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Fiere, un motore per le filiere


Il settore fieristico italiano si conferma una delle colonne portanti dell’economia nazionale e un protagonista assoluto a livello internazionale. Con un fatturato annuo pari a 4 miliardi di euro e circa 17 mila addetti impiegati tra fiere e congressi, l’Italia si posiziona al quarto posto nel mondo per importanza del comparto, preceduta soltanto da giganti come Cina, Stati Uniti e Germania.

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È quanto emerge dal primo Libro bianco sul sistema fieristico italiano, realizzato da Aefi (Associazione esposizioni e fiere italiane) in collaborazione con Prometeia, e presentato ieri a Roma, al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in occasione della decima Giornata mondiale delle fiere.

Il fatturato del sistema fieristico italiano si attesta a 4 miliardi di euro

Tra industria e sistema fieristico un legame profondo e strutturale

Le fiere non sono semplici eventi espositivi: rappresentano un vero e proprio motore per le filiere produttive italiane. Secondo il Libro bianco, infatti, il 30% della produzione industriale e ben il 63% dell’export nazionale è generato da aziende attive in cinque filiere chiave: agroalimentare, tecnologia, moda e bellezza, edilizia e arredo, tempo libero. Non a caso, queste filiere coincidono con i principali focus tematici delle manifestazioni fieristiche italiane. Il legame tra industria e sistema fieristico è quindi profondo e strutturale. Le fiere fungono da piattaforma di incontro, scambio e promozione, favorendo l’internazionalizzazione delle imprese, soprattutto delle pmi, e contribuendo a rafforzare il Made in Italy sui mercati globali. Dal 2021 al 2024, le cinque filiere hanno registrato una crescita media annua del 9% a prezzi correnti, recuperando e superando i livelli pre-Covid. Tuttavia, le prospettive a lungo termine si presentano più incerte. Il rallentamento atteso della crescita, con un +2% annuo stimato da qui al 2030, è imputabile soprattutto a fattori esterni come instabilità geopolitiche e tensioni commerciali. Di conseguenza, anche per il comparto fieristico italiano le previsioni sono caute: si prevede una crescita media annua dell’1% fino al 2030.

Obiettivo, una maggiore presenza diretta nei mercati target

Una prospettiva che impone una riflessione strategica sul ruolo del settore e sugli strumenti necessari per garantirne vitalità e competitività. «Il nostro ruolo deve essere sempre più sfidante, in linea con gli obiettivi del governo», ha detto il presidente di Aefi, Maurizio Danese. «Le fiere italiane devono essere un vettore fondamentale del piano d’azione per i mercati extra europei, da qui al 2030». La strategia prevede una maggiore presenza diretta nei mercati target con eventi fieristici made in Italy. Attualmente, il sistema fieristico italiano è attivo in 12 dei 30 principali mercati globali individuati dal piano di internazionalizzazione. Stati Uniti, Brasile, Cina, Emirati Arabi Uniti, Messico, Sudafrica e Thailandia sono tra i paesi dove si concentra il 90% delle manifestazioni italiane all’estero in calendario tra il 2024 e il 2025. Per il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, «è importante rafforzare il sistema fieristico, soprattutto nella sua proiezione internazionale, tanto più in questo contesto così difficile in cui occorre orientare le nostre imprese verso i mercati che si aprono, affinché siano in condizione di cogliere le nuove opportunità che comunque, anche in momenti di crisi, ci sono».

Le richieste di Aefi per rilanciare il comparto

Per rilanciare il comparto Aefi chiede una maggiore internazionalizzazione, sviluppando partenariati tra i principali player del settore; semplificazione normativa, attraverso una norma nazionale uniforme per ridurre la burocrazia e snellire le procedure autorizzative; adeguamento delle infrastrutture, includendo il sistema fieristico nelle agende infrastrutturali nazionali e regionali, per rendere i poli espositivi più attrattivi; sostegno alle pmi, attraverso l’introduzione di un «Bonus fiere» a medio-lungo termine, pensato per le micro e piccole imprese che non hanno partecipato a fiere nell’anno precedente o sono di nuova costituzione.

Uno dei dati più rilevanti emersi dal Libro bianco riguarda l’export-gap: negli ultimi dieci anni, l’Italia ha perso oltre 37 miliardi di euro di potenziale esportazione, pari a un gap del 13% tra la domanda potenziale e quella effettivamente soddisfatta. Senza interventi strutturali, questo divario potrebbe salire al 18% entro il 2030.

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