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Bankitalia/2: Panetta, un patto europeo per la produttività


“Le attuali, aspre dispute commerciali non sono un malessere temporaneo; sono il sintomo di un logoramento dei rapporti politici ed economici internazionali che ha radici profonde. Esse accelerano la riconfigurazione delle filiere produttive e degli scambi internazionali che era già in atto.”

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“Il sistema multilaterale che, pur sbilanciato e non privo di contraddizioni, cercava di risolvere i problemi in base a regole condivise, accogliendo le istanze comuni, è in crisi. Al suo posto si sta imponendo un ordine multipolare in cui aumenta il peso dei rapporti di forza.”

“Ne stanno risentendo persino le relazioni, storicamente molto strette, tra Stati Uniti ed Europa.”

Abbiamo tratto queste frasi dalle pagine conclusive delle Considerazioni finali che il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha svolto nella mattinata di venerdì scorso, 30 maggio. Frasi che abbiamo scelto per sintetizzare il pensiero del Governatore sui problemi e sulle dinamiche che caratterizzano l’attuale fase delle relazioni economiche internazionali.

Nel precedente articolo che abbiamo dedicato a questo discorso, il secondo tenuto da Panetta nelle vesti di Governatore della Banca di via Nazionale, abbiamo cercato di ripercorrere la prima parte delle Considerazioni di quest’anno, ovvero quel gruppo di pagine cui è stato premesso il titolo “Un’economia globale tra incertezza e cambiamento”. Pagine in cui lo stesso Panetta ha preso le mosse dall’introduzione, da parte degli Stati Uniti, di “un forte e generalizzato aumento dei dazi”.

Adesso, ci proponiamo invece di cercare di collocare, nel contesto analitico sopra citato, le successive due parti delle Considerazioni finali, ovvero quelle dedicate all’Europa e all’Italia. Partendo, intanto, dall’Europa.

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Eccoci, dunque: “L’Unione europea: ripensare il modello di sviluppo”. Difficile immaginare un titolo più chiaro e sintetico di questo per le pagine delle Considerazioni relative alla Ue.

Secondo Panetta, “l’economia europea mostra fragilità strutturali evidenti. La stagnazione della produttività e il ritardo nell’innovazione ne limitano il potenziale di crescita”. Non solo: “La dipendenza dall’estero, per gli approvvigionamenti e per la vendita dei propri prodotti, ne aumenta la vulnerabilità in un contesto globale sempre più frammentato”. Ne segue che “è necessario ripensare il modello di sviluppo che ha sostenuto il Continente per decenni”.

In particolare, Panetta sottolinea che “negli ultimi trent’anni la produttività del lavoro nell’Unione europea è cresciuta del 40 per cento”, cioè “oltre 25 punti percentuali in meno degli Stati Uniti”. Peggio: “Dal 2019 il divario si è ampliato: in Europa la produttività è aumentata del 2 per cento, contro il 10 negli Stati Uniti, dove è stata sospinta soprattutto dai settori a tecnologia avanzata”.

“Questo ritardo”, spiega Panetta, deriva principalmente dalla “difficoltà di innovare”. Infatti, “in rapporto al Pil, le imprese europee investono in ricerca e sviluppo la metà di quelle statunitensi”.

Tra l’altro, Panetta ricorda che “in Europa la spesa pubblica per ricerca e sviluppo è di entità paragonabile a quella statunitense”, ma è “frammentata” tra gli Stati membri dell’Unione. Ne segue che “l’assenza di un coordinamento efficace limita la possibilità di realizzare progetti su scala continentale”.

Inoltre, nonostante che la stessa Europa rimanga “un’eccellenza” nella ricerca scientifica, tale da poter essere considerata “alla pari con gli Stati Uniti in numerosi settori avanzati”, questa sua forza “non si traduce in innovazione produttiva” e i brevetti, soprattutto nel campo digitale, “restano pochi”. Un esempio? Eccolo: nell’intelligenza artificiale, “i brevetti europei sono meno di un quinto di quelli statunitensi”. E ciò “a fronte di un divario ben più contenuto, pari al 30 per cento, nella produzione scientifica”.

