sezione 8), la competenza esclusiva in materia tariffaria spetta al Congresso. Tuttavia, l’amministrazione Trump ha fatto leva sull’InternationalEmergency Economic Powers Act (IEEPA) del 1974, che consente al presidente di adottare misure straordinarie, inclusi i dazi, in presenza di un’emergenza nazionale dichiarata. Tale emergenza è stata proclamata il 2 aprile, con la motivazione che l’attuale assetto commerciale rappresenterebbe una “minaccia insolita e straordinaria” per la sicurezza economica nazionale. Tuttavia, se il governo non dovesse riuscire a dimostrare che il deficit commerciale costituisce effettivamente un’emergenza nazionale, l’intero processo tariffario potrebbe venire rallentato in modo significativo, vincolato a ulteriori indagini, relazioni tecniche e approvazioni da parte del Congresso.

La domanda immediata è se questa sentenza rappresenti una battuta d’arresto permanente per i piani dell’amministrazione Trump o piuttosto un ostacolo. Probabilmente si tratta della seconda ipotesi. Anche se alla fine i tribunali dovessero dichiarare che l’IEEPA non è un quadro giuridico valido per l’imposizione di dazi, l’amministrazione ha comunque altre strade da percorrere per raggiungere i propri obiettivi politici. Il Trade Act del 1974 offre alcune opzioni, dato che è stato concepito per consentire al Presidente di imporre dazi temporanei per far fronte a “gravi e consistenti deficit della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti”. La sezione 122 di questa legge conferisce poteri limitati per imporre dazi fino al 15% per un massimo di 150 giorni, prima dei quali è necessaria un’ulteriore autorizzazione da parte del Congresso. Anche i dazi della Sezione 232, già in vigore su acciaio, alluminio e automobili, rimangono uno strumento politico valido. Infatti, alla fine di questa settimana il Presidente Trump è pronto ad aumentare i dazi al 25% sull’acciaio e al 50% sull’alluminio. Le “indagini” della Sezione 232 sono già in corso in altri settori, tra cui quello farmaceutico e aerospaziale. Il Tariff Act del 1930 attribuisce al Presidente la facoltà di imporre dazi doganali qualora le imprese statunitensi siano oggetto di “discriminazione sleale” da parte di governi stranieri, con un limite massimo del 50%. È inoltre allo studio l’ipotesi di includere nuovi dazi all’interno del disegno di legge fiscale attualmente in discussione al Congresso, come via alternativa per garantirne l’attuazione. Tuttavia, un simile iter legislativo potrebbe richiedere tempi lunghi, e questo elemento da solo è sufficiente a mantenere elevato il grado di incertezza. Tale contesto, caratterizzato da instabilità normativa e politica, continuerà verosimilmente a pesare sulle scelte aziendali e sugli investimenti, contribuendo a frenare il potenziale di crescita economica.

Il presidente Trump ha recentemente minacciato di introdurre un dazio del 50% sulle importazioni provenienti dall’Unione Europea, ma l’escalation è rientrata rapidamente: nel giro di 72 ore la proposta di applicare la misura a partire dal 1° giugno è stata accantonata. L’iniziativa è apparsa più come una manifestazione di frustrazione per la lentezza dei negoziati con Bruxelles che come un’indicazione di un orientamento politico consolidato. Nonostante ciò, la minaccia sembra aver avuto un effetto concreto, spingendo l’Unione Europea ad accelerare il processo negoziale. Anche la reazione dei mercati è rimasta contenuta, nonostante la portata della proposta, segno di un crescente scetticismo nei confronti degli annunci tariffari, sempre più percepiti come strumenti tattici piuttosto che segnali di politiche imminenti.

I mercati azionari hanno finora mantenuto un atteggiamento ottimista nei confronti dei dazi, anche prima che emergessero dubbi sulla loro legittimità giuridica. Tuttavia, il quadro attuale è reso più complesso da una crescente incertezza sia sui tempi delle trattative sia sulla loro portata effettiva, qualora il processo legale portasse all’invalidamento di gran parte delle misure tariffarie in vigore. Nonostante questo scenario, l’orientamento prevalente è che nelle prossime settimane — prima della scadenza della finestra di 90 giorni prevista per l’inizio di luglio — possano essere raggiunti accordi per riportare i dazi al livello base del 10% nei confronti di numerosi partner commerciali strategici degli Stati Uniti. Tuttavia, tale tempistica appare ora meno certa. Sebbene l’eventuale sospensione delle misure possa offrire un margine di sollievo ai mercati finanziari, la posizione dell’amministrazione Trump nel considerare i dazi uno strumento di pressione politica rimane invariata, e il perdurare dell’incertezza continuerà a pesare negativamente sulle prospettive di crescita economica.

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