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i sussidi gestiti male costano il 42% in più


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La domanda è brutale ma necessaria: quanto ci costa, in Italia, lasciare alla politica il timone dell’allocazione dei fondi pubblici? La risposta è altrettanto spietata: il 42% in più per ogni nuovo posto di lavoro creato, rispetto a un sistema basato su criteri oggettivi e trasparenti. È quanto emerge dallo studio Making Subsidies Work: Rules vs. Discretion, pubblicato su Econometrica

Lo raccontano i numeri calcolati dall’analisi di oltre 77.000 progetti finanziati attraverso la storica legge 488/92, il più vasto programma di aiuti pubblici alle imprese mai varato in Italia.

Nel cuore di uno dei più importanti studi economici pubblicati su Econometrica – rivista tra le più prestigiose al mondo – c’è anche un professore dell’Università di Padova: Enrico Rettore. Insieme a Paolo Pinotti (Bocconi), Federico Cingano (Banca d’Italia) e Filippo Palomba (Princeton), firma una ricerca che mette a nudo un nervo scoperto dell’economia italiana: la discrezionalità politica nei sussidi alle imprese.

Con modelli econometrici avanzati e machine learning, i ricercatori hanno confrontato due sistemi: quello basato su regole tecniche, legate all’investimento e alla creazione di occupazione; e quello in cui entrano in gioco valutazioni politiche locali, spesso “sensibili” agli equilibri territoriali.

I numeri (dolorosamente) parlano chiaro

Secondo lo studio, un sistema a regole fisse avrebbe ridotto del 11% il costo per ogni nuovo impiego, mentre una a discrezione politica lo fatto salire fino al 42%. Una allocazione ottimale, basata su dati ex post, avrebbe dimezzato i costi, con benefici maggiori proprio nel Mezzogiorno. E anche se le aziende “aiutate” dalla politica si trovavano spesso in aree disagiate e con alta disoccupazione giovanile, il saldo resta negativo: l’efficienza economica si è persa per strada.

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Saldo e stralcio

 

La ricerca arriva in un momento cruciale: con il ritorno della politica industriale al centro dell’agenda — dal Green Deal europeo all’Inflation Reduction Act americano — l’attenzione si concentra non solo su quanto spendere, ma su come. E la risposta di questo studio è netta: la qualità dell’allocazione è decisiva quanto la quantità delle risorse.

Le parole di Paolo Pinotti e Enrico Rettore sono un colpo ben assestato al cuore della spesa pubblica inefficiente: «Non basta spendere di più: bisogna spendere meglio. Quando i fondi vengono assegnati in base a valutazioni politiche e non a criteri oggettivi, rischiamo di sprecare risorse preziose, soprattutto nelle aree dove servirebbero di più».

Il punto, insomma, non è solo il “quanto”, ma il “chi decide e come”, come viene sottolineato nello studio: «Per far sì che i sussidi pubblici creino davvero occupazione, innovazione e crescita sostenibile serve più trasparenza, una rigorosa valutazione ex ante e meno spazio per la discrezionalità politica. L’efficienza nella spesa pubblica non è solo una questione tecnica: è un dovere verso i cittadini». E da Padova, questa lezione parte per l’Italia e per l’Europa. Il tracciato c’è. Ora bisogna seguirlo.



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