A questa debolezza si aggiunge, tra l’altro, il fatto che, per ciò che riguarda i Paesi dell’Unione, “il fabbisogno energetico continua a poggiare soprattutto su fonti esterne: circa due terzi dell’energia consumata provengono da combustibili fossili, quasi interamente importati”. Inoltre, “è elevata anche l’esposizione verso la Cina per numerosi beni strategici, in particolare quelli per la transizione energetica o ad alto contenuto tecnologico”.

Ma non basta. Perché se “la manifattura resta una componente rilevante dell’economia europea, dove rappresenta il 15 per cento del Pil (…) contro il 10 per cento negli Stati Uniti”, la concorrenza dei Paesi emergenti “sta erodendo il vantaggio competitivo europeo anche nei settori a tecnologia intermedia e avanzata, mettendo a rischio la tenuta di intere filiere produttive”.

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Un’altra pennellata: nei servizi, il surplus dell’Europa verso l’estero “deriva da comparti tradizionali come il turismo e i trasporti”, mentre negli Stati Uniti il surplus verso l’estero relativo ai servizi “è trainato dalla specializzazione digitale”.

Che fare, dunque, di fronte a questa serie di problemi che affliggono l’area della Ue? “L’economia europea – risponde Panetta – ha bisogno di interventi rapidi e strutturali. Serve un programma di riforme basato sulle proposte già disponibili a livello europeo”, nonché “sostenuto da risorse adeguate e scandito da tempi certi”. E qui varrà la pena di fermarsi un attimo per osservare che, come indica una nota bibliografica, con l’espressione “proposte già disponibili” Panetta intende riferirsi ai noti rapporti firmati uno da Letta e l’altro da Draghi, rispettivamente, nell’aprile e nel settembre del 2024.

Per il Governatore, dunque, “in un contesto globale instabile, la priorità è rafforzare l’autonomia strategica”. Quindi, innanzitutto, risorse. Per “sostenere la transizione verde e digitale”, nonché per “rafforzare le capacità di difesa”, “secondo diverse stime saranno necessari 800 miliardi di euro all’anno fino al 2030”. Ciò costituisce, sicuramente “un ammontare ingente” che, tuttavia, “copre solo parte del fabbisogno complessivo”. Infatti, “per rendere l’Europa davvero competitiva serviranno investimenti ancora più consistenti”.

“Un impegno di tale portata – incalza Panetta – non può gravare unicamente sui bilanci nazionali, né essere affidato solo al settore privato.” Ciò che serve è, dunque, “un vero e proprio patto europeo per la produttività” che sia capace sia di coinvolgere il settore pubblico, “indispensabile per finanziare beni comuni europei, dalla sicurezza energetica, alla difesa, fino alla ricerca di base”, sia di “mobilitare capitali privati per finanziare progetti imprenditoriali innovativi”. Per realizzare tale mobilitazione, secondo Panetta, è poi “urgente completare la costruzione di un mercato dei capitali europeo pienamente integrato”, ovvero un mercato che sia “capace di indirizzare il risparmio verso investimenti a lungo termine e ad alto rendimento atteso”.

“Ma per eliminare alla radice la frammentazione del mercato dei capitali lungo linee nazionali – afferma ancora Panetta – è cruciale introdurre un titolo pubblico europeo, con un duplice obiettivo: finanziare la componente pubblica degli investimenti e fornire un riferimento comune, solido e credibile, all’intero sistema finanziario”.

Panetta, quindi, conclude questa parte del suo ragionamento sottolineando che l’esperienza del Next Generation EU dimostra che “è possibile emettere debito comune per finanziare un piano ambizioso di investimenti europei, senza dover creare un’unione fiscale o istituire un Ministero delle Finanze europeo”.

Fernando Liuzzi

